Tempo silente e misure cautelari: irrilevante per i reati gravi
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26809/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: la rilevanza del cosiddetto tempo silente nelle misure cautelari. Il caso analizzato offre lo spunto per chiarire quando il passare del tempo possa influenzare la permanenza di una misura come la custodia in carcere e quando, invece, sia del tutto irrilevante. La pronuncia conferma un orientamento consolidato, specialmente in relazione a reati di particolare allarme sociale.
I Fatti di Causa
La vicenda processuale ha origine dal ricorso presentato da un soggetto, condannato in appello per reati molto gravi, tra cui l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e reati in materia di armi. L’imputato, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, aveva richiesto la sostituzione di tale misura. La sua istanza era stata rigettata prima dalla Corte di Appello e, successivamente, dal Tribunale in sede di appello cautelare.
Contro quest’ultima decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali, tutti volti a dimostrare l’affievolimento delle esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.
I Motivi del Ricorso e la questione del tempo silente
Il nucleo centrale dell’argomentazione difensiva ruotava attorno all’incidenza del tempo trascorso dai fatti contestati. Vediamo i punti sollevati:
La Distanza Temporale dai Fatti
Il primo motivo lamentava una carenza di motivazione riguardo all’impatto della distanza temporale tra i reati commessi e l’attualità. Secondo la difesa, questo ‘tempo silente’ avrebbe dovuto essere considerato un fattore determinante per attenuare le esigenze cautelari.
Recidiva e Fatti Ostativi
Il secondo motivo criticava la valutazione della Corte territoriale sulla recidiva e su altri fatti considerati ostativi alla concessione di una misura meno afflittiva, sempre in relazione alla loro distanza nel tempo.
Pericolosità Sociale e Luogo di Operatività
Infine, il terzo motivo contestava la presunzione che il ricorrente potesse commettere nuovi reati in luoghi diversi da quelli in cui aveva operato in passato, ritenendola una motivazione generica e non adeguatamente fondata.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati. La decisione si fonda su un principio giuridico consolidato e di fondamentale importanza nel bilanciamento tra diritti individuali e tutela della collettività.
Il punto chiave della sentenza riguarda proprio il concetto di tempo silente nelle misure cautelari. La Corte ha ribadito che, in conformità con un orientamento di legittimità costante, per i reati di particolare gravità (elencati nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.), il tempo trascorso dalla commissione del reato non è un fattore che può essere valutato ai fini della revoca o sostituzione di una misura cautelare ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen.
L’unico lasso temporale che assume rilievo, spiegano i Giudici, è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura stessa. Questo tempo può essere considerato un ‘fatto sopravvenuto’ solo se, unito ad altri elementi, permette di desumere un’attenuazione o la scomparsa delle esigenze cautelari. In altre parole, non è il tempo passato dal reato a contare, ma come l’imputato si è comportato durante il periodo di detenzione cautelare e se sono emersi nuovi fatti che ne diminuiscano la pericolosità sociale.
Nel caso specifico, i reati contestati rientrano a pieno titolo nel catalogo di quelli per cui vige questa regola rigorosa. Pertanto, l’argomento principale della difesa è stato giudicato privo di fondamento giuridico. Gli altri motivi sono stati considerati vizi cumulativi e generici, non in grado di scalfire la logicità della decisione impugnata.
Le Conclusioni
La sentenza in esame rafforza un principio cardine del sistema cautelare penale: per i delitti che destano maggiore allarme sociale, la presunzione di pericolosità non viene meno semplicemente per il passare del tempo. La valutazione del giudice deve concentrarsi sull’attualità del pericolo, e il ‘tempo silente’ non è, di per sé, un indicatore sufficiente a dimostrare che tale pericolo sia cessato. Per ottenere una modifica della misura cautelare, è necessario che emergano fatti nuovi e concreti, successivi all’applicazione della misura, che testimonino un reale cambiamento nella personalità dell’imputato o nelle circostanze di fatto.
Il tempo trascorso dalla commissione di un reato può giustificare la revoca o la sostituzione di una misura cautelare?
No, secondo la sentenza, per i reati di particolare gravità (come quelli previsti dall’art. 275, comma 3, c.p.p.), il cosiddetto ‘tempo silente’ non è un elemento rilevante ai fini della valutazione delle esigenze cautelari. L’unico tempo che può assumere importanza è quello trascorso dall’applicazione della misura, se accompagnato da ulteriori elementi sopravvenuti.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo principale, basato sull’irrilevanza del ‘tempo silente’, è stato ritenuto manifestamente infondato alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità. Gli altri motivi sono stati considerati generici e cumulativi.
Quali sono i reati per cui il ‘tempo silente’ è considerato irrilevante ai fini cautelari?
Sono i reati di maggiore gravità, per i quali esiste una forte presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, elencati nell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Il caso di specie riguardava, tra gli altri, il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26809 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26809 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 01/12/1988
avverso la ordinanza del 22/04/2025 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa in data 11 marzo 2025 dalla Corte di appello di Reggio Calabria / con la quale è stata rigettata l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata al predetto in relazione ai delitti di cui agli artt. 74 d.P.R. ottobre 1990 n. 309, 73 d.P.R. n. 309/90 e 2, 4 e 7 I. n. 895/67, in ordine ai quali è intervenuta condanna in appello.
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo mancanza della motivazione in ordine alla dedotta incidenza della distanza temporale dei fatti-reato sul profilo cautelare.
2.2. Con il secondo motivo vizio cumulativo della motivazione in ordine al tipo di recidiva e sulla distanza temporale dei fatti che si assumono ostativi ai fini della istanza proposta.
2.3. Con il terzo motivo vizio cumulativo della motivazione in relazione all’assunto ostativo secondo il quale il ricorrente potrebbe porre in essere nuove condotte anche in luoghi diversi dalla regione in cui egli ha sinora operato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato avendo la ordinanza – dopo aver correttamente richiamato il giudicato cautelare intervenuto a riguardo ribadito l’irrilevanza del tempo trascorso dai fatti in tema di istanze de libertate ex art. 299 cod. proc. pen. in conformità all’orientamento di legittimità secondo il quale/ in tema di misure cautelari applicate per un reato di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di valutazione ex art. 299 cod. proc. pen. ai fini dei provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura, rispetto ai quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero
l’attenuazione
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delle GLYPH
originarie
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esigenze GLYPH
cautelari
(Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590).
3. Il secondo motivo è genericamente proposto rispetto alla valutazione, da parte della ordinanza impugnata, dei precedenti penali per tentato omicidio e
detenzione di armi clandestine, in rapporto al vigente regime presuntivo cautelare sussistente rispetto alla contestazione associativa per la quale è intervenuta
condanna in appello.
4. Il terzo motivo è proposto per inammissibili ragioni in fatto rispetto alla non illogica valutazione ostativa della esperienza criminale acquisita dal ricorrente, tale
da rendere inidonea la prospettata detenzione domiciliare in provincia di Messina.
5. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare
in euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
6. Devono essere disposti gli adempimenti di Cancelleria di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 04/07/2025.