Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35041 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35041 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a MEZZOLOMBARDO
avverso la sentenza in data 22/11/2023 della CORTE DI APPELLO DI TRENTO;
COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e ricorso;
e
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibi ità del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse della parte civile LATTE TRENTO, ha concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso;
sentita l’AVV_NOTAIO COGNOME che, nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per il loro accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMENOME per il tramite delle proprie procuratrici spec ali, impugna la sentenza in data 22/11/2023 della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, che, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero e in riforma de114′ séntenza in data 31/03/2022 del G.u.p. del tribunale di RAGIONE_SOCIALE, l’ha condannata peril reato di appropriazione indebita. Il giudice di primo grado aveva dichiarato non doversi procedere per difetto di querela, in quanto presentata tardivamenté.
Deduce:
1. Vizio di motivazione per incompletezza e inesattezza neTla eMkà2ione dei
dati informativi quanto all’attività difensiva nel primo e nel secondo grado di giudizio.
Il ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte della Corte di appello delle deduzioni esposte dalla difesa in primo e in secondo grado in relazione alle fonti di prova, ai documenti ricavati dal fascicolo del pubblico Ministero, alla documentazione ulteriore dimostrativa dell’innocenza dell’imputata, alla tardività della querela.
Deduce, quindi, il vizio di omessa motivazione.
Vizio di motivazione in relazione alla tempestività della querela, con riferimento al tempo della conoscenza di pregresse attività dell’inhputata e alla valutazione della testimonianza di COGNOME NOME nella sua integralità.
A tale proposito si premette che la Corte di appello ha ritenuto che con la missiva del 24 luglio 2018 l’azienda si fosse limitata a registrare il calo delle vendite, realizzando l’effettiva conoscenza delle condotte appropriative soltanto all’esito dell’istruttoria interna e a seguito delle dichiarazioni accusatorie rese dai colleghi dell’imputata il 7 settembre 2020 e da COGNOME NOME (responsabile dello spaccio di RAGIONE_SOCIALE) il 15 settembre 2020.
Si precisa che non si contesta la data in cui sono state rese tali dichiarazioni, ma si denuncia l’omesso vaglio dei contenuti delle stesse a opera dei giudici della Corte di appello, che nella motivazione non specificano i comportamenti cui si fa riferimento né il tempo degli stessi. Si aggiunge che anche la testimonianza di COGNOME NOME è stata letta in maniera parziale e dalla contraddittorietà della stessa doveva ricavarsi l’inattendibilità delle dichiarazioni relative all’esistenza di resi merce. precisa che la ragione dell’inattendibilità doveva altresì rinvenirsi nell’interesse di COGNOME ad allontanare da sé il sospetto di una responsabilità per omesso controllo.
Vizio di motivazione in relazione agli artt. 442, comma 1 -biS, 546 lett. e), e 192 cod. proc. pen., in ragione della lettura parziale degli atti del fascicolo processuale e per la mancata considerazione delle risultanze delV iintero quadro probatorio e delle deduzioni e della documentazione difensiva.
A tale riguardo si assume che la Corte di appello ha affermato la colpevolezza dell’imputata valorizzando solo taluni elementi, a discapito di tutti ‘gli elementi a favore versati in atti e costituiti dagli appunti di COGNOME NOME, dalle dichiarazioni de colleghi COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal dato della querela, dal provvedimento del giudice del lavoro che annullava il licenziamento, dall’esame critico della documentazione di cui all’imputazione, dalle tabelle di fatturato Lavis relative al periodo 2007-2020, dalla difficoltà di accesso allo spaccio in presenza di opere edìli nella zona a essa adiacente.
Elementi che vengono tutti illustrati e compendiati.
Vizio di motivazione in relazione agli artt. 442, comma 1-bi , 546 lett. e), e 192 cod. proc. pen., in ragione della lettura parziale degli atti del fascicolo
processuale e per la mancata considerazione delle risultanze dell probatorio, in ordine all’affermazione di responsabilità e alla intero quadro mancanza di motivazione quanto alla sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti, con conseguente mancato superamento del ragionevole dubbio.
Si premette che la Corte di appello ha affermato la responsab lità sulla base del raffronto tra il quantitativo di merce trasferita presso lo spaccio di Lavis nel periodo febbraio – aprile 2018 e il ridotto numero di scontrini emess e dunque del fatturato realizzato in quei tre mesi, nonché sulla asserita mancanza di resi.
Secondo la difesa tale osservazione -oltre che basarsi su di una valutazione parziale della documentazione- non costituisce prova della responsabilità, non trattandosi di elementi scientifici da cui possa trarsi alcuna consegUenza logica e costituendo meri elementi indiziari.
Si ribadisce che la Corte è addivenuta all’affermazione di responsabilità sulla base di una lettura incompleta delle emergenze processuali e omettendo di motivare sul superamento del ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in relazione al tema della tempestività della querela, inammissibile nel resto.
1.1. In relazione alla esatta individuazione del tempo in cui l’azienda ha avuto consapevolezza delle condotte appropriative realizzate dall’odierna ricorrente, la Corte di appello ha evidenziato che i fatti erano emersi già il 4 settembre 2020, quando una dipendente dell’azienda (COGNOME NOME) telefonava a COGNOME NOME (responsabile dello spaccio di RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti) per riferire delle condotte di appropriazione del denaro poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE. Ne scaturiva un’istruttoria interna, con le quali venivano raccolte ulteriori dichiarazioni di altri colleghi dell’odierna ricorrente, che riferivano anch’essi delle condotte di appropriazione dell’imputata.
Secondo i giudici dell’appello, poi, non poteva considerar -Si corretta la considerazione del primo giudice, secondo cui la conoscenza del reato andava fatta decorrere dal momento in cui l’azienda era venuta a conoscenza del calo delle vendite, ossia nel 2018.
In tal senso ha osservato che la contestazione mossa alla dipendente il 26 marzo 2018 era riferibile ai ritardi, alla mancata timbratura dei cartellini e ad altre violazioni di carattere marginale, ma non anche all’appropriazione di denaro oggetto dell’odierno giudizio.
Ha altresì aggiunto che la sanzione applicata con nota del 24 luglio 2020 registrava soltanto il notevole calo delle vendite, che veniva addebitatO a una scarsa propensione alle vendite della donna, ma non a una sua condotta volontaria e, in
quanto tale, delittuosa.
Soltanto il 4 settembre 2020 -precisa ulteriormente la Corte- l’azienda aveva iniziato a controllare manualmente gli scontrini fiscali, scoprendo la rnole abnorme di essi che era stato annullato dalla dipendente.
La ricorrente sostiene, al contrario, che la querela andava più ,correttamente collocata alla data della missiva del 24/07/2018, quando l’azienda registrava il calo delle vendite.
Tale asserzione, però, è infondata, atteso che la motivazione della Corte di appello è aderente all’insegnamento di questa Corte, a mente del quale «Il termine per la presentazione della querela decorre dal momento in cuii il titolare ha conoscenza certa, sulla base di elementi seri e concreti, del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva (Sez. 2 – , Sentenza n. 37584 dl 05/07/2019, COGNOME Lorenzo, Rv. 277081 – 01).
Tali connotati di serietà e concretezza sono incompatibili con l’assunto difensivo, in quanto il solo dato del calo delle vendite risulta equivoco, risultando attribuibile a una mera negligenza operativa ovvero a un’imperizi.ta commerciale della donna.
Tanto vale a dire che il mero dato del calo delle vendite non ,è sufficiente a far ritenere che l’azienda avesse contezza del reato, in assenza di ulteriori elementi che facciano ritenere con oggettiva certezza -e non sulla base di considerazioni soggettive difensivamente orientate- che l’azienda fosse ‘effettivamente consapevole che quel calo delle vendite fosse dovuto alle condotte appropriative della propria dipendente.
Da qui l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
1.2.1 restanti motivi di ricorso si rivolgono all’affermazione di ,responsabilità.
A tale proposito, va premesso che la Corte di appello ha ritenuto COGNOME responsabile del reato di appropriazione indebita di una parte degli ‘incassi ricavati dalla vendita del RAGIONE_SOCIALE nel punto vendita di Lavis, ove era l’unica dipendente all’epoca dei fatti. Appropriazione che veniva attuava mediante l’alterazione della contabilità, ossia -in sostanza- annullando gli scontrini emessi.
La Corte di appello ha ritenuto che la prova della responsabilità dovesse ritenersi raggiunta, anzitutto, in forza della testimonianza di COGNOME NOME, che aveva spiegato che la donna era stata assegnata al punto vendita di Lavis per gestirlo autonomamente e che, nel trimestre del suo servizio, si era registrato un crollo dei fatturati, così che la stessa veniva trasferita nel reparto produzione; che, a seguito di accuse mosse dai colleghi e da riscontri contabili effettuati con un’istruttoria interna, era emerso che la donna -in relazione a un periodo precedente, presso altra sede della stessa cooperativa- non emetteva scontrini o li annullava; che, nonostante il calo di fatturato, nel trimestre di cui sopra non erano stati registrati
4
resi di merce.
La Corte di appello ha altresì valorizzato la documentazioni allegata alla querela, con particolare riferimento ai dati contabili e all’andamento delle vendite e al numero di scontrini emessi nel corso degli anni.
A fronte di una motivazione che non può dirsi mancante, né illogica o contraddittoria, la ricorrente si duole dell’inattendibilità delle dichiarazioni rese d NOME, della valutazione parziale della documentazione e del compendio probatorio considerato nella sua interezza e solleva questioni in puntd di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione e una rilettura alternativa delle fonti probatorie, COGNOME estranee COGNOME al COGNOME sindacato COGNOME di legittimità COGNOME e avulse COGNOME dalla pertinente individuazione COGNOME di COGNOME specifici COGNOME travisamenti di emergenze processual . COGNOME Emergenze processuali che, peraltro, risultano correttamente valorizzate dai giudici di merito, così che sono inammissibili in questa sede tutte quelle censure che -come nel caso in esame- sono rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione alternativa del risultato probatorio.
A tale proposito va considerato che le doglianze relative all’atténdibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sono inammissibili in quanto Si risolvono in valutazioni di merito, dovendosi ricordare che ogni vaglio critico circa il giudizio di attendibilità della deposizione della persona offesa ovvero dei testimoni è precluso innanzi alla Suprema Corte in ossequio al principio incbntroverso in giurisprudenza secondo il quale la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (in tal senso cfr. Sezioni Unite, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012» RAGIONE_SOCIALE, in motivazione).
Più in generale, va ricordato che il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione Che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che a carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazidni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configur quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconcilia ilità assolutacon atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura
argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
Vizi che non si rinvengono nella struttura argomentativa sottoposta a censura.
1.3. Il ricorso è inammissibile anche nella parte in cui lamenta la mancata risposta alle deduzioni difensive in relazione alle risultanze probatorie, giacché anche sotto tale profilo, la censura di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in atti, costituisce una censura del merito della decisione, in’ quanto tende, implicitamente, a far valere una differente interpretazione delle emergenze processuali, sulla base di una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri.
Si deve altresì considerare che il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento eventualmente acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente.
Tale evenienza si registra nel caso in esame, in quanto i singoli aspetti prospettati dalla difesa -oltre a involgere valutazioni di merito- non scardinano il complessivo impianto argomentativo sviluppato dai giudici della Corte di merito.
Quanto esposto porta complessivamente al rigetto del , ricorso e alla conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del’procedimento.
L’esito del giudizio implica l’ulteriore condanna della ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado dalla parte civile.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione dalle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile LATTE TRENTO che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 3 luglio 2024
Il Consigliere estensore
COGNOME
La Presidente