Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23162 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23162 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/12/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge in quanto la Corte territoriale non avrebbe fornito alcuna risposta al motivo di gravame nel merito con cui si censurava la risposta motivazionale in punto di affermazione di responsabilità, con particolare riferimento alla circostanza che alla seconda misurazione era emerso un risultato di 0,82 g/I sanzionato solo amministrativamente; con un secondo motivo violazione dell’art. 131bis cod. pen. e vizio motivazionale in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricor e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
2.1. Quanto al primo motivo di ricorso, se è vero che la Corte territoriale, a pag. 1 della motivazione, indica erroneamente che in appello era stato posta solo la questione della mancata applicazione dell’art. 131bis cod. pen., è altrettanto vero che a pag. 2 dà conto in punto di responsabilità di aderire a quanto deciso dal giudice di primo grado che ha « compiuto una completa disamina delle emergenze processuali, comparandole in modo giuridicamente corretto e condivisibile, con i precetti normativi e con gli elementi tipizzanti la fattispecie penale contestata» sul rilievo che «le principali censure difensive, che si risolvono nella pedissegua trasposizione in sede di gravame, degli argomenti a discolpa già svolti in primo grado e congruamente confutati dal Tribunale, non possono sorreggere, già alla stregua delle condivisibili considerazioni della sentenza impugnata, la domanda di riforma formulata nell’atto di appello«.
Si tratta di una motivazione sintetica e adesiva al dictum del primo giudice, ma rispetto alla quale occorre tenere conto che, come si evince da pag. 1 dell’atto
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di appello a firma dell’AVV_NOTAIO il motivo di appello in punto di responsabilità, rubricato “mancata assoluzione” era del tutto generico (vi si legge testualmente: «La sentenza impugnata merita censura, atteso che, a seguito di accertamenti effettuati con il c.d. etilometro si palesava alla seconda misurazione un tasso alcolemico pari a 0,82 g/r. per litro e quindi appena superiore alla soglia prevista in realtà dal comma 2 lett. a) dell’art. 186 cds che reca sanzione soltanto amministrativa, senza considerare che nessun accertamento venne espletato circa l’esatta taratura e funzionalità dello strumento di controllo. Andava, pertanto, ritenuta la sanzione amministrativa contenuta nel minimo»).
Ebbene, questa Corte ha da tempo chiarito che i motivi costituiscono una parte essenziale ed inscindibile della impugnazione e, pur nella riconosciuta libertà della loro formulazione, debbono essere, ai sensi della lett. c) dell’art. 581 cod. proc. pen., articolati in maniera specifica: devono, cioè, indicare chiaramente, a pena di inammissibilità, le ragioni su cui si fonda la doglianza. In mancanza di ciò, viene meno l’obbligo del giudice di fornire una risposta a tutte le questioni proposte, in quanto tale obbligo trova un limite nella genericità della censura. Ne consegue che la denuncia di difetto di motivazione della sentenza di appello, in ordine a motivi genericamente formulati, non ha alcun fondamento, a nulla rilevando che il giudice di merito non abbia in concreto rilevato tale vizio (Sez. 1, n. 4713 del 28/03/1996, Bruno, Rv. 204548 – 01 che ha enunciato il principio di cui in massima, in relazione ad un caso nel quale la Corte d’Appello non aveva fornito motivazione, confermando l’impugnata decisione, in ordine alla richiesta dell’appellante – formulata in maniera apodittica e con un generico riferimento ai “criteri fissati nell’art. 133 cod. pen.” – di giudizio di prevalenza, anziché di equivalenza, delle attenuanti generiche sulla recidiva). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Legittimamente, come nel caso che ci occupa, in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, il giudice dell’appello può motivare per relazione se l’impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, mentre, qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la sentenza di appello che si limiti a respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto alle risultanze istruttorie (Sez. 6, n. 5224 de 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611 – 01; conf. Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012 dep. 2013, Santapaola Rv. 256435 – 01).
Del resto, la sentenza di primo grado aveva ricordato come il teste Brigadiere AVV_NOTAIO NOME avesse riferito: 1. di avere fermato, i! 24 marzo 2019 a mezzanotte circa, in Palermo, INDIRIZZO, l’autovettura Lancia Y targata TARGA_VEICOLO,
alla cui guida era stato identificato COGNOME NOME; 2. che, avendo notato l’alito “vinoso” e gli occhi lucidi del COGNOME, questi veniva invitato a sottoporsi all’alcoltest, previamente informato delle garanzie di legge; 3. che erano stati effettuati due controlli a distanza di dieci minuti e che dal primo controllo, effettuato alle 00:04, è emerso un tasso pari a 0,90 grammi/litro; e che dal secondo controllo effettuato alle 00:10 è emerso un tasso pari a 0,82 grammi! Litro. E che le dichiarazioni del teste avevano trovano, peraltro, riscontro nei documenti prodotti dal P.M. ed in particolare nei due scontrini contenenti gli esiti degli accertamenti etilometrici eseguiti sull’imputato.
Si tratta, dunque, di due valori soglia ricompresi nella previsione di cui all’art. 186, comma 1, lettera b) cod. strada in quanto questa Corte di legittimità ha chiarito che “non vi è alcun dato razionale che possa indurre a ritenere che il legislatore, attraverso la mancata indicazione della seconda cifra decimale, abbia voluto approssimare ai soli decimi di grammo/litro le indicazioni che gli strumenti di misurazione esprimono in centesimi”, concludendo pertanto, in un caso come quello che ci occupa, che “le misurazioni da 0,81 in poi, essendo superiori alla misura limite di 0,8, si collocano nell’ambito dell’illecito di cui all’art. 186, comma 2, l b) C.d.S.” (Sez. 4, n. 380130 del 14/10/2010, COGNOME, non mass). Nello stesso solco si è collocata, univocamente, la giurisprudenza fino ad oggi (cfr., ancora, Sez. 4.n. 38409 del 7/03/2013, COGNOME, Rv. 257571, che, in presenza del rilievo di un tasso alcolemico pari a 0,87, ha ritenuto configurabile la fattispecie di cui alla lettera b) del citato art. 186; Sez. 4, n. 5611 del 16/10/2013, dep. 2014, Ferrari, Rv. 258426, che in presenza del rilievo di un tasso alcolemico pari nelle due prove, rispettivamente, a 1,61 e 1,51, superiore al valore soglia di 1,5 g./I., ha ritenuto configurabile la fattispecie di cui alla lett. c) del citato art. 186). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Manifestamente infondato è anche il profilo di doglianza relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen. è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale rispondendo alla specifica richiesta sul punto ha argomentatamente e logicamente motivato il diniego dell’invocata causa di non punibilità con le circostanze del fatto, con particolare riferimento alla circostanza che la circolazione in stato di ebbrezza è avvenuta in una strada a densa percorrenza anche notturna, con una valutazione negativa, dunque, quanto alle «modalità della condotta e all’elevato grado di pericolo per la propria e l’altrui incolumità così creato».
La sentenza, dunque, si colloca nell’alveo del dictcm delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, co. 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del
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grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Il reato per cui, si procede, non era prescritto all’atto dell’emanazione della sentenza impugnata, e non lo è nemmeno oggi, in quanto i reati per cui si procede, commessi il 24 marzi 2019, non sono prescritti, atteso che ricadono sotto le previsioni della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019, data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla I. legge 27 settembre 2021, n. 134.ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado. Le contravvenzioni, in esame, pertanto, si sarebbero prescritte non prima del mese di giugno 2024.
Peraltro, nemmeno si sarebbe potuta porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024