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Tardività della querela: quando inizia a decorrere?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di tre persone condannate per frode assicurativa. Il caso verteva sulla presunta tardività della querela presentata dalla compagnia assicurativa. La Corte ha stabilito che il termine di tre mesi per sporgere querela non decorre dal mero sospetto, ma dal momento in cui la persona offesa acquisisce una conoscenza piena e certa del fatto-reato, anche a seguito di accertamenti investigativi. Pertanto, la querela è stata ritenuta tempestiva.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tardività della querela: la Cassazione chiarisce il ‘dies a quo’

Un aspetto cruciale nella procedura penale riguarda la tardività della querela. Sapere da quale momento esatto decorrono i termini per denunciare un reato può fare la differenza tra un processo e un’archiviazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di frode assicurativa, offrendo chiarimenti fondamentali sul concetto di ‘piena conoscenza del fatto’, ovvero il momento da cui far partire il conteggio dei tre mesi previsti dalla legge.

I Fatti di Causa

Tre individui sono stati condannati in primo grado e in appello per il reato di frode assicurativa, previsto dall’art. 642 del codice penale. L’accusa era di aver simulato un incidente stradale per ottenere un risarcimento illecito da una nota compagnia di assicurazioni. Dopo aver ricevuto la richiesta di risarcimento, la compagnia, insospettita da alcune anomalie, ha incaricato un’agenzia investigativa per effettuare delle verifiche. Solo dopo aver ricevuto la relazione finale dettagliata da parte degli investigatori, la società ha sporto querela. Gli imputati, nel loro ricorso in Cassazione, hanno contestato proprio questo punto, sostenendo che la querela fosse stata presentata oltre il termine di tre mesi.

I Motivi del Ricorso e la questione della tardività della querela

La difesa degli imputati ha basato il ricorso su due argomenti principali:

1. Erronea applicazione della legge sulla tardività della querela: Secondo i ricorrenti, il termine di tre mesi per sporgere querela avrebbe dovuto decorrere non dalla data di ricezione della relazione investigativa finale (3 maggio 2018), ma dalla data in cui la compagnia aveva inizialmente respinto la richiesta di risarcimento (16 marzo 2018). A quella data, secondo la difesa, la compagnia aveva già sufficienti elementi per sospettare la frode.
2. Vizi di motivazione e violazione del diritto di difesa: I ricorrenti lamentavano che i giudici di merito avessero ingiustamente rifiutato di ammettere la testimonianza di un consulente tecnico e l’acquisizione di una sua perizia redatta in un parallelo giudizio civile, che a loro dire avrebbe confermato la veridicità dell’incidente.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna per tutti gli imputati. La decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza, in particolare per quanto riguarda l’individuazione del dies a quo per la proposizione della querela.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della difesa. Per quanto riguarda la questione centrale della tardività della querela, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il termine per esercitare il diritto di querela decorre dal giorno in cui la persona offesa ha una conoscenza precisa, certa e diretta del fatto che costituisce reato, in tutti i suoi elementi costitutivi. Un semplice sospetto o una conoscenza parziale e frammentaria non sono sufficienti a far scattare il termine. Nel caso specifico, la compagnia assicurativa ha potuto acquisire la piena consapevolezza dell’illiceità penale del fatto solo dopo aver letto la relazione investigativa finale, che ha raccolto e sistematizzato tutti gli indizi, trasformando il sospetto in una conoscenza certa.

La Corte ha inoltre precisato che l’onere di provare la tardività della querela spetta a chi la eccepisce, ovvero all’imputato, e tale prova deve essere rigorosa e non basata su mere supposizioni.

Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso, la Corte li ha giudicati inammissibili in quanto miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione ha ricordato che, in presenza di una ‘doppia conforme’ (due sentenze di merito che giungono alla stessa conclusione con motivazioni logiche e coerenti), il controllo della Suprema Corte è limitato alla verifica della logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito delle prove. I giudici hanno evidenziato come i ricorrenti si fossero limitati a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio di garanzia e certezza del diritto: per reati complessi come le frodi, dove la verità emerge solo al termine di accertamenti, il tempo per la vittima di agire in sede penale inizia a decorrere solo quando il quadro fattuale è chiaro e completo. Affermare il contrario significherebbe costringere le vittime a sporgere querele basate su semplici sospetti, con il rischio di intasare il sistema giudiziario di denunce infondate. La decisione sottolinea, ancora una volta, la netta distinzione tra il giudizio di merito, dove si valutano le prove, e il giudizio di legittimità della Cassazione, che ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità delle motivazioni.

Da quale momento esatto decorre il termine di tre mesi per presentare una querela?
Il termine di tre mesi per presentare una querela, secondo la sentenza, decorre dal giorno in cui la persona offesa acquisisce una conoscenza precisa, certa e diretta del fatto che costituisce reato in tutti i suoi elementi essenziali. Un mero sospetto o una conoscenza parziale non sono sufficienti a far partire il conteggio.

Cosa succede se un motivo di ricorso non viene presentato in appello ma solo in Cassazione?
Secondo la Corte, una questione giuridica non sollevata nel giudizio di appello non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione. Tale motivo viene considerato inammissibile perché il giudice d’appello non ha avuto modo di pronunciarsi su di esso.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è quello di effettuare una nuova valutazione delle prove o una ricostruzione alternativa dei fatti, ma di verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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