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Tardività della querela: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa. Il ricorrente contestava la tardività della querela, ma la Corte ha stabilito che i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di quanto già discusso e respinto in appello. Inoltre, la questione si basava su una ricostruzione dei fatti alternativa, inammissibile in sede di legittimità, dove non è possibile riesaminare il merito della vicenda.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tardività della querela: quando il ricorso in Cassazione è un buco nell’acqua

La questione della tardività della querela rappresenta un tema cruciale nel diritto processuale penale, poiché incide direttamente sulla procedibilità dell’azione penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per analizzare i limiti entro cui tale eccezione può essere sollevata, specialmente in sede di legittimità. Il caso in esame riguarda un ricorso dichiarato inammissibile, poiché basato su motivi che non potevano trovare accoglimento davanti alla Suprema Corte.

I Fatti del Processo

Un soggetto, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Genova per il reato di truffa (art. 640 c.p.), proponeva ricorso per Cassazione. L’unico motivo di doglianza era incentrato sulla violazione di legge in merito alla presunta tardività della querela presentata dalla persona offesa. Secondo la difesa, la querela era stata sporta oltre i termini previsti dalla legge.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva già affrontato e respinto tale argomento, ricostruendo il momento consumativo del reato di truffa, commesso tramite assegni privi di provvista, e ritenendo tempestiva l’azione della vittima. Il ricorrente, non soddisfatto, riproponeva le medesime argomentazioni dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali: la natura ripetitiva dei motivi del ricorso e l’impossibilità di procedere a una nuova valutazione dei fatti in sede di legittimità.

La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, una conseguenza tipica della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le motivazioni sulla tardività della querela e i limiti del giudizio di legittimità

La Suprema Corte ha innanzitutto qualificato il ricorso come ‘indeducibile’. I motivi presentati non erano altro che una ‘pedissequa reiterazione’ di quelli già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva chiaramente spiegato, citando la giurisprudenza di legittimità, come fosse stato correttamente individuato il momento consumativo della truffa, punto di partenza per calcolare il termine per la querela.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il ricorrente, nel contestare la tardività della querela, proponeva una ricostruzione dei fatti ‘alternativa’ a quella accertata in sede di merito. Tale operazione è preclusa in Cassazione.

La Corte ha richiamato una propria precedente sentenza (n. 23689/2021) per sottolineare che, sebbene la procedibilità dell’azione penale sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, quando la determinazione del ‘dies a quo’ (il giorno da cui far decorrere il termine) richiede un ‘giudizio di fatto’, tale valutazione non può essere compiuta per la prima volta in sede di legittimità.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: il ricorso per Cassazione deve basarsi su vizi di legge o difetti di motivazione evidenti e non può trasformarsi in un pretesto per ottenere un nuovo esame del merito della vicenda. Chi intende sollevare questioni come la tardività della querela deve farlo con argomentazioni solide nei gradi di merito, dove il giudice ha il potere di accertare e valutare i fatti. Proporre in Cassazione una mera rilettura degli eventi o una ripetizione delle censure già respinte è una strategia destinata al fallimento, con l’ulteriore conseguenza della condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso sulla tardività della querela è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per due ragioni: in primo luogo, perché si limitava a ripetere le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello; in secondo luogo, perché si basava su una ricostruzione alternativa dei fatti, chiedendo alla Corte di Cassazione una valutazione di merito che è preclusa in sede di legittimità.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la tardività della querela?
Sì, la questione della procedibilità dell’azione penale può essere sollevata anche per la prima volta in Cassazione. Tuttavia, ciò è possibile solo se la decisione non richiede un giudizio di fatto per determinare il momento iniziale del termine (‘dies a quo’), poiché tale accertamento è riservato ai giudici di merito.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere i motivi già presentati in appello?
Se il ricorso è una ‘pedissequa reiterazione’ dei motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dal giudice precedente, viene considerato inammissibile. La Corte di Cassazione non riesamina questioni già adeguatamente motivate, ma si concentra su violazioni di legge o vizi logici manifesti della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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