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Tardività del ricorso: Cassazione inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino avverso un’ordinanza di sequestro preventivo per un deposito incontrollato di rifiuti. La decisione non è entrata nel merito della questione, ma si è basata sulla tardività del ricorso, depositato oltre il termine di 15 giorni previsto dalla legge. La Corte ha chiarito che il termine decorre dall’ultima delle comunicazioni effettuate all’imputato o al suo difensore, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tardività del Ricorso: Quando un Giorno di Ritardo Costa l’Intero Processo

Nel mondo del diritto, il tempo è un fattore cruciale. I termini procedurali non sono semplici formalità, ma pilastri che garantiscono certezza e ordine allo svolgimento del processo. La recente ordinanza della Corte di Cassazione che analizziamo oggi è un esempio lampante di come la mancata osservanza di una scadenza possa precludere ogni possibilità di esame nel merito, evidenziando la grave conseguenza della tardività del ricorso. Questo caso, nato da un sequestro preventivo per reati ambientali, si è concluso non con una decisione sulla colpevolezza o innocenza, ma con una declaratoria di inammissibilità per un ritardo di pochi giorni nel deposito dell’impugnazione.

I Fatti del Caso: dal Sequestro all’Impugnazione

Tutto ha origine da un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia. Il provvedimento riguardava un’area adibita a deposito incontrollato di rifiuti, configurando un’ipotesi di reato ambientale. Il soggetto destinatario del sequestro presentava una richiesta di riesame al Tribunale, il quale la dichiarava inammissibile, ritenendo che l’atto impugnato fosse un mero provvedimento di convalida, non soggetto a impugnazione.

L’Ordinanza del Tribunale e i Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro questa decisione, l’interessato, tramite il suo legale, proponeva ricorso per cassazione. La tesi difensiva sosteneva un errore del Tribunale. Secondo il ricorrente, il provvedimento del GIP non si era limitato a convalidare il sequestro d’urgenza operato dalla polizia giudiziaria, ma aveva anche, simultaneamente, disposto la misura cautelare su richiesta del Pubblico Ministero. Pertanto, l’atto era a tutti gli effetti un decreto di sequestro, pienamente impugnabile con il riesame. Si chiedeva quindi alla Suprema Corte di annullare l’ordinanza e di rinviare gli atti al Tribunale di Venezia per la decisione nel merito.

La Decisione della Cassazione sulla Tardività del Ricorso

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è mai giunta ad analizzare la fondatezza di questa argomentazione. I giudici hanno fermato la loro analisi su un aspetto puramente procedurale: la tardività del ricorso. L’esito è stato netto: ricorso inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ricostruito meticolosamente la cronologia delle comunicazioni e dei depositi. L’ordinanza impugnata era stata emessa il 5 febbraio 2025, comunicata via PEC al difensore lo stesso giorno e notificata al ricorrente l’11 febbraio 2025. Il ricorso per cassazione, invece, era stato depositato solo il 5 marzo 2025.
Il Codice di procedura penale (art. 585) stabilisce un termine di 15 giorni per proporre impugnazione avverso provvedimenti emessi in camera di consiglio. La norma precisa inoltre che, quando le date di notifica all’imputato e al suo difensore sono diverse, il termine decorre dall’ultima comunicazione effettuata. In questo caso, l’ultima notifica era avvenuta l’11 febbraio 2025. Di conseguenza, il termine ultimo per presentare il ricorso scadeva il 26 febbraio 2025. Il deposito effettuato il 5 marzo era, pertanto, inesorabilmente tardivo.

Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Tardività

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il rispetto dei termini per le impugnazioni è un requisito di ammissibilità imprescindibile. La tardività del ricorso non è un vizio sanabile e impedisce al giudice di esaminare le ragioni, anche se potenzialmente fondate, poste a base dell’impugnazione. Per l’imputato, ciò significa la cristallizzazione del provvedimento sfavorevole e la perdita definitiva della possibilità di farlo riesaminare. Per i professionisti legali, questo caso serve come un severo monito sull’importanza di una gestione rigorosa delle scadenze processuali, il cui mancato rispetto può avere conseguenze irreparabili per l’assistito.

Qual è il termine per proporre ricorso avverso un’ordinanza emessa in seguito a procedimento in camera di consiglio?
Secondo l’art. 585, comma 1, lett. a), del codice di procedura penale, il termine per proporre impugnazione è di 15 giorni.

Da quando decorre il termine per l’impugnazione se le notifiche all’imputato e al suo difensore avvengono in date diverse?
A norma dell’art. 585, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., il termine decorre dalla data dell’ultima comunicazione, sia essa quella effettuata all’imputato o quella al suo difensore.

Cosa comporta la presentazione di un ricorso oltre la scadenza del termine previsto?
La presentazione tardiva del ricorso ne determina l’inammissibilità. Ciò significa che il giudice non esaminerà il merito delle questioni sollevate e il ricorrente sarà condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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