Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3544 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3544 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VALLO DELLA LUCANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI A k o 9 41 1’10 09 1 f·I / 1′ i udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli decidendo in sede di rinvio disposto con pronuncia della Corte di cassazione del 26/04/2021, che aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Salerno del 26/11/2019, la quale aveva, a sua volta, confermato quella del Tribunale di Vallo della Lucania in composizione collegiale del 23/11/2017 – ha, per quanto ora di interesse, assolto NOME COGNOME dal reato di abuso d’ufficio a lui contestato sub A) della rubrica, adottando la formula di rito perché il fatto non costituisce reato ed ha, per l’effetto, rideterminato la pena inflittagli, in relazione alla re imputazione ex art. 479 cod. pen., nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, deducendo due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in ragione della violazione degli artt. 157 e 161 cod. pen., nonché del disposto dell’art. 129 cod. proc. pen., in ragione della inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale. Il Giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato, non potendosi considerare formato il giudicato sulla responsabilità del prevenuto, con riguardc all’impugnazione proposta, stante il principio della inscindibilità dei capi imputazione.
2.2. Con ulteriore motivo, la difesa denuncia vizio rilevante ai sensi dell’ar 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., stante la violazione degli artt. 2 e 476 cod pen., in ragione della inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o d altre norme giuridiche.
2.3. NOME COGNOME è stato condannato per avere – nella veste di Segretario comunale di Ogliastro Cilento, dunque pubblico ufficiale Responsabile del procedimento di affidamento del servizio IMU – ICI – TARSU – TARES – COSAP e servizio idrico integrativo – violato la norma che vieta l’artificioso frazionamen delle prestazioni di beni e servizi, nonché falsamente attestato, in una determina da lui assunta il 26/06/2013, come l’importo complessivo, occorrente pe -l’espletamento di tale servizio, non oltrepassasse la sopra detta somma di euro 40.000.00, soglia economica che legittimamente avrebbe consentito l’accesso alla procedura di conferimento del servizio mediante l’utilizzo dello strumento dell’affidamento diretto, ammesso esclusivamente per le prestazioni ch comportano una spesa massima inferiore a tale limite di euro 40.000,00. In ipotes i
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difensiva, allora, sarebbe stato necessario tenere in considerazione – ai sensi dell’art. 2 cod. pen. – la lex mitior derivante dalla modifica sostanziale intervenuta sul Codice degli appalti, a mezzo dell’art. 50, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 36 del 3 marzo 2023 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), laddove è previsto che «Salvo quanto previsto dagli articoli 62 e 63, le stazioni appaltanti procedono all’affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 14 con le seguenti modalità: affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istitui stazione appaltante;…». Novellata in senso più favorevole la soglia normativa che consente il ricorso all’affidamento diretto, dunque, l’imputato avrebbe avuto diritto – indipendentemente dalla parziale formazione del giudicato, conseguente all’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, a mezzo della succitata sentenza del 26/04/2021 – all’applicazione della norma più favorevole e, consequenzialmente, all’assoluzione per essere venuto meno il presuppostc oggettivo del modello legale ex art. 323 cod. pen., rappresentato dalla violazione di legge.
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte. Le due censure difensive presentano una matrice comune e ben si prestano, pertanto alla trattazione congiunta.
Deve in primo luogo precisarsi come la Corte di cassazione – a mezzo della succitata sentenza – abbia parzialmente accolto il ricorso dell’odierno ricorrente, rinviando alla Corte territoriale per nuovo giudizio limitatament all’ipotesi delittuosa ex art. 323 cod. pen.; il rigetto del ricorso, quanto alle re imputazioni, ha quindi determinato la definitività dell’affermazione d responsabilità, con riferimento al contestato delitto di falso ideologico.
4.1. La difesa contesta tale assunto, richiamando il noto principio di diritt secondo il quale – in sede di giudizio di rinvio – deve essere dichiarata sopravvenuta aboliti° criminis, anche nel caso in cui l’annullamento non abbid riguardato i punti della decisione direttamente inerenti ai presupposti dell condanna (Sez. 6, n. 41683 del 19/10/2010, Ndaw, Rv. 248720; Sez. 4, n. 51958 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 268348). Si sostiene nell’atto ci impugnazione, infatti, la sussistenza di un inscindibile legame – di carattere s concettuale, sia naturalistico – fra le contestazioni di abuso di ufficio e di f
ideologico, tra loro funzionalmente e teleologicamente connesse in modo inscindibile, già nell’ottica accusatoria; non sarebbe possibile, in sostanza, concepire il falso ideologico quale condotta fine a sé stessa, bensì solo immaginarlo in necessario collegamento con l’abuso d’ufficio, ossia con la sussistenza di una precisa finalità, in capo al soggetto attivo del reato. L’inevitabile approdo di ta iter deduttivo sarebbe costituito, allora, dalla impossibilità di predicare il passaggio in giudicato di un capo separatamente dall’altro, stante la necessaria interferenza – di carattere logico e ontologico – esistente fra i due paradigmi normativi sopra richiamati.
4.2. Giova brevemente ricordare che il modello legale ex art. 323 cod. pen. è stato oggetto di significative modifiche, operate dapprima a mezzo del decreto legge 01/07/2013, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 09/08/2013, n. 78 e successivamente – in maniera ben più profonda e incisiva – dall’art. 23 decreto legge 16/07/2020, n. 76, mediante il quale è stata sostituita la precedente dizione «in violazione di norme di legge o di regolamento» con la molto più limitata formulazione «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Grazie a tale riforma, dunque, si è verificata una parziale abolizione dell’alveo previsionale del delitto in esame, che si è incentrata tanto sull’oggetto materiale della fattispecie tipica (dovendo questa specificamente realizzare una violazione di regola di condotta), quanto sul profilo inerente alla fonte della condotta, dovendo la regola comportamentale non rispettata presentare un connotato di pregnante specificità, oltre ad essere contenuta in una fonte normativa ordinaria (legge o atto avente valenza equipollente); infine quanto allo specifico contenuto della regola, oggetto della violazione incriminata la norma postula ora trattarsi di regola dalla quale non possano residuare «margini di discrezionalità» (si vedano Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296 e Sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359). Sotto il profilo dogmatico, la figura tipica in esame è strutturata qual norma parzialmente in bianco, atteso che la condotta del soggetto attivo, tesa a cagionare danno o ad apportare vantaggio, assume rilievo penalistico in quanto ignori determinati obblighi giuridici, siano essi di natura positiva, ovvero concretizzino in un dovere di astensione (nella declinazione omissiva, viene allora in rilievo la mancata osservanza – in qualsivoglia caso ciò sia prescritto dell’obbligo di astensione, purché ciò risulti poi foriero di vantaggio patrimoniale o di danno; nella declinazione commissiva, la norma postula invece la violazione di atti normativi di natura legislativa o regolamentare). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.3. La difesa, dunque, pone proprio il tema della successione nel tempo delle norme di carattere extrapenale, richiamate nel modello legale ex art. 323
cod. pen. Stando alla tesi propugnata nell’atto di impugnazione, la Corte distrettuale avrebbe dovuto applicare la sopra citata lex mitior, derivante dalla nuova veste assunta dal Codice degli appalti e – stante il principio della inscindibilità dell’imputazione e, inoltre, nonostante il contenuto dell’annullamento con rinvio disposto in sede di legittimità – mandare assolto COGNOME da ogni addebito.
4.4. In linea generale, sul tema della successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, questa Corte si è ripetutamente pronunciata (fra tante, possono richiamarsi Sez. 2, n. 36281 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 228412; Sez. 2. n. 4296 del 02/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 228152; Sez. 3, n. 9482 del 01/02/2005, COGNOME, Rv. 231228; Sez. 5, n. 8045 del 04/02/2005, COGNOME, Rv. 230567; Sez. 3, n. 32021 del 06/06/2007, COGNOME, Rv. 237142; Sez. 3, n. 28135 del 11/01/2012, COGNOME, Rv. 253260; Sez. 3, n. 9576 del 25/01/2012, COGNOME, Rv. 252249; Sez. 7, n. 20644 del 6/02/2016, COGNOME, Rv. 267132; Sez. 3, n. 26821 del 08/09/2020, COGNOME, Rv. 279900). E l’insegnamento di legittimità si mostra da sempre univoco, nel ritenere che il fenomeno della successione nel tempo delle leggi penali, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., non possa trovare applicazione in relazione al mutamento delle norme extrapenali – nonché degli atti o fatti amministrativi – che non s riflettono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, svolgendo essi, a contrario, la mera funzione di operare una maggiore specificazione della fattispecie precettiva, in modo da circoscrivere – o comunque, da meglio definire – l’ampiezza del comando, che viene a conformarsi in modo differente, a partire proprio dall’intervento della novella in sede extrapenale. Tale modifica, dunque, non riverbera effetti sul rilievo penale del fatto, che sia stato posto in essere in epo antecedente, nonché sul disvalore del medesimo; logico corollario di tale impostazione concettuale è che la valutazione, in ordine all’integrazione del modello legale “richiamante”, debba essere effettuata tenendo presente la portata che la norma “richiamata” presentava al momento del fatto (Sez. 3, n. 18193 del 12/03/2002, COGNOME, Rv. 221943; Sez. 2, n. 20647 dei 16/04/2004, COGNOME, Rv. 229530; Sez. 4, n. 17230 del 22/02/2006, Sepe, Rv. 234029; Sez. 3, n. 15481 del 11/01/2011, Guttà, Rv. 250119; Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011, COGNOME, Rv. 252194; si veda anche Sez. 3, n. 32797 de 18/03/2013, COGNOME, Rv. 256665, a mente della quale: «Il principio d retroattività della norma più favorevole trova applicazione soltanto qualora la disciplina sopravvenuta incida direttamente sulla fattispecie tipica»; così anche Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266474; Sez. 3, n, 28681 del 27/01/2017, COGNOME, Rv. 270335; Sez. 5, n. 26580 del 21/02/2018, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
COGNOME, Rv. 273355; Sez. 3, n. 11520 del 19/01/2019, COGNOME, Rv. 275990; Sez. 3, n. 5411 del 25/10/2019, dep. 2020, Rv. 278595).
4.5. Calando tali principi nell’esame della dedotta fattispecie tipica ex art. 323 cod. pen., ritiene questo Collegio che il dato oggettivo della violazione di legge rappresenti, in questa, semplicemente un presupposto di tipo fattuale, necessario per l’integrazione del paradigma normativo dell’abuso di ufficio; il contenuto della norma violata, però, non viene pedissequamente trasfuso all’interno della figura tipica e non diviene, quindi, elemento integrativo del precetto. Il contenuto della regola extrapenale e, consequenzialmente, la sussistenza di tale requisito di fatto devono essere parametrati, pertanto, alla conformazione che tale norma presentava, allorquando venne realizzata la condotta violata; una eventuale modifica della normativa richiamata dal modello legale ex art. 323 cod. pen., che temporalmente si collochi in epoca posteriore, rispetto al tempus commissi delicti, quindi, non comporta l’operatività del fenomeno della successione di leggi penali nel tempo, di cui all’art. 2 cod. pen. La nuova veste assunta dalla normativa richiamata, in effetti, non determina l’ingresso – nel perimetro valutativo demandato al giudice – di una difforme considerazione del fatto tipico astrattamente delineato, né della valenza dello stesso in termini di antigiuridicità, rimanendo invece intonso il presupposto della violazione di legge. La rimodulazione normativa della norma extrapenale richiamata, infatti, si riverbera, nel caso singolo, sulla futura applicazione in concreto della medesima norma incriminatrice. L’applicazione della disciplina dettata dall’art. 2 cod. pen., con correlato recupero della lex mitior, invece, postula che la norma extrapenale richiamata dal modello legale risulti in quest’ultimo incamerata, così divenendone parte strutturale; solo in tal caso, il mutamento della regola richiamata – e l’applicazione della stessa nella nuova formulazione – può portare a ritenere non integrato il reato, ovvero a reputare che lo stesso risulti concretizzato in modo più favorevole al reo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.6. Deve ricordarsi come la sopra richiamata modifica, operata a mezzo dell’art. 50 del d.lgs. n. 36 del 2023 non si riverberi, in realtà, nemmeno sulla configurabilità della fattispecie delittuosa di cui all’art. 479 cod. pen. E inf anche nella materia del falso ideologico, posto in essere da soggetto agente che rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o impiegato in atto pubblico, non si verif un fenomeno di successione di leggi penali, in presenza di modifiche attinenti alle sole norme extrapenali richiamate dal modello legale. L’applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole, sancito dall’art. 2 cod. pen postula invece una rimodulazione di portata generale della fattispecie incriminatrice, ossia delle norme che circoscrivono l’alveo previsionale della fattispecie, nella sua struttura essenziale e circostanziata ed ivi incluse le norme
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extrapenali direttamente integratrici della previsione incriminatrice. Resta estraneo al meccanismo della successione delle leggi penali nel tempo ex art. 2 cod. pen., pertanto, la modifica di atti o fatti amministrativi che, sebbene rifluiscano sulla punibilità o meno di determinate condotte, non vanno a incidere immediatamente sul perimetro applicativo della fattispecie delittuosa del falso ideologico (per casi similari, si potranno vedere Sez. 6, n. 9927 del 10/07/1995, Caliciuri, Rv. 202873; Sez. 5, n. 9950 del 23/09/1996, COGNOME, Rv. 206147; Sez. 5, n. 4114 del 25/02/1997, COGNOME, Rv. 207479; Sez. 5, n. 14731 del 23/11/1999, COGNOME, Rv. 215197; Sez. 5, n. 12685 del 21/09/2000, COGNOME, Rv. 219188; Sez. 5., n. 24817 del 09/05/2003, COGNOME, rv. 224985).
4.7. Riassumendo l’iter concettuale sin qui seguito, questo Collegio reputa opportuno fissare i seguenti ancoraggi teorici:
nel delitto di abuso d’ufficio, la violazione di legge rappresenta solo un presupposto di fatto del paradigma normativo;
il contenuto della norma violata non integra la figura tipica ex art. 323 cod. pen.;
l’eventuale integrazione della fattispecie deve essere valutata in rapporto alla sussistenza del presupposto di fatto, rappresentato dalla violazione di legge, al momento del fatto;
nel caso di successiva modificazione della norma stessa, non può trovare applicazione la regola di cui all’art. 2 cod. pen., dal momento che la nuova norma “richiamata” non introduce una diversa valutazione attinente alla figura tipica e alla sua antigiuridicità, verificandosi solo il mutamento di una disposizione extrapenale che si riverbera sulla futura applicazione futura della fattispecie incriminatrice;
parimenti, nel reato di falso ideologico, l’applicazione dell’istituto ex art. 2 co pen. è esclusa, in presenza di mutamenti normativi inerenti alle sole norme extrapenali richiamate dal modello legale, che però non incidano su elementi direttamente incorporati nella figura incriminatrice tipica.
4.8. Si intende sostanzialmente dare continuità all’orientamento già espresso da Sez. 6, n. 10656 del 15/01/2003, COGNOME, Rv. 224017, a mente della quale: «Nell’abuso di ufficio connesso a una violazione di legge, questa si pone come mero presupposto di fatto per l’integrazione del delitto e lo specifico contenuto della regola violata non si incorpora nella norma penale e non va ad integrare la relativa fattispecie. Ne consegue che la sussistenza di tale requisito di fatto deve essere ricercata nel momento stesso del reato e la valutazione del giudice non può che essere rapportata al contenuto che quella regola possedeva al tempo in cui il reato fu commesso, con l’effetto ulteriore che, in caso di modificazione successiva di tale regola, non trova applicazione l’art. 2 cod. pen., in quanto la nuova legge
RAGIONE_SOCIALE
di riferimento non introduce alcuna differente valutazione in relazione a fattispecie legale astratta disegnata dalla norma incriminatrice e al suo signi di disvalore (rimanendo immutato il presupposto della “violazione di legge”), m modifica una disposizione extrapenale che si limita ad influire, nel caso sing sulla concreta applicazione futura della stessa norma incriminatrice, nel senso la sussistenza del requisito della “violazione di legge” va verificata alla luc nuova regola»; in senso conforme Sez. 6, n. 18149 del 07/04/2005, Fabbri, Rv. 231342).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotes esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, 07 dicembre 2023.