Reddito di Cittadinanza: non c’è abolizione del reato ma successione leggi penali
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sul tema della successione leggi penali in relazione ai reati connessi all’indebita percezione di sussidi statali, specificamente nel passaggio dal Reddito di Cittadinanza al Reddito di Inclusione. La Corte ha rigettato la tesi dell’abolitio criminis, stabilendo la continuità normativa tra le due fattispecie e confermando la validità delle condanne emesse sotto la vecchia normativa.
L’analisi del caso: la difesa punta sull’abrogazione della norma
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un cittadino condannato per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019, relativo a false dichiarazioni per ottenere il Reddito di Cittadinanza. Il ricorrente sosteneva che la sentenza di condanna dovesse essere revocata ai sensi dell’art. 673 c.p.p., a causa dell’abrogazione formale della norma incriminatrice, operata dalla Legge n. 197/2022 a partire dal 1° gennaio 2024. Secondo la difesa, tale abrogazione avrebbe integrato un’ipotesi di abolitio criminis, estinguendo di fatto il reato e ogni suo effetto penale.
La successione leggi penali secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha respinto categoricamente questa interpretazione. Gli Ermellini hanno chiarito che il caso in esame non configura un’abolizione del reato, bensì un fenomeno di successione leggi penali nel tempo, disciplinato dall’art. 2, comma terzo, del codice penale. L’abrogazione della norma sul Reddito di Cittadinanza non ha creato un vuoto normativo, ma è stata contestuale all’introduzione di una nuova incriminazione, del tutto “sovrapponibile”, relativa al nuovo Reddito di Inclusione (introdotto con D.L. n. 48/2023). In sostanza, il legislatore non ha inteso rendere lecita la condotta, ma ha semplicemente aggiornato il quadro normativo, sostituendo una misura di sostegno con un’altra e mantenendo la sanzione penale per chi la ottiene indebitamente.
La distinzione cruciale con l’Abolitio Criminis
La differenza è sostanziale: l’abolitio criminis (art. 2, comma secondo, c.p.) si verifica quando una condotta, prima considerata reato, viene resa penalmente lecita. In tal caso, le sentenze di condanna passate in giudicato vengono revocate. Nel caso della successione di leggi, invece, la condotta rimane illecita e la punibilità è garantita senza soluzione di continuità. La Corte ha sottolineato che la nuova norma sul Reddito di Inclusione ha preso il posto della precedente, sanzionando il medesimo comportamento fraudolento ai danni dello Stato.
Motivi di Ricorso Aggiuntivi: Una Questione Procedurale
Il ricorrente aveva sollevato anche un secondo motivo di ricorso, contestando la violazione di legge in relazione all’elemento soggettivo del reato. Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile dalla Corte. La ragione è puramente procedurale: ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., una censura non può essere proposta per la prima volta in Cassazione se non è stata precedentemente dedotta come motivo di appello. Il ricorrente avrebbe dovuto sollevare la questione già nel giudizio di secondo grado, cosa che non è avvenuta.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di garantire la continuità dell’ordinamento penale di fronte a riforme legislative che modificano gli strumenti di welfare senza alterare il disvalore delle condotte fraudolente. La decisione si allinea a un precedente orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 39155/2024), consolidando il principio secondo cui la mera sostituzione di un beneficio economico con un altro di natura analoga non comporta l’estinzione dei reati connessi alla sua illecita percezione. Inoltre, la Corte ribadisce il rigore procedurale che impone di presentare tutte le doglianze nei gradi di merito, precludendo la possibilità di introdurre nuove questioni di fronte alla giurisdizione di legittimità.
Le conclusioni
L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, conferma che tutte le sentenze di condanna per i reati legati al Reddito di Cittadinanza rimangono valide ed esecutive. In secondo luogo, serve da monito sulla corretta impostazione dei ricorsi in Cassazione, evidenziando l’inammissibilità di motivi non precedentemente sollevati in appello. La decisione rafforza la tutela penale contro le frodi ai danni dello Stato, assicurando che le modifiche normative sui sussidi non creino scappatoie per eludere la responsabilità penale.
L’abrogazione della normativa sul reddito di cittadinanza ha comportato l’abolizione del reato per chi lo ha percepito indebitamente?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non si tratta di un’abolizione del reato (
abolitio criminis), ma di una successione di leggi penali nel tempo. La condotta fraudolenta è rimasta punita dalla nuova normativa relativa al reddito di inclusione.
Perché un motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile dalla Cassazione?
Il secondo motivo di ricorso, relativo all’elemento soggettivo del reato, è stato dichiarato inammissibile perché non era stato presentato come specifico motivo nel precedente grado di giudizio (l’appello), come invece richiesto dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.
Qual è la differenza tra ‘abolitio criminis’ e ‘successione di leggi penali’ secondo questa ordinanza?
L’abolitio criminis si ha quando il legislatore cancella un reato, rendendo lecita una condotta prima punita. La successione di leggi si verifica quando una nuova norma sostituisce la precedente, ma la condotta di base rimane penalmente rilevante, garantendo la continuità della tutela penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5963 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5963 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SARNO il 21/10/1977
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME ritenuto che il motivo di ricorso che contesta la violazione di legge in relazione al giudizio di responsabilità è manifestamente infondato;
invero, i n tema di esecuzione, non deve essere revocata a norma dell’art. 673 cod. proc. pen. la sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, posto che la formale abrogazione dell’indicata norma incriminatrice, disposta dall’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, a far data dall’I. gennaio 2024, non integra un’ipotesi di “abolitio criminis”, di cui all’art. 2, comma secondo, cod. pen., ma dà luogo a un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nel disposto di cui all’art. 2, comma terzo, cod. pen., avuto riguardo alla yorrispondente incriminazione introdotta dall’art. 8 dl. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, del tutto sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di quello di cittadinanza (Sez. 3 – , Sentenza n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME Luciano, Rv. 286951 – 01;
ritenuto che il secondo motivo di ricorso che contesta la violazione di legge in relazione all’elemento soggettivo della fattispecie contestata non è consentito in sede di legittimità perché la censura non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto contestare specificamente nell’odierno ricorso, se incompleto o comunque non corretto;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025
Il Presidente