Stato di necessità: non giustifica lo spaccio di droga
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: le difficoltà economiche, per quanto gravi, non possono integrare lo stato di necessità e giustificare la commissione di reati legati agli stupefacenti. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Processo
Il caso riguarda un individuo condannato dalla Corte d’Appello per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, specificamente cocaina e marijuana, in quantità non trascurabili e con un elevato principio attivo. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su diversi motivi. In primo luogo, ha invocato l’applicazione della scriminante dello stato di necessità, sostenendo di essere stato spinto a commettere il reato da una condizione di bisogno economico tale da mettere a rischio diritti fondamentali. A sostegno di questa tesi, ha citato le denunce della moglie per la violazione degli obblighi di mantenimento. Oltre a ciò, ha lamentato la mancata applicazione dell’attenuante della collaborazione e un vizio nella motivazione della pena, a suo dire basata solo sulla quantità della droga e non su tutti i criteri previsti dalla legge.
L’analisi della Cassazione sullo stato di necessità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo generico e ripetitivo. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse già fornito una motivazione specifica, adeguata e congrua su tutti i punti sollevati dalla difesa. In particolare, la Corte di merito aveva già escluso in fatto e in diritto la sussistenza dello stato di necessità. La giurisprudenza è costante nell’affermare che la scriminante dello stato di necessità presuppone un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non al patrimonio. Le difficoltà economiche, pur potendo incidere sulla vita di una persona, non integrano quel pericolo imminente e inevitabile alla persona fisica richiesto dall’art. 54 del codice penale.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha ritenuto la valutazione della Corte d’Appello non solo completa, ma anche non arbitraria e non sindacabile in sede di legittimità. I giudici di merito avevano correttamente motivato la loro decisione su ogni aspetto:
1. Assenza dello stato di necessità: È stato chiarito che la necessità di far fronte a un bisogno economico non può giustificare un’attività illecita come lo spaccio di droga, che a sua volta crea un grave pericolo per la salute pubblica.
2. Mancanza dei presupposti per l’attenuante della collaborazione: Anche su questo punto, la motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta adeguata.
3. Quantificazione della sanzione: La pena era stata determinata tenendo conto non solo della quantità, ma anche della purezza della sostanza (cocaina all’81%), elemento che ne denota la pericolosità e che giustifica una sanzione adeguata, come correttamente argomentato dai giudici di secondo grado.
In sostanza, la Corte di Cassazione ha confermato che la valutazione compiuta nel giudizio d’appello era immune da vizi logici o giuridici, e che le censure del ricorrente si limitavano a riproporre questioni già adeguatamente risolte.
Le Conclusioni della Corte
Con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la condanna è diventata definitiva. Il ricorrente è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza un orientamento consolidato: lo stato di bisogno economico non è una ‘licenza’ per delinquere. La legge prevede strumenti di tutela sociale per affrontare le difficoltà economiche, e il ricorso ad attività criminali, oltre a essere illegale, non può trovare giustificazione nell’ordinamento giuridico attraverso l’invocazione dello stato di necessità.
Lo stato di necessità economico può giustificare il reato di spaccio di droga?
No, secondo la decisione della Corte, la condizione di bisogno economico non integra la causa di giustificazione dello stato di necessità prevista dall’art. 54 del codice penale, la quale richiede un pericolo attuale di un danno grave alla persona e non al patrimonio.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico e ripetitivo. La Corte ha stabilito che i motivi presentati non introducevano nuove argomentazioni valide, ma si limitavano a contestare la valutazione, già completa e congrua, effettuata dalla Corte d’Appello su tutti i punti, inclusa l’insussistenza dello stato di necessità e la correttezza della pena.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente a seguito della decisione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, la condanna inflitta dalla Corte d’Appello è diventata definitiva. Inoltre, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1045 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1045 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 22/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 05/03/1975
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata che lo ha condannato per il delitto di all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e denuncia: a) violazione di legge per manca applicazione dello stato di necessità ex art. 54 cod. pen. derivante dalla condizione di bisogno economico che lo ha condotto alla commissione del delitto per evitare danni gravi a dir fondamentali; b) travisamento delle prove sullo stato di necessità derivante dallo stat disoccupazione acclarato dalle diverse denunce della moglie per violazione dell’obbligo mantenimento; c) contraddittorietà della motivazione sull’esimente indicata; d) violazion legge e mancanza di motivazione per mancata applicazione dell’art. 73,, comma 7, d. P.R. n. 309 del 1990 nonostante il comportamento collaborativo tenuto dal ricorrente; e) vizio di motivazio in relazione alla sanzione applicata che ha tenuto conto solo della quantità della sanzione e anche dei criteri fissati dall’art. 133 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile in quanto generico e reiterativo.
2.1. La sentenza impugnata, infatti, dopo avere descritto l’avvenuto arresto di COGNOME Lou trovato in possesso di cocaina e marjuana per un quantitativo non trascurabile e con un princip attivo, per la cocaina, pari alli 81 % di purezza ha reso specifica ed adeguata motivazione circa l’assenza dello stato di necessità in termini di fatto e di diritto (pag. 5), sia circa l di presupposti dell’attenuante della collaborazione (pag. 6), sia circa gli argomenti utiliz la quantificazione della sanzione (pag. 7). Si tratta di valutazione che, tenuto conto qualificazione giuridica del fatto ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d. P.R. n. 309 del non è affatto arbitraria, ma completa e congrua, non sindacabile in questa sede anche alla luc dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità per ciascuna di dette censu correttamente richiamato dalla Corte di merito
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in euro tremila, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente nella determinazione della cau d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 dicembre 2023.