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Stato di necessità: quando non giustifica l’evasione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per essersi allontanato dagli arresti domiciliari. La Corte ha stabilito che non sussisteva lo stato di necessità, poiché le informazioni ricevute dalla polizia non costituivano un motivo valido per giustificare l’allontanamento dal domicilio, confermando la decisione della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Stato di Necessità: Non è una Scusa per Evadere dagli Arresti Domiciliari

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione dell’esimente dello stato di necessità, in particolare nel contesto dei reati contro le misure restrittive della libertà personale. La Suprema Corte ha confermato che non ogni situazione di presunto pericolo può giustificare la violazione degli obblighi imposti, come l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte di Appello che lo aveva condannato per essersi allontanato dal proprio domicilio, dove era ristretto agli arresti domiciliari. La difesa del ricorrente si basava interamente sulla tesi dello stato di necessità. Secondo la sua ricostruzione, l’allontanamento era stato dettato da una situazione di grave pericolo percepita a seguito di informazioni ricevute dal personale di polizia in merito a un provvedimento da notificargli. L’imputato sosteneva di aver agito per salvarsi da un danno grave e imminente.

Stato di Necessità e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno definito il motivo del ricorso “manifestamente infondato” e “riproduttivo di identica censura” già adeguatamente respinta dalla Corte di Appello. La decisione sottolinea che l’argomentazione difensiva era stata correttamente smontata nel precedente grado di giudizio, dove era stata esclusa, anche a livello putativo (cioè solo percepito dal soggetto), la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 54 del codice penale.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della motivazione risiede nella valutazione dei fatti. La Corte di Appello aveva già evidenziato, con un’argomentazione ritenuta “giuridicamente corretta” dalla Cassazione, che non esistevano motivi concreti che potessero giustificare l’abbandono del domicilio. Le informazioni ricevute dalle forze dell’ordine circa la notifica di un provvedimento non integravano in alcun modo un “pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

La Suprema Corte, confermando tale impostazione, ha ribadito che per invocare lo stato di necessità è indispensabile la presenza di una minaccia reale, imminente e non altrimenti evitabile. In assenza di tali elementi, la condotta di chi viola una misura restrittiva rimane penalmente rilevante. L’appello, non presentando nuovi o validi argomenti, è stato quindi ritenuto inammissibile.

Le Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale del diritto penale: le cause di giustificazione, come lo stato di necessità, non possono essere utilizzate in modo pretestuoso per eludere le conseguenze di un comportamento illecito. La loro applicazione richiede una rigorosa verifica dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge.

La decisione ha avuto conseguenze dirette per il ricorrente: oltre alla conferma della condanna, è stato obbligato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questo caso serve da monito sull’importanza di fondare i ricorsi su argomentazioni solide e non meramente ripetitive, specialmente quando si invocano istituti giuridici di applicazione eccezionale.

È possibile invocare lo stato di necessità per giustificare l’allontanamento dagli arresti domiciliari?
Secondo questa ordinanza, l’invocazione dello stato di necessità è possibile solo se sussistono i presupposti stringenti dell’art. 54 del codice penale, ovvero un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che tali presupposti non fossero presenti.

Cosa significa quando un ricorso viene dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito dalla Corte perché è ritenuto manifestamente infondato o perché non rispetta i requisiti procedurali. Questa decisione rende definitiva la sentenza impugnata.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo caso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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