Stato di Necessità: Limiti e Applicazione nell’Occupazione Abusiva
L’occupazione abusiva di un immobile dettata da un’emergenza abitativa può essere giustificata dallo stato di necessità? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna su questo tema delicato, tracciando confini precisi per l’applicazione della scriminante prevista dall’art. 54 del codice penale. La decisione sottolinea come questa causa di giustificazione non possa essere utilizzata per risolvere problemi abitativi stabili e duraturi, ma solo per fronteggiare pericoli imminenti e transitori.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due persone condannate dalla Corte d’Appello per l’occupazione abusiva di un bene immobile. I ricorrenti lamentavano principalmente due aspetti della sentenza di secondo grado. In primo luogo, la mancata applicazione della scriminante dello stato di necessità, sostenendo di aver agito per far fronte a una grave esigenza abitativa. In secondo luogo, contestavano la contraddittorietà della motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio, poiché, pur essendo accusati dello stesso reato, avevano ricevuto pene di entità diversa.
Lo Stato di Necessità secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendo le argomentazioni generiche e infondate. Sul punto cruciale dello stato di necessità, i giudici hanno confermato l’orientamento consolidato della giurisprudenza. La scriminante può essere invocata solo quando sussistono tutti i suoi elementi costitutivi, tra cui l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo.
La Corte ha precisato che il pericolo di danno grave alla persona, che può includere anche la compromissione del diritto all’abitazione, deve essere attuale e transitorio. Lo stato di necessità non può, quindi, essere invocato per “sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa”. In altre parole, non può diventare uno strumento per legalizzare una situazione di illegalità permanente, nata da un problema sociale cronico.
La Differenziazione della Pena
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla diversa entità delle pene inflitte, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha validato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano correttamente motivato una sanzione più severa per uno dei due ricorrenti. Questa scelta era basata sulla sua “maggiore capacità a delinquere”, desumibile dai precedenti penali. Ciò conferma il principio secondo cui il giudice, nel determinare la pena, deve tenere conto della personalità dell’imputato e del suo passato giudiziario, personalizzando la sanzione in base alla specifica situazione.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. Primo, la genericità del ricorso: i ricorrenti si sono limitati a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata. Questo vizio procedurale, secondo l’art. 591 c.p.p., porta all’inammissibilità. Secondo, nel merito, la Corte ribadisce che l’occupazione abusiva è scriminata solo in presenza di un pericolo imminente e non altrimenti evitabile di un grave danno alla persona. L’esigenza abitativa, seppur fondamentale, quando si presenta come una condizione stabile e non come un’emergenza improvvisa, non rientra in questa casistica. La Corte ha inoltre ritenuto legittima la differenziazione della pena, in quanto adeguatamente motivata con riferimento alla diversa pericolosità sociale dei due soggetti, come emerso dai loro precedenti penali.
Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio chiave: lo stato di necessità è un’ancora di salvezza per situazioni di emergenza eccezionali e temporanee, non una soluzione a problemi sociali strutturali come la mancanza di alloggi. La decisione riafferma la distinzione tra un pericolo imminente e una condizione di bisogno cronica, negando che quest’ultima possa giustificare la violazione permanente del diritto di proprietà. Infine, viene confermata la discrezionalità del giudice nel commisurare la pena alla specifica personalità del reo, valorizzando il principio di individualizzazione del trattamento sanzionatorio.
Quando l’occupazione abusiva di un immobile può essere giustificata dallo stato di necessità?
Secondo la Corte, lo stato di necessità può giustificare l’occupazione solo in relazione a un pericolo attuale, inevitabile e transitorio di un danno grave alla persona, e non per risolvere in via definitiva una propria esigenza abitativa.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico, ovvero si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già discusse e respinte dal giudice d’appello, senza una critica specifica alla motivazione della sentenza impugnata.
È legittimo che due persone, condannate per lo stesso reato, ricevano pene diverse?
Sì, è legittimo se la differenza è motivata. Nel caso specifico, una pena più severa è stata giustificata dalla maggiore capacità a delinquere di uno dei ricorrenti, desumibile dai suoi precedenti penali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 186 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 186 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato il 02/09/1995
NOME COGNOME nato il 14/06/1966
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME presentati con un unico atto;
ritenuto che il primo motivo, comune ad entrambi i ricorsi, che lamenta la mancata applicazione della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., è generico perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici;
che, invero, la mancanza di specificità del motivo, dalla quale, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), deriva l’inammissibilità, si desume dalla mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione;
che, il giudice di appello, con corretti argomenti logici e giuridici, ha ritenuto non sussistente nel caso di specie la causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen. (si vedano le pagg. 4-5 della sentenza impugnata) argomentando con riferimento all’assenza degli elementi costitutivi della scriminante ed in applicazione dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «l’abusiva occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al pericolo di danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell’illecita occupazione, gli altri elementi costituti della scriminante, quali l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo; ne consegue che la stessa può essere invocata solo in relazione ad un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di reperire un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa» (per tutt Sez. 2, n. 10694 del 30/10/2019, dep. 2020, Tortorici, Rv. 278520 – 01);
considerato che la doglianza contenuta nel primo motivo dei ricorsi in esame, che lamenta la contraddittorietà della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio poiché, pur trattandosi della medesima contestazione, la pena risulta differente per i due odierni ricorrenti, è manifestamente infondata poiché non tiene conto di quanto correttamente affermato dal giudice di primo grado – poi confermato dalla corte di appello – per il quale NOME è meritevole di una più severa risposta sanzionatoria stante la maggiore capacità a delinquere desumibile dai precedenti penali;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2024.