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Stato di necessità: quando è giustificabile?

Un uomo, condannato per aver violato la sorveglianza speciale, ha invocato lo stato di necessità putativo, sostenendo di aver agito per impedire al fratello di acquistare droga. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che la scriminante dello stato di necessità richiede prove concrete e non generiche supposizioni, confermando così la condanna.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Stato di necessità: quando la legge lo riconosce? L’analisi della Cassazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 29594/2025, offre un’importante lezione sui limiti della scriminante dello stato di necessità. Quando un’azione, di per sé illecita, può essere giustificata dalla convinzione di dover evitare un male maggiore? Il caso analizzato riguarda un individuo che, violando la sorveglianza speciale, si è allontanato dal comune di soggiorno obbligatorio, sostenendo di voler impedire al fratello di acquistare sostanze stupefacenti. La Suprema Corte ha fornito una risposta chiara: le buone intenzioni, se non supportate da prove concrete, non bastano a escludere la responsabilità penale.

I Fatti del Caso: Violazione della Sorveglianza Speciale

L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per aver violato le prescrizioni della sorveglianza speciale, che gli imponevano l’obbligo di soggiorno in un determinato comune. Nello specifico, si era recato in un’altra città, venendo meno ai suoi obblighi. A sua discolpa, l’uomo ha sempre sostenuto di aver agito spinto da uno stato di necessità putativo, ovvero dall’erronea convinzione di trovarsi in una situazione che, se fosse stata reale, avrebbe giustificato il suo comportamento. La sua tesi era di aver agito per un fine nobile: raggiungere il fratello per impedirgli di allontanarsi da una comunità terapeutica e ricadere nel tunnel della droga.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro principali motivi:

1. Procedura: Contestava il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’audizione del fratello, prova ritenuta decisiva.
2. Stato di necessità: Sosteneva l’errata valutazione della Corte d’Appello riguardo alla sussistenza della scriminante dello stato di necessità, anche solo a livello putativo.
3. Particolare tenuità del fatto: Lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, nonostante la concessione delle attenuanti generiche.
4. Pene sostitutive: Criticava la decisione di non applicare pene sostitutive alla detenzione, ritenute più adeguate al reinserimento sociale.

La Decisione della Corte sullo stato di necessità

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che, per quanto riguarda lo stato di necessità, l’allegazione da parte dell’imputato deve fondarsi su dati di fatto concreti e verificabili, non su mere supposizioni o prospettazioni generiche. La semplice dichiarazione di voler aiutare il fratello, senza alcun elemento di riscontro, è stata ritenuta insufficiente a giustificare la violazione della legge.

Le motivazioni della sentenza

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive.
Sul piano processuale, una volta che l’imputato ha scelto il giudizio abbreviato ‘secco’ (senza integrazione probatoria) dopo il rigetto di quello condizionato, non può pretendere in appello un recupero dell’attività istruttoria a cui aveva rinunciato. L’audizione del fratello è stata inoltre considerata irrilevante, basandosi su un elemento puramente congetturale.

Per quanto concerne lo stato di necessità, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: questa scriminante presuppone un pericolo attuale di un danno grave alla persona, e chi la invoca deve fornire elementi concreti che giustifichino la convinzione di trovarsi in tale situazione. Nel caso di specie, mancava qualsiasi prova oggettiva del presunto pericolo corso dal fratello.

Infine, i giudici hanno ritenuto infondate anche le censure sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p. e delle pene sostitutive. La Corte d’Appello aveva implicitamente ma adeguatamente motivato la gravità del fatto, basandosi sui numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato e sulla ‘disinvolta violazione’ delle prescrizioni, elementi che delineavano una prognosi negativa sia sulla non abitualità del comportamento sia sull’idoneità di misure alternative al carcere.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che le cause di giustificazione, come lo stato di necessità, non possono essere invocate a cuor leggero. La legge richiede che la percezione del pericolo sia ancorata a una realtà fattuale concreta e dimostrabile. Un’intenzione soggettiva, per quanto lodevole, non può prevalere sul rispetto di un provvedimento giudiziario se non è supportata da elementi oggettivi. La decisione sottolinea l’importanza del rigore probatorio nel processo penale e chiarisce che la valutazione sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato è un processo complesso, dove la concessione di attenuanti generiche non implica automaticamente una valutazione di ‘particolare tenuità’ del fatto.

Quando si può invocare lo stato di necessità per giustificare un reato?
Secondo la sentenza, lo stato di necessità può essere invocato solo se si basa su dati di fatto concreti e verificabili che dimostrino l’esistenza di un pericolo attuale di un danno grave alla persona. Una mera supposizione o una prospettazione generica da parte dell’imputato non è sufficiente.

La richiesta di giudizio abbreviato condizionato, se respinta, può essere rivalutata in appello?
No. Se, dopo il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l’imputato opta per un giudizio abbreviato ‘secco’ (basato solo sugli atti esistenti), accetta di fatto che il processo si svolga senza l’integrazione probatoria richiesta. Non può, quindi, pretendere in appello di recuperare tale attività istruttoria.

Il riconoscimento delle attenuanti generiche significa che il fatto è di ‘particolare tenuità’?
Non necessariamente. La Corte chiarisce che non c’è contraddizione tra il concedere le attenuanti generiche (che attengono prevalentemente a profili soggettivi del reo) e il negare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (che si basa su parametri oggettivi). Il giudice può ritenere il fatto comunque grave, come dimostrato implicitamente nella determinazione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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