Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20707 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20707 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GELA il 02/08/1990
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro la sentenza emessa in data 23 settembre 2024 con cui la Corte di appello di Caltanissetta, confermando la sentenza di primo grado, lo ha condannato alla pena di mesi dieci di arresto per il reato di cui all’art. 76, comma 4, d.lgs. n.159/2011;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 54 cod. pen. e 62-bis cod. pen., per avere la Corte di appello ritenuto non addotte prove della impossidenza, quale stato di necessità che aveva impedito il versamento della cauzione, mentre la dichiarazione verbale della propria condizione economica precaria costituisce una prova sufficiente; per avere ritenuto significativa in termini negativi la mancata prestazione di attività lavorativa durante la carcerazione, che è stata però precedente all’applicazione della misura di prevenzione; per avere negato le attenuanti generiche, che dovevano essere concesse per l’atteggiamento collaborativo tenuto durante il processo;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto la Corte di appello ha motivato ampiamente, in modo logico, completo e non contraddittorio, la mancata allegazione di elementi oggettivi idonei a dimostrare l’asserito stato di necessità, nonché la tardività della prospettazione dell’impossibilità di versare la cauzione imposta dalla legge, in quanto mai dichiarata nell’ambito del procedimento di prevenzione ed affermata solo verbalmente dal ricorrente, quindi con una modalità non suscettibile di verifica, mentre la condotta accertata dai giudici, consistita nel non avere chiesto di svolgere lavoro intramurario, anche se in epoca antecedente all’applicazione della misura di prevenzione, dimostra la volontarietà dell’eventuale, e solo asserito, stato di incapacità economica (vedi Sez. 6, n. 27411 del 20/06/2024, Rv. 286826; Sez. 6, n. 15484 del 12/02/2004, Rv. 229446);
ritenuto il ricorso inammissibile anche quanto alla censura circa l’omessa concessione delle attenuanti generiche, con la quale il ricorrente si limita a sostenere di avere tenuto un atteggiamento collaborativo senza confrontarsi con la sentenza che, in quanto “doppia conforme”, deve essere letta unitamente a quella di primo grado, formando con essa un unico corpo argomentativo, e che, in ordine a tale atteggiamento, ha sottolineato in termini negativi la mancata allegazione di elementi concreti idonei a supportare la mera affermazione di essersi trovato in condizioni di indigenza e la proposizione di giustificazioni
inattendibili e sintomatiche di un «difetto di consapevolezza del disvalore del proprio agire», e la personalità negativa del ricorrente, desumibile dai suoi molti
precedenti penali, giustificando anche l’irrogazione di un pena superiore al minimo edittale per il rilevante disvalore del fatto;
ritenuto altresì che debba confermarsi il consolidato indirizzo di questa
Corte, secondo cui «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di
legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai
fini della concessione o dell’esclusione» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv.
271269);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen. e alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale, in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto
il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 08 maggio 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente