Stato di Necessità: Quando la Paura Non Giustifica il Reato
Introdurre sostanze stupefacenti in un carcere è un reato grave, ma cosa succede se si è costretti a farlo sotto minaccia? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale: lo stato di necessità non può essere invocato se esisteva un’alternativa lecita per sventare il pericolo, come rivolgersi alle autorità. Questa pronuncia offre spunti cruciali per comprendere i limiti di una delle più note cause di giustificazione del nostro ordinamento penale.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda una madre condannata per aver tentato di introdurre droga in un istituto penitenziario durante una visita al figlio detenuto. La sua difesa si è basata su una tesi drammatica: avrebbe agito sotto costrizione, poiché il figlio era stato minacciato da altri detenuti. Secondo la sua versione, l’introduzione della droga era l’unico modo per proteggere il figlio da gravi ritorsioni.
L’Esimente dello Stato di Necessità e la Decisione della Corte
La difesa ha quindi invocato l’applicazione dell’esimente dello stato di necessità, sostenendo che il pericolo attuale e grave per l’incolumità del figlio rendeva non punibile il suo comportamento. Tuttavia, sia il giudice di merito che, in seguito, la Corte di Cassazione hanno respinto questa tesi.
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo basato su mere doglianze di fatto, ovvero su una contestazione della ricostruzione degli eventi già valutata nei precedenti gradi di giudizio. Ma il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dei presupposti dello stato di necessità.
Le Motivazioni della Corte
I giudici hanno sottolineato un punto cardine, consolidato nella giurisprudenza: la causa di giustificazione dello stato di necessità non è configurabile quando il soggetto che la invoca ha la possibilità di sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione delle autorità. In altre parole, se esiste una soluzione alternativa lecita, praticabile ed efficace per neutralizzare il pericolo, questa deve essere percorsa.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto, in modo non illogico, che la madre o il figlio avrebbero potuto e dovuto denunciare le minacce al personale del carcere o ad altre autorità competenti. Questa soluzione era considerata un’alternativa concreta ed efficace per proteggere il detenuto, rendendo quindi ingiustificato il ricorso all’azione illecita. La scelta di commettere il reato, in presenza di un’alternativa legale, fa venir meno uno dei pilastri fondamentali dell’esimente: l’inevitabilità del comportamento antigiuridico.
Conclusioni
La decisione riafferma un principio di diritto chiaro e rigoroso: la legge non giustifica un’azione criminale se il pericolo paventato poteva essere evitato con mezzi legali. Lo stato di necessità è un’ancora di salvezza per situazioni estreme e inevitabili, non uno scudo per chi sceglie la via dell’illegalità pur avendo a disposizione alternative lecite. Questa pronuncia serve da monito: prima di infrangere la legge, anche spinti dalla paura, è imperativo valutare e percorrere ogni possibile strada legale per risolvere la situazione di pericolo. La condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende sigilla la ferma posizione della Corte sulla questione.
Quando è applicabile la difesa basata sullo stato di necessità?
Lo stato di necessità si applica solo quando un’azione, che altrimenti sarebbe reato, è compiuta come unico modo per salvare sé stessi o un’altra persona da un pericolo attuale di un danno grave alla persona, a condizione che tale pericolo non sia stato causato volontariamente e non fosse altrimenti evitabile.
Perché in questo caso specifico la Corte di Cassazione ha escluso lo stato di necessità?
La Corte ha escluso lo stato di necessità perché la persona minacciata (o chi agiva per lei) avrebbe potuto neutralizzare il pericolo ricorrendo alla protezione delle autorità competenti (es. denunciando le minacce alla direzione del carcere). La disponibilità di questa alternativa lecita ed efficace ha reso il comportamento illecito non giustificabile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. Di conseguenza, la persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, stabilita equitativamente dalla Corte, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 759 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 759 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a PALERMO il 15/10/1961
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che, con unico motivo di ricorso, NOME COGNOME condannata alle pene di legge per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 in relazione alla droga detenut occasione del suo ingresso in carcere per far visita al figlio ivi detenuto, deduce er applicazione della legge penale quanto all’esclusione dell’invocata esimente dello stato d necessità;
Considerato che si tratta di motivo non consentito in sede di legittimità in quanto costitu da mere doglianze di fatto e riproduttivo di censure già adeguatamente valutate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, che ha non illogicamente escluso la tesi, per soltanto tardivamente sostenuta in contrasto con quanto in prima battuta dichiarato dal figli circa il fatto che quest’ultimo sarebbe stato minacciato da altri detenuti se non avesse introdo in carcere la droga tramite la madre, trattandosi, del resto, di censure che prospettano enuncia ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità correttament richiamata dalla sentenza impugnata, posto che la causa di giustificazione dello stato di necessit non è configurabile nel caso in cui il soggetto che la invochi possa sottrarsi alla mina ricorrendo alla protezione dell’Autorità, ove tale soluzione alternativa si prospetti come realme praticabile ed efficace a neutralizzare la situazione di pericolo attuale in cui l’agente o i destinatario della minaccia versa (Sez. 1, n. 47712 del 29/09/2022, Termine, Rv. 283785), ciò che la sentenza ha nella specie non illogicamente ritenuto (pag. 5);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere de spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della tassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della £assa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2023.