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Stato di necessità: non scusa il furto per povertà

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per furto aggravato. L’imputata sosteneva di aver agito in stato di necessità a causa della propria condizione di indigenza economica. La Corte ha ribadito che lo stato di povertà, di per sé, non integra i requisiti dello stato di necessità, il quale presuppone un pericolo attuale e inevitabile di un danno grave alla persona, non scongiurabile con mezzi leciti. La condanna è stata quindi confermata.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Stato di necessità: non scusa il furto per povertà

La difficile congiuntura economica può giustificare la commissione di un reato come il furto? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35355/2025, torna a pronunciarsi sulla delicata questione dello stato di necessità, chiarendo ancora una volta i rigidi confini di questa causa di non punibilità. La decisione conferma un orientamento consolidato: la condizione di povertà, da sola, non è sufficiente a scusare un’azione criminale, poiché l’esimente richiede presupposti ben più stringenti legati a un pericolo imminente per l’incolumità personale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di una donna per furto aggravato, confermata sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello. La pena inflitta era di quattro mesi di reclusione e 120 euro di multa. L’imputata, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso

Il ricorso presentato alla Suprema Corte si fondava su due argomenti principali:

1. Violazione di legge per mancato riconoscimento dello stato di necessità: La difesa sosteneva che il furto fosse stato commesso per far fronte a una grave situazione di indigenza economica. Secondo questa tesi, tale condizione avrebbe dovuto integrare la causa di non punibilità prevista dall’articolo 54 del codice penale.
2. Vizio di motivazione sulla pena: In subordine, si lamentava che i giudici di merito non avessero adeguatamente motivato la decisione di non considerare le circostanze attenuanti come prevalenti sulle aggravanti contestate e sulla recidiva, portando a una pena ritenuta eccessiva.

Lo stato di necessità e la sua applicazione secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il primo motivo manifestamente infondato, allineandosi pienamente con la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito un principio cardine della giurisprudenza di legittimità: lo stato di necessità non può essere confuso con un generico stato di bisogno economico. L’articolo 54 c.p. postula un pericolo con caratteristiche precise:

* Attuale: Il pericolo di un danno grave deve essere imminente e non futuro o meramente potenziale.
* Inevitabile: Non deve esistere alcuna alternativa lecita per scongiurare il pericolo.
* Riferito a un danno grave alla persona: L’esimente protegge l’integrità fisica o beni personalissimi (come la vita o la salute), non il patrimonio.

La condizione di indigenza, per quanto difficile, è una situazione cronica alla quale si può porre rimedio attraverso comportamenti non criminali, come la richiesta di aiuto ai servizi sociali o ad enti caritatevoli. Pertanto, non integra quel requisito di attualità e inevitabilità del pericolo che solo può giustificare la commissione di un reato.

La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ricordato che la determinazione della pena e il giudizio di bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti (art. 69 c.p.) rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale valutazione può essere sindacata in Cassazione solo se appare manifestamente illogica, arbitraria o basata su un ragionamento viziato. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano correttamente ancorato la loro decisione alla gravità del fatto (art. 133 c.p.), fornendo una motivazione logica e coerente. Non essendo emersa alcuna irragionevolezza, la doglianza è stata giudicata infondata.

le motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su una logica giuridica rigorosa e consolidata. In primo luogo, viene tracciata una netta distinzione tra lo stato di necessità, inteso come situazione eccezionale e impellente di pericolo per la persona, e lo stato di indigenza, che rappresenta una condizione sociale ed economica. Ammettere che la povertà possa di per sé giustificare un furto significherebbe creare una crepa nel principio di legalità, legittimando condotte illecite sulla base di condizioni personali e potenzialmente aprendo la strada a una giustizia soggettiva e imprevedibile. La Corte, citando specifici precedenti, rafforza l’idea che il sistema giuridico offre strumenti leciti per affrontare le difficoltà economiche, e solo il fallimento di tali percorsi, di fronte a un pericolo imminente e grave per l’incolumità fisica, potrebbe aprire uno spiraglio per l’applicazione dell’art. 54 c.p. In secondo luogo, sul fronte della pena, la Corte riafferma il principio della discrezionalità del giudice di merito, il cui operato è censurabile solo per vizi macroscopici di logica. Confermando la pena stabilita nei gradi precedenti, la Cassazione convalida la valutazione fatta dai giudici territoriali sulla gravità del reato, ritenendola un parametro sufficiente a giustificare sia l’entità della sanzione sia il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti.

le conclusioni

L’ordinanza in esame ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, invia un messaggio chiaro: il disagio economico, pur essendo una problematica sociale rilevante, non costituisce una “licenza di delinquere”. La tutela della proprietà e dell’ordine pubblico non può essere subordinata alle difficoltà economiche individuali, che devono trovare risposta negli strumenti dello stato sociale e non nell’auto-tutela illecita. In secondo luogo, la decisione di dichiarare il ricorso inammissibile e di condannare la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende serve da monito contro la presentazione di ricorsi palesemente infondati, che mirano a contestare principi giuridici ormai pacifici. Si riafferma così il ruolo della Cassazione come custode dell’uniforme interpretazione della legge, e non come un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti.

Lo stato di povertà può essere considerato una causa di ‘stato di necessità’ che giustifica un furto?
No. La Corte di Cassazione, conformemente alla giurisprudenza consolidata, ha stabilito che lo stato di indigenza economica non integra di per sé l’esimente dello stato di necessità, poiché questa richiede un pericolo attuale, inevitabile e concernente un danno grave alla persona, non una generica difficoltà economica.

Quali sono i requisiti per l’applicazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.)?
L’applicazione di questa esimente richiede la compresenza di tre requisiti fondamentali: un pericolo attuale di un danno grave alla persona, l’inevitabilità di tale pericolo (ovvero l’impossibilità di evitarlo con mezzi leciti) e la proporzionalità tra il fatto commesso e il pericolo che si intendeva scongiurare.

Perché la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputata?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti manifestamente infondati. La tesi sullo stato di necessità era in contrasto con i principi consolidati del diritto, mentre la critica sulla determinazione della pena non ha evidenziato alcuna illogicità o arbitrarietà nella decisione dei giudici di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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