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Stato di necessità immigrazione: non scusa la violenza

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e omicidio preterintenzionale a carico di tre individui, ritenuti responsabili della gestione di una traversata in cui un migrante ha perso la vita. La Corte ha rigettato i ricorsi, escludendo l’applicabilità della scriminante dello stato di necessità immigrazione, poiché gli imputati avevano esercitato violenza e avevano il pieno controllo dell’imbarcazione, dimostrando un’adesione al piano criminale. Sono state respinte anche le eccezioni procedurali relative all’assenza del difensore e alla mancata traduzione della sentenza.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Stato di necessità immigrazione: non scusa la violenza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, torna a pronunciarsi sulla delicata questione dello stato di necessità immigrazione, escludendone l’applicabilità per coloro che, pur essendo migranti, assumono un ruolo attivo e violento nella gestione della traversata. Il caso analizzato riguarda la condanna di tre individui per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato dall’aver messo in pericolo la vita dei passeggeri e aver causato la morte di uno di loro.

I fatti del processo

Il processo nasce dall’intercettazione di un’imbarcazione con a bordo 72 migranti in condizioni di estrema precarietà. Durante le operazioni, veniva rinvenuto il corpo senza vita di un uomo, deceduto nel corso del viaggio. Le indagini e le testimonianze degli altri migranti hanno permesso di ricostruire i fatti: i tre imputati facevano parte del gruppo che gestiva la navigazione, mantenendo l’ordine con violenza, costringendo le persone a rimanere nella stiva sovraffollata, in assenza di aria e tra le esalazioni di carburante, e impedendo loro di salire in coperta. La vittima, in particolare, era stata più volte ricacciata nella stiva nonostante i suoi tentativi di cercare aria. La morte è stata quindi ritenuta una conseguenza non voluta della loro condotta illecita.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa degli imputati ha presentato ricorso alla Suprema Corte basandosi su tre argomentazioni principali:

1. Violazioni procedurali: Si lamentava l’inutilizzabilità delle prime dichiarazioni testimoniali rese dai migranti, assunte in assenza del difensore, e la nullità del successivo riconoscimento fotografico e personale.
2. Stato di necessità: La difesa sosteneva che gli imputati avessero agito costretti da terzi (trafficanti libici armati), trovandosi quindi in uno stato di necessità che avrebbe dovuto escludere la loro colpevolezza.
3. Mancata traduzione: Per due degli imputati, si eccepiva la nullità della sentenza di primo grado perché non tradotta nella loro lingua, l’arabo, limitando così il loro diritto di difesa.

Lo stato di necessità nell’immigrazione clandestina secondo la Corte

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda il rigetto della tesi dello stato di necessità. I giudici hanno stabilito che tale scriminante non può essere invocata quando il soggetto non solo non evita il pericolo, ma contribuisce attivamente a creare e gestire una situazione di grave rischio per gli altri, per di più con l’uso della violenza.

La Corte ha sottolineato come le prove dimostrassero che gli imputati avevano il pieno controllo della navigazione e delle dinamiche a bordo. I loro comportamenti violenti e soggioganti, come picchiare i migranti per impedire loro di salire sul ponte, non erano frutto di una costrizione, ma azioni deliberate finalizzate a mantenere il controllo. Tale condotta, secondo la Corte, è incompatibile con i presupposti dello stato di necessità, che richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato e che l’azione sia l’unica alternativa per salvarsi.

Le questioni procedurali e il diritto di difesa

Anche le altre eccezioni sono state respinte. Riguardo all’assenza del difensore durante le prime testimonianze, la Corte ha chiarito che la legge prevede il diritto del legale di assistere, ma la sua assenza, se ritualmente avvisato, non determina la nullità o l’inutilizzabilità degli atti. Inoltre, le dichiarazioni decisive erano state comunque confermate in sede di incidente probatorio, in pieno contraddittorio. Sulla mancata traduzione della sentenza di primo grado, la Cassazione ha osservato che la nullità, di natura intermedia, avrebbe dovuto essere eccepita dinanzi alla Corte d’Appello. Proporla per la prima volta in Cassazione è tardivo e il vizio si considera sanato.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio di diritto consolidato: lo stato di necessità non può giustificare qualsiasi azione. È configurabile solo se l’agente non ha altra scelta se non quella di subire un danno grave o commettere il reato, e sempre che vi sia proporzione tra il pregiudizio temuto e l’azione di difesa. Nel caso di specie, gli imputati non solo avevano aderito al piano criminale dei trafficanti, ma avevano esercitato un potere di fatto sull’imbarcazione, perpetrando violenze gratuite. Questo comportamento dimostra una volontà autonoma e non una mera reazione a un pericolo inevitabile. La loro condotta, quindi, non era finalizzata a salvarsi da un pericolo, ma a portare a termine l’illecita traversata, anche a costo della vita e della sicurezza degli altri passeggeri. La Corte ha ritenuto che chi partecipa attivamente alla direzione di una navigazione clandestina, impartendo ordini e usando violenza, non può invocare la scusante di aver agito per salvarsi.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce una linea giurisprudenziale rigorosa in materia di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro: la condizione di migrante non costituisce di per sé una giustificazione per commettere reati, specialmente se questi comportano violenza e la messa in pericolo della vita di altre persone. Lo stato di necessità immigrazione non può diventare un’esimente generalizzata per chi, all’interno di un’organizzazione criminale, assume un ruolo attivo e di controllo, anche se subordinato ai vertici dell’organizzazione stessa. La decisione conferma che la responsabilità penale è personale e va valutata sulla base della condotta concreta tenuta da ciascun individuo.

Un migrante che aiuta a governare l’imbarcazione può invocare lo stato di necessità se commette violenza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo stato di necessità non è applicabile se il soggetto compie atti di violenza e dimostra di avere il pieno controllo della gestione dell’imbarcazione, poiché tale comportamento è incompatibile con la scriminante, che richiede un’azione necessitata e proporzionata per salvarsi da un pericolo non altrimenti evitabile.

L’assenza del difensore durante le prime dichiarazioni dei testimoni rende le prove inutilizzabili?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che, per le sommarie informazioni testimoniali, la legge garantisce al difensore il diritto di partecipare se avvisato, ma la sua assenza non causa di per sé la nullità o l’inutilizzabilità dell’atto. La validità della prova è comunque assicurata se le stesse dichiarazioni vengono successivamente confermate in sede di incidente probatorio, nel rispetto del contraddittorio.

La mancata traduzione della sentenza di primo grado in una lingua nota all’imputato causa sempre la nullità del processo?
No, non se l’eccezione non viene sollevata tempestivamente. La Cassazione ha chiarito che la mancata traduzione della sentenza integra una nullità a regime intermedio, che deve essere eccepita con l’atto di appello. Se l’eccezione viene sollevata per la prima volta in Cassazione, è considerata tardiva e il vizio si intende sanato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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