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Stato di necessità furto: non basta la povertà

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo accusato di furto aggravato, a cui era stata applicata la misura del divieto di dimora. L’imputato sosteneva l’insussistenza di gravi indizi e invocava lo stato di necessità furto a causa della sua condizione di povertà. La Corte ha ribadito che la povertà non integra automaticamente la scriminante dello stato di necessità, specialmente se esistono alternative lecite come l’assistenza sociale. Inoltre, ha chiarito che il divieto di applicare la custodia in carcere per pene previste inferiori a tre anni non si estende a misure cautelari meno afflittive come il divieto di dimora.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lo stato di necessità nel furto non si applica per la sola povertà: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2532 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema tanto delicato quanto attuale: la possibilità di invocare lo stato di necessità furto per giustificare un reato commesso a causa di una condizione di indigenza. La decisione chiarisce i rigidi presupposti per l’applicazione di questa scriminante, sottolineando come la semplice difficoltà economica non sia sufficiente a escludere la responsabilità penale, specialmente in una società che offre strumenti di assistenza.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora nel comune di Roma per un’ipotesi di furto aggravato. L’uomo era stato sorpreso all’uscita di un esercizio commerciale con merce non pagata (un profumo e un pantalone di pigiama) del valore di circa 327 euro. La particolarità della sua condotta consisteva nell’essere entrato nel negozio con un certo abbigliamento per poi uscirne con un vestiario completamente diverso, oltre a detenere la refurtiva. Contro l’ordinanza del Tribunale del riesame, che confermava la misura, la difesa proponeva ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso

Il ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali:

1. Insufficienza degli indizi e previsione di pena lieve: La difesa lamentava la mancanza di un grave quadro indiziario a carico dell’imputato. Sosteneva, inoltre, che in caso di condanna la pena detentiva sarebbe stata inferiore ai tre anni, rendendo sproporzionata l’applicazione di qualsiasi misura cautelare.
2. Sussistenza dello stato di necessità: Il secondo motivo si fondava sulla presunta ricorrenza della scriminante dello stato di necessità, prevista dall’art. 54 del codice penale, quale conseguenza diretta dello stato di indigenza e dell’impossibilità di provvedere ai bisogni primari della vita.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione e i limiti allo stato di necessità furto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e precise.

Sulla gravità degli indizi e le misure cautelari

I giudici hanno innanzitutto confermato la solidità del quadro indiziario. La condotta dell’uomo, che cambiava abiti all’interno del negozio per poi uscire con merce non pagata, è stata ritenuta un elemento di prova significativo.

Inoltre, la Corte ha smontato l’argomento relativo alla previsione di una pena lieve. Ha chiarito che il divieto di applicare la custodia cautelare in carcere, previsto dall’art. 275, comma 2-bis, c.p.p., per reati la cui pena finale si prevede non supererà i tre anni, non si estende automaticamente alle altre misure cautelari meno afflittive, come gli arresti domiciliari o, appunto, il divieto di dimora. Questa precisazione è fondamentale per comprendere la logica del sistema cautelare, che gradua le misure in base alla loro gravità.

Lo stato di necessità furto e il dovere di cercare alternative lecite

Il punto centrale della sentenza riguarda lo stato di necessità furto. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: questa scriminante richiede la sussistenza di un pericolo attuale e inevitabile di un danno grave alla persona. La semplice condizione di povertà o difficoltà economica, di per sé, non è sufficiente a integrare questi requisiti.

Secondo la Corte, l’impossibilità di provvedere ai propri bisogni vitali deve essere assoluta. Se esistono soluzioni alternative lecite per superare la situazione di penuria economica, il ricorso all’atto illecito non è giustificato. In particolare, la possibilità di avvalersi dell’assistenza offerta dagli enti che la moderna organizzazione sociale predispone per l’aiuto agli indigenti esclude la sussistenza della scriminante. Questo perché viene a mancare l’elemento dell’inevitabilità del pericolo. Invocare lo stato di necessità, quindi, non può risolversi in una mera affermazione di principio basata sull’indigenza, ma richiede la prova dell’impossibilità concreta di accedere a qualsiasi forma di aiuto.

Le Conclusioni

La sentenza n. 2532/2024 conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di stato di necessità furto. La Corte di Cassazione invia un messaggio chiaro: sebbene la legge tuteli chi agisce per salvare sé stesso o altri da un pericolo grave e imminente, non offre una giustificazione generalizzata per chi delinque a causa della povertà. L’esistenza di una rete di servizi sociali e di assistenza, per quanto imperfetta, impone a chi si trova in difficoltà di percorrere prima le vie legali. La decisione sottolinea, inoltre, la propensione al delitto del ricorrente, desunta da un comportamento poco collaborativo e da precedenti specifici, elementi che hanno ulteriormente rafforzato la necessità della misura cautelare. In definitiva, il furto commesso da una persona indigente non è automaticamente scusabile, ma deve essere valutato alla luce di tutte le circostanze concrete, inclusa la possibilità effettiva di ricevere aiuto lecito.

La semplice condizione di povertà giustifica un furto per stato di necessità?
No, secondo la Corte la semplice condizione di impossidenza, disancorata da specifiche circostanze che dimostrino l’impossibilità di ricorrere a soluzioni alternative lecite, non è sufficiente a integrare la scriminante dello stato di necessità. La possibilità di avvalersi dell’assistenza degli enti sociali esclude l’inevitabilità del pericolo.

È possibile applicare una misura cautelare come il divieto di dimora se si prevede che la pena finale non supererà i tre anni?
Sì. La Corte ha specificato che il divieto di applicazione della custodia in carcere per pene che si prevedono inferiori ai tre anni non si estende alle altre misure cautelari meno afflittive, come gli arresti domiciliari o il divieto di dimora.

Cosa ha considerato la Corte per ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza?
La Corte ha ritenuto grave il quadro indiziario basandosi sulla specifica condotta del ricorrente: era entrato in un negozio indossando un certo abbigliamento, ne era uscito con un vestiario completamente diverso e tenendo in mano una pochette con merce rubata per un valore complessivo di oltre 300 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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