Stati emotivi e passionali: la Cassazione conferma che lo stress non cancella il reato
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale del diritto penale: il valore degli stati emotivi e passionali come possibile causa di esclusione della colpevolezza. La pronuncia chiarisce che condizioni come lo stress o l’ira non possono essere invocate per giustificare la commissione di un reato, ribadendo un principio fondamentale del nostro ordinamento.
I fatti del caso: offese a un agente e il ricorso in Cassazione
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza della Corte d’Appello di Venezia. L’imputato era stato condannato per aver rivolto espressioni offensive a un agente della Polizia penitenziaria. Nel suo ricorso alla Suprema Corte, l’unico motivo di contestazione riguardava la sussistenza del dolo, ovvero dell’intenzione di commettere il reato. La difesa sosteneva che le offese erano state pronunciate in un momento di forte “stress”, condizione che, a suo dire, avrebbe dovuto escludere la volontarietà della condotta.
La decisione della Corte sul ruolo degli stati emotivi e passionali
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno qualificato il motivo del ricorso come “manifestamente infondato”, sottolineando come la legge penale italiana abbia una posizione molto chiara riguardo all’influenza delle emozioni sulla responsabilità criminale. La decisione non lascia spazio a interpretazioni: lo stress, la rabbia o altre turbative emotive non costituiscono una valida scusante per la commissione di un reato.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede in un principio consolidato del nostro sistema penale: gli “stati emotivi e passionali” non elidono l’imputabilità. L’imputabilità è la capacità di intendere (cioè comprendere il significato delle proprie azioni) e di volere (cioè autodeterminarsi liberamente) al momento del fatto. La legge presume che un soggetto adulto e sano di mente possieda tale capacità. Sebbene uno stato di stress possa influenzare il comportamento di una persona, non la priva della capacità di comprendere il disvalore delle sue azioni. Di conseguenza, chi agisce sotto l’impulso di un’emozione intensa resta pienamente responsabile delle proprie azioni.
La Corte ha inoltre applicato le conseguenze processuali previste dall’articolo 616 del codice di procedura penale. A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende, una sanzione prevista per scoraggiare ricorsi palesemente infondati.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un caposaldo del diritto penale: la responsabilità individuale non viene meno a causa di turbamenti emotivi. Questa pronuncia serve come importante monito sul fatto che le difficoltà personali o lo stress non possono essere invocati come un lasciapassare per violare la legge. La tenuta del sistema giuridico si basa sulla capacità dei consociati di controllare i propri impulsi, e la giurisprudenza, con decisioni come questa, ne riafferma la centralità. La responsabilità penale rimane ancorata alla capacità di intendere e di volere, che gli stati emotivi, per quanto intensi, non sono di per sé idonei a cancellare.
Uno stato di forte stress può giustificare la commissione di un reato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, e in linea con il sistema penale vigente, gli “stati emotivi e passionali” come lo stress non eliminano l’imputabilità, ovvero la capacità di intendere e di volere. Pertanto, non possono essere usati come giustificazione per un comportamento illecito.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata a 3.000 euro.
Perché il motivo del ricorso è stato considerato “manifestamente infondato”?
Il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato perché si basava su un principio non riconosciuto dalla legge penale. L’idea che lo stress possa annullare il dolo (l’intenzione di commettere il reato) è in contrasto diretto con il principio consolidato secondo cui gli stati emotivi non escludono la responsabilità penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 476 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 476 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 12/12/1997
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il motivo unico con cui si contesta la sussistenza del dolo assumendo che le espressioni offensive rivolte all’agente della Polizia penitenziaria furono pronunciate i momento di “stress”, risulta manifestamente infondato perché nel sistema penale vigente gli “stati emotivi e passionali” non elidono l’imputabilità.
Dalla inammissibilità del ricorso deriva ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 2 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente