Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1519 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1519 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI PISTOIA nei confronti di:
COGNOME nato a QUARRATA il 04/06/1947
avverso l’ordinanza del 18/05/2023 del TRIB. LIBERTA’ di PISTOIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 18 maggio – 12 giugno 2023 il Tribunale di Pistoia, in accoglimento della richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME ha revocato il sequestro conservativo disposto dal G.i.p. in data 22 marzo 2023 e avente ad oggetto il quotidiano online Linea Libera e le collegate pagine Facebook e Twitter. Il COGNOME, oltre che per i reati di diffamazione ed atti persecutori – qui non rilevanti ai fini dell’adozione della misura -, è indagato per il delitto di esercizio abusivo della professione di giornalista e il reato di stampa clandestina, per avere con regolarità pubblicato articoli sul citato quotidiano online, del quale aveva assunto il ruolo di direttore, ancorché ormai cancellato, a far data dal 28 gennaio 2021, dall’albo dei giornalisti e avere – in concorso con altro soggetto, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE proprietaria della testata giornalistica in questione – intrapreso la pubblicazione del giornale in assenza della registrazione prescritta dall’art. 5 della I. n. 47 del 1948.
Per quanto rileva, il Tribunale ha ritenuto sussistente sia il fumus del reato di stampa clandestina previsto dall’art. 16 della I. n. 47 del 1948 che il periculum in mora peraltro, osserva l’ordinanza, non oggetto di contestazione da parte della difesa -, alla luce del rischio obiettivamente prospettabile che, in assenza del provvedimento ablatorio, l’indagato potesse persistere nelle pubblicazioni, senza provvedere all’aggiornamento della registrazione della testata, quale prevista dal citato art. 5 della I. n. 47 del 1948.
Cionondimeno, il Tribunale ha revocato il sequestro conservativo, ritenendo che la misura contrastasse con il principio di proporzionalità, tenuto conto, oltre che del reale disvalore della condotta quale espresso dalla cornice edittale prevista per il reato de quo, dei seguenti dati: a) la testata online della quale si discute produce informazione, nel senso che suo tramite non vengono veicolati solo contenuti diffamatori ma anche il prodotto di attività giornalistica; b) il COGNOME possiede tutti i requisiti di legge per l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti, dal quale è stato cancellato per dimissioni e non per ragioni di carattere deontologico; c) la testata è registrata presso la cancelleria del Tribunale, ancorché senza l’indicazione di un direttore responsabile iscritto all’Ordine dei giornalisti; d) il COGNOME in passato aveva dimostrato interesse a conformarsi agli obblighi previsti dalla I. n. 47 del 1948; e) l’identità del direttore è tutt’altro che occulta, essendo pubblicizzata ovunque.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia ha proposto ricorso per cassazione affidato ai seguenti motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 275, comma 2, e 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale omesso di considerare che, nel quadro delle cautele reali, il sequestro rappresenta l’unica misura prevista dal legislatore, con la conseguenza che il principio di proporzionalità può operare non in relazione all’an ma, una volta accertati i presupposti previsti dal codice di rito (e indipendentemente dai limiti edittali di pena), con riguardo al quomodo, in modo da contenere la privazione del bene cautelato nei limiti strettamente necessari a fronteggiare le esigenze di cautela, nel caso di specie da ravvisarsi nell’impedire un’attività illecita nella sua globalità e non la diffusione di uno specifico articolo.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 125, comma 3, e 324 cod. proc. pen., per avere il Tribunale escluso la proporzionalità della misure reale, facendo ricorso ad una motivazione meramente apparente che aveva valorizzato o dati congetturali o profili inconferenti rispetto alle finalità del presidio cautelare.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e inosservanza degli artt. 3, 5 16 I. n. 47 del 1948, per avere il Tribunale, in contrasto con il sistema normativo, ritenuto che il reato di cui all’art. 16 appena citato presupponga la clandestinità totale dell’attività, derivante dalla mancata registrazione del quotidiano e dall’essere ignoti sia l’autore dell’articolo che il direttore responsabile.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1.1. Come puntualmente rilevato da questa stessa sezione (Sez. 5, n. 20645 del 23/04/2021, COGNOME, n.m.), il test di proporzionalità assume una valenza di sistema, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte. Superando un risalente indirizzo che escludeva l’applicabilità del principio di proporzionalità alle misure cautelari reali (Sez. 3, n. 16818 del 16/01/2007, COGNOME, Rv. 236490), la giurisprudenza di legittimità si è attestata sul consolidato principio di diritto
secondo cui i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità – dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali – sono applicabili anche al sequestro preventivo, dovendo il giudice motivare adeguatamente sull’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva (Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, COGNOME, Rv. 261509; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 8382 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 254712; Sez. 3, n. 12500 del 15/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252223; Sez. 5, n. 8152 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 246103; nonché, in tema di sequestro finalizzato alla confisca diretta, Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276979).
I termini del bilanciamento, quali appena descritti, comportano che il test si atteggi diversamente in relazione alla natura e alla funzione del tipo di sequestro in questione.
Così, rispetto al sequestro probatorio, il principio di proporzionalità esige la ponderazione tra il contenuto del provvedimento ablativo e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini (Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018, COGNOME, Rv. 272538); con riferimento al sequestro conservativo, la valutazione di proporzionalità va operata tra il valore dei beni sequestrati e i crediti del richiedente (Sez. 5, n. 19903 del 17/04/2009, COGNOME, Rv. 243944); rispetto al sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il test di proporzionalità chiama in causa il rapporto tra profitto del reato e quantum sottoposto a vincolo cautelare (Sez. 3, n. 39091 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 257284). Nel caso del sequestro preventivo c.d. innpeditivo, invece, «il giudice deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato ricorrendo ad altri e meno invasivi strumenti cautelari ovvero modulando quello disposto – qualora ciò sia possibile – in maniera tale da non compromettere la funzionalità del bene sottoposto a vincolo anche oltre le effettive necessità dettate dall’esigenza cautelare che si intende arginare» (Sez. 5, n. 8382 del 2013, COGNOME, cit.), sicché è necessario verificare: «a) se l’aggravamento o la protrazione delle conseguenze del reato possono essere evitati senza privare l’avente diritto della disponibilità della cosa; b) se il sequestro preventivo è sufficiente a garantire tale risultato; c) se tale risultato può essere conseguito con misure meno invasive» (Sez. 3, n. 12500 del 2011, dep. 2012, COGNOME, cit.). Condizioni, queste, del tutto in linea con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che subordina la sequestrabilità di un sito internet alla valutazione se il risultato legittimamente perseguito possa essere conseguito con mezzi meno invasivi o con modalità dotate di minor impatto (ex plurimis, Corte Edu, III sez., 23/06/2020, COGNOME c. Russia).
1.2. In siffatta valutazione, tuttavia, un dato non può essere trascurato. Il bilanciamento richiesto dal principio di proporzionalità impone di verificare quale sia il modo meno invasivo per realizzare gli obiettivi perseguiti con ciascuna misura, in tal modo tracciando i confini della valutazione giudiziaria con sufficiente precisione concettuale. Esso, però, non consente, in nome di considerazioni genericamente equitative, di disapplicare, una volta riconosciuti i presupposti di legge (e, nella specie, l’ordinanza impugnata, come detto, si diffonde sulla sussistenza del fumus e del periculum), la norma vanificando la realizzazione dei fini di cautela indicati dal codice di rito e degli obiettivi perseguiti dal legislatore sostanziale.
In altre parole, mentre la ponderazione tra obiettivi e modalità di perseguimento degli stessi si realizza fra termini chiaramente individuabili, talché l’operazione valutativa può essere affidata ad argomentazioni razionalmente verificabili alla luce delle scelte del legislatore, una volta che si abbandoni, come fa il provvedimento impugnato, la considerazione dei primi, il giudizio finisce per diventare arbitrario, ossia sganciato da qualunque parametro normativamente fissato nello specifico ambito di cui si discute.
In questo senso, è paradigmatico il riferimento dell’ordinanza impugnata alla pena prevista per il reato e alla possibile operatività dell’art. 131-bis cod. pen. (come pure ai profili, più o meno persuasivi, dedicati alla condotta dell’indagato), che riguardano la graduazione risposta sanzionatoria di carattere personale, ma sono del tutto inconferenti rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore.
È proprio la Costituzione, in un equilibrato bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero attraverso la stampa e principio di responsabilità (v., tra l’altro, a livello sovranazionale, l’esplicita puntualizzazione contenuta nel par. 2 dell’art. 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), a prevedere il sequestro nel caso di violazione delle norme che la legge ordinaria prescriva per l’indicazione dei responsabili (art. 27, terzo comma, Cost.).
Rispetto a siffatto obiettivo di impedire l’impiego della stampa in assenza del rispetto delle previsioni che assicurano l’identificabilità di quanti si assumono la responsabilità dell’attività stessa, l’ordinanza tace, affidandosi, come detto, o ad inconferenti valutazioni correlate alla sanzione che colpisce l’autore o all’esistenza di contenuti informativi non diffamatori, che, tuttavia, è rilievo estraneo al fine – si ripete, fatto oggetto di esplicita valutazione ad opera della Costituzione – di impedire che l’esercizio della stampa possa non accompagnarsi ad una obiettivamente verificabile assunzione di responsabilità.
Peraltro, il fatto che il legislatore ordinario imponga che quest’ultima gravi, in generale (in questa sede non assume rilievo approfondire ulteriormente la
questione) su persona iscritta nell’albo dei giornalisti nei termini indicati dall’art. 46 della I. 3 febbraio 1963, n. 69 comporta, altresì, l’assoluta irrilevanza della spontanea assunzione di responsabilità del ruolo di direttore da parte del COGNOME. E ciò sia perché tutto ciò menoma comunque il sistema delle garanzie volute dal legislatore anche con riguardo al controllo disciplinare dell’Ordine, sia perché -e trattasi di rilievo assorbente – non incide sul carattere clandestino della stampa, che, per tale fondamentale deficit di assunzione di responsabilità, non può essere consentita, senza vanificare il principio di effettività dell’ordinamento.
L’ordinanza impugnata va, in conseguenza, annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Pistoia.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Pistoia, sezione del riesame.
Così deciso il 23/11/2023