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Stalking giudiziario: quando l’abuso del diritto è reato

Un individuo, accusato di atti persecutori attraverso ripetute e infondate azioni legali, ha presentato ricorso contro le misure cautelari applicate nei suoi confronti. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’abuso del processo a fini vessatori integra il reato di stalking giudiziario, distinguendolo nettamente dal legittimo esercizio del diritto di difesa.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Stalking Giudiziario: La Cassazione chiarisce quando l’abuso del processo diventa reato

Il confine tra l’esercizio di un proprio diritto e la persecuzione può essere sottile, specialmente quando lo strumento utilizzato è la legge stessa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un fenomeno sempre più discusso: lo stalking giudiziario. Questo si verifica quando le aule di tribunale vengono trasformate in un’arena per vessare una persona, attraverso la proposizione seriale di azioni legali pretestuose. La pronuncia in esame (Sentenza n. 13318/2025) offre criteri chiari per distinguere l’abuso del diritto dalla legittima difesa legale, confermando che anche la carta bollata può diventare un’arma.

I Fatti del Caso: L’uso vessatorio delle azioni legali

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un uomo, indagato per il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’applicazione di misure cautelari nei suoi confronti. L’indagato era accusato di aver perseguitato la persona offesa non solo con minacce e molestie, ma soprattutto attraverso una serie di iniziative giudiziarie considerate del tutto pretestuose e, in alcuni casi, basate su presupposti fattuali falsi. Questo comportamento aveva portato il Giudice per le Indagini Preliminari a disporre il divieto di avvicinamento e di dimora, con l’aggiunta di dispositivi di controllo elettronico.

Le Doglianze dell’Imputato: Conflittualità Reciproca o Persecuzione Unilaterale?

La difesa dell’indagato sosteneva che non si potesse configurare lo stalking giudiziario a causa di una presunta ‘conflittualità reciproca’. Secondo questa tesi, anche la persona offesa aveva intrapreso azioni legali, e le iniziative dell’indagato erano quindi orientate alla difesa dei propri interessi piuttosto che alla vessazione della controparte. In sostanza, si trattava di un contenzioso bilaterale e non di una persecuzione unilaterale. La difesa lamentava inoltre che il Tribunale non avesse motivato adeguatamente la distinzione tra le condotte legittime della vittima e quelle ritenute vessatorie dell’indagato.

La Decisione della Cassazione sullo Stalking Giudiziario

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando su tutta la linea le argomentazioni difensive. I giudici hanno confermato la validità dell’ordinanza impugnata, ritenendola fondata su una motivazione ‘ampia, esaustiva e pertinente’. La Corte ha stabilito che l’atteggiamento complessivo dell’indagato, caratterizzato da minacce, molestie e, soprattutto, da numerose e infondate azioni giudiziarie, integrava pienamente i gravi indizi di colpevolezza per il reato di atti persecutori.

Le Motivazioni: Oltre il Fisiologico Esercizio di un Diritto

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra l’esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, e l’abuso del processo. La Cassazione chiarisce che il diritto di agire in giudizio (Art. 24 Cost. e Art. 6 CEDU) non è illimitato. Quando le iniziative legali superano i confini dell’esercizio lecito e si fondano su elementi falsi, con l’intento di nuocere alla controparte, si configura un abuso del diritto che può assumere rilevanza penale.

Il Tribunale, secondo la Corte, ha correttamente distinto le condotte delle parti:

1. Le azioni della vittima: Sono state considerate legittime, in quanto finalizzate esclusivamente a tutelare i propri diritti, messi in pericolo dalle iniziative dell’indagato.
2. Le azioni dell’indagato: Sono state giudicate pretestuose e vessatorie, intraprese con la consapevolezza di dedurre elementi falsi per creare diritti ‘ad hoc’ o semplicemente per danneggiare la controparte, in palese violazione dei doveri di correttezza e buona fede.

La Corte ribadisce che il reato di stalking è un ‘reato abituale’, la cui esistenza dipende dalla reiterazione di condotte che, nel loro complesso, provocano nella vittima uno degli eventi previsti dalla norma (grave stato d’ansia, fondato timore per la propria incolumità, alterazione delle abitudini di vita). Il contesto in cui avvengono le condotte – che sia condominiale, lavorativo o, come in questo caso, giudiziario – è irrilevante se il risultato è la lesione della libertà morale della persona offesa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un importante principio giurisprudenziale: il diritto di difesa non può essere usato come scudo per perpetrare condotte persecutorie. La pronuncia stabilisce che per configurare lo stalking giudiziario è necessario un accertamento rigoroso che vada oltre la mera pluralità di azioni legali, indagando la loro natura pretestuosa e l’intento vessatorio sottostante. Per avvocati e cittadini, ciò significa che l’avvio di un’azione legale deve sempre essere supportato da fondate ragioni di diritto e da una condotta improntata alla buona fede, per non rischiare di trasformare un legittimo strumento di tutela in un reato.

Quando un’azione legale può essere considerata stalking giudiziario?
Un’azione legale può integrare lo stalking giudiziario quando viene utilizzata in modo pretestuoso, basandosi su presupposti fattuali falsi, non per tutelare un diritto ma con l’intento primario di molestare e vessare la controparte, causando uno stato d’ansia o timore.

La conflittualità reciproca tra le parti esclude sempre il reato di stalking?
No. La Corte ha chiarito che non è sufficiente una generica conflittualità. È necessario distinguere la natura delle azioni: se una parte agisce legittimamente per tutelare i propri diritti, mentre l’altra intraprende iniziative pretestuose e vessatorie, la reciprocità non esclude il reato a carico di quest’ultima.

È possibile presentare nuovi motivi di ricorso in Cassazione?
Sì, ma solo a condizione che siano strettamente connessi ai temi e ai punti già sollevati nel ricorso originario. Motivi completamente nuovi, che introducono questioni non trattate in precedenza, vengono considerati inammissibili, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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