Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29849 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
l’avv. COGNOME e l’avv. COGNOME per le parti civili, hanno concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
Secondo la conforme ricostruzione dei Giudici di merito il proposito criminoso s’inseriva nell’ambito della situazione di grave crisi che la coppia – che conviveva da diciannove anni e dalla cui relazione erano nati due figli, NOME e NOME, all’epoca dei fatti minori di età – stava attraversando soprattutto in seguito alla nascita della secondogenita, evento che aveva intensificato i dissidi e le incomprensioni tra i due, da ultimo sfociati in aggressioni fisiche e minacce verbali nei riguardi della donna, tant’Ł che da qualche mese l’uomo dormiva sul divano posto nel soggiorno di casa.
– Relatore –
Sent. n. sez. 449/2025
UP – 18/06/2025
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
I difensori delle parti civili hanno illustrato le rispettive conclusioni e depositato la richiesta di liquidazione dei compensi e la nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze che connotano il ricorso risultano orientate su due versanti: il primo, attinente alla lamentata obliterazione del vizio di mente che si prospetta presente nella persona dell’imputato; il secondo, rivolto alla contestazione dell’accertamento della aggravante di cui all’art. 577, primo comma n.1), cod. pen.
Rileva il Collegio che si tratta di censure reiterative, generiche e che, comunque, tendono a ottenere una non consentita rilettura delle risultanze di prova, infine errate in diritto.
A proposito dei primi quattro motivi – che possono essere trattati congiuntamente, stante la connessione logica delle questioni prospettate – occorre considerare che la Corte di assise (p. 18 e s.) aveva preso in esame il tema della capacità di intendere e di volere dell’imputato e adeguatamente motivato le ragioni per le quali aveva ritenuto di non disporre la perizia psichiatrica, invocata dall’imputato ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen.
2.1. In particolare, il Giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza di una patologia psichiatrica comportante il vizio di mente, anche parziale, riguardo alla commissione dei fatti incriminati, osservando in primo luogo che non emergeva da alcuna fonte di prova l’esistenza di una psicopatologia o di uno stato di grave disturbo neurologico che potesse giustificare la necessità di un tale accertamento.
A tale proposito aveva evidenziato come nessun rilievo potesse attribuirsi alla documentazione sanitaria, acquisita post delictum presso gli Istituti di pena di Arezzo e Prato, trattandosi di documentazione sanitaria indicativa di uno stato di alterazione da shock postraumatico, del tutto compatibile con la definitiva realizzazione, da parte dell’imputato, dell’evento delittuoso, non espressiva di alcuna infermità pregressa che avesse potuto dare causa al delitto o in costanza della quale il delitto poteva essere maturato.
Del pari, aveva chiarito (p. 6) – attraverso le puntuali testimonianze degli operanti che avevano proceduto all’arresto di XXXXXX – il significato della locuzione «comportamenti deliranti» riportata nel verbale di arresto, da ritenersi riferita alla condizione di nervosismo e agitazione dell’imputato, con esclusionedi qualsiasi comportamento che lasciasse
intravvedere una perdita di contatto con la realtà.
Piuttosto, in senso contrario alla tesi difensiva, erano state valorizzate le dichiarazioni del teste NOME, amico stretto dell’imputato con cui questi aveva trascorso la serata prima di commettere il duplice omicidio, che non aveva mai riferito di comportamenti anomali di XXXXXX che lasciassero intendere una qualsiasi forma di squilibrio patologico. A ciò si aggiungeva che, tra gli atti acquisiti sul consenso delle parti, vi era una nota del Servizio di salute mentale della provincia di Arezzo, cui la Questura aveva chiesto informazioni in merito all’imputato, che aveva escluso una presa in carico di questi presso detta struttura.
Per tale via, la Corte di assise aveva escluso la rilevanza dell’ipotesi, sostenuta dalla difesa, del raptus omicidiario, poichØ, anche ove esso si fosse verificato, in assenza di precedenti infermità psicopatologiche, tale situazione sarebbe stata irrilevante ai fini dell’esclusione, totale o parziale, dell’imputabilità, perchØ esclusivamente sintomatica di una perdita di controllo dei freni inibitori e di un eccesso di collera incontrollata.
2.2. I Giudici di secondo grado (p. 10 e s.) hanno confermato tale valutazione, facendosi carico di rispondere funditus alle censure di appello che la difesa reitera in questa sede pedissequamente ed a-specificamente.
In particolare, la Corte di assise di appello ha rimarcato l’assenza di qualsiasi diagnosi di anomalia ovvero pregresso disturbo psichico e l’irrilevanza delle emergenze provenienti dagli Istituti di pena, esclusivamente indicativi di una situazione compatibile di shock postraumatico derivante dalla commissione dei fatti, che – osserva il Collegio – si saldano perfettamente con il rilevato movente, non collegabile a patologia psichica.
SicchØ, con motivazione priva di fratture logiche ovvero razionali, il Giudice di appello ha segnalato tutte le circostanze di fatto che, invece, facevano indefettibilmente propendere per la piena capacità di intendere e di volere dell’uomo, valorizzando – con adeguato richiamo all’analisi compiuta nella sentenza di primo grado – le dichiarazioni del teste
XXXXXXXX e, piø in generale, degli altri parenti, che non indicavano alcuna anomalia comportamentale dello stesso. ¨ appena il caso, sul punto, di evidenziare come l’affermazione contenuta nel ricorso secondo cui il figlio dell’imputato aveva descritto il padre come «paranoico» Ł del tutto priva di rilievo ai fini perseguiti dalla difesa, poichØ, dalla lettura della sentenza di primo grado (p. 15) si comprende il senso della relativa affermazione che, lungi dall’essere collegata a qualsiasi comportamento anomalo sotto il profilo psichico, Ł stata utilizzata dal giovane per indicare che il padre disprezzava intensamente «tutto quanto provenisse dalla madre».
Tanto considerato, la doglianza riproposta in questa sede dal ricorrente si risolve nella reiterata prospettazione di argomenti di merito, siccome volta a valorizzare in senso diverso da quello ponderato dalla Corte di appello elementi di fatto che, ex se considerati, non si profilano idonei a scardinare la valutazione, adeguatamente espressa nella decisione, dell’assenza di qualsia disturbo della personalità ovvero patologia psichica in concreto emerso tale da influire sulla capacità di intendere o di volere della persona interessata.
La Corte territoriale ha, in definitiva, osservato la condivisa linea esegetica secondo cui, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, se Ł vero che anche i disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto d’infermità, Ł del pari certo che ciò si afferma con la necessaria specificazione che tale approdo può darsi soltanto quando essi siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o facendola grandemente scemare, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia
ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale.
Di conseguenza, non può annettersi rilievo, ai fini dell’imputabilità, ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, al pari degli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro piø ampio d’infermità (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230317; Sez. 1, n. 35842 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276616; Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, COGNOME, Rv. 261339).
Di siffatte indicate, gravi, anomalie i giudici di merito non hanno riscontrato, in modo effettivo, evidenze tali da dover orientare il loro orizzonte decisorio nel senso invocato dalla difesa dell’imputato e – quel che qui decisivamente rileva – l’impugnazione non ha esposto elementi nuovi e ulteriori rispetto a quelli già puntualmente presi in considerazione e analizzati.
2.3. Da ultimo, quanto alla censura in punto di omessa motivazione sull’assenza del carattere di necessità e decisività della richiesta perizia psichiatrica, va qui osservato che la motivazione, così come sunteggiata, esiste ed Ł adeguata, oltre che coerente con il principio, espresso in sede di legittimità, secondo cui l’obbligo, per il giudice, di motivare il giudizio sulla sussistenza della capacità d’intendere e di volere e, specularmente, quello sulla superfluità di una perizia volta ad appurarne l’integrità, va posto in stretta correlazione con la prospettazione, da parte della difesa, di elementi specifici e concreti, idonei a far ragionevolmente ritenere che nella singola fattispecie detta presunzione sia superata da risultati di segno contrario, per l’incidenza di una vera e propria infermità, e cioŁ di uno stato morboso caratterizzato da inequivocabili connotazioni patologiche (Sez. 2, n. 50196 del 26/10/2018, COGNOME, Rv. 274684 – 01; Sez. 1, n. 5347 del 06/04/1993, COGNOME, Rv. 194213; Sez. 1, n. 1298 del 11/01/1993, COGNOME, Rv. 193021; Sez. 3, n. 7222 del 15/12/2015, dep. 2016, COGNOME, non mass.).
SicchØ, del tutto correttamente, nel caso in esame i Giudici di merito hanno escluso qualsiasi evidenza tra l’asserita incapacità e la natura di particolare efferatezza e brutalità del duplice omicidio, evidenziando – con motivazione scevra da fratture razionali – che tali caratteristiche ben possono rapportarsi a un’indole particolarmente crudele e malvagia del colpevole o ad una sua peculiare reattività, senza alcuna implicazione di natura psicopatologica, tanto Ł vero che – osserva il Collegio – il legislatore ne ha previsto l’inquadrabilità fra le circostanze aggravanti (art. 61 nn. 1 e 4 cod. pen.).
Prive di pregio le molteplici censure riguardanti la motivazione del Giudice di appello in punto di confermata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 577, primo comma n. 1, cod. pen., qui contestata sotto il profilo della «stabile convivenza».
Il ricorrente mostra di confondere i distinti profili della «relazione affettiva» e della «stabile convivenza», ora previsti dall’aggravante come situazioni alternative, essendo stato commesso il fatto nel vigore (dal 9 agosto 2019) della novella legislativa l. n. 69 del 2919.
Questa Corte (si veda Sez. 1, n. 10897 del 21/11/2023, dep. 2024, L., Rv. 285924 – 01, non massimata sul punto) ha già condivisibilmente chiarito che la scelta del legislatore di attribuire rilievo autonomo alla situazione di fatto della «stabile convivenza» ampliala tutela a un ventaglio di situazioni e rapporti caratterizzati da un piø alto dovere di protezione. La stabile convivenza va, dunque, interpretata nel senso che la ricorrenza della circostanza aggravante Ł esclusa lì dove la vittima abbia una mera e temporanea coabitazione con l’aggressore, mentre valorizza il dovere di protezione verso soggetti che hanno condiviso per un tempo apprezzabile le abitudini di vita e che si trovino (al di là della avvenuta rottura del sottostante vincolo affettivo) ancora a condividere gli spazi vitali. Si Ł osservato nella
sentenza appena citata che non si tratta di opzione dissonante nØ con gli obiettivi di tutela perseguiti nell’ambito del contrasto al fenomeno della violenza domestica, nØ con il principio di ragionevolezza delle differenziazioni di trattamento sanzionatorio, posto che la maggior tutela si ricollega a una obiettiva esigenza di piø elevata protezione di tali soggetti.
Tanto premesso, la tesi difensiva prospettata nel processo che ci occupa – secondo cui non poteva ritenersi sussistente detto profilo circostanziale in ragione del fatto che la stabile convivenza sarebbe locuzione tesa a implicare una condivisione non soltanto «materiale» degli spazi abitativi ma anche emotiva (sotto il profilo della comunanza di vita e reciproca assistenza), aspetto ormai assente nell’ambito del rapporto tra imputato e vittima – non può trovare accoglimento.
Invero, già sul piano dell’interpretazione letterale, Ł del tutto evidente che l’intervento legislativo reputa fattore di aggravamento dell’omicidio una situazione di fatto – la stabile convivenza tra autore del gesto delittuoso e vittima – in modo autonomo e differenziato rispetto al legame affettivo esistente tra tali soggetti, in ragione dell’avvenuta variazione del testo realizzata tramite la sostituzione della congiunzione ‘e’ con la disgiuntiva ‘o’ .
La convivenza (rafforzata dall’attributo della stabilità), nell’ordinario svolgersi delle relazioni umane, si accompagna a legami biologici o affettivi tali da implicare condivisione di scelte di vita o reciproca assistenza e non vi Ł dubbio che la ratiolegis sia riconducibile alla necessità di maggior tutela dei soggetti che, per le piø varie ragioni, abbiano realizzato, unitamente all’autore del reato, forme di concreta condivisione non soltanto “logistica”, ma anche “emotiva” di uno spazio vitale.
Tuttavia, la scelta del legislatore Ł proprio quella di fornire un piø elevato livello di tutela a coloro i quali si trovino a dover condividere uno spazio abitativo – finchØ la coabitazione ha luogo – anche nel momento (che Ł quello di maggiore fragilità) in cui la condivisione emotiva sia venuta meno, come nel caso che ci occupa in cui le Corti di merito hanno – con motivazione aderente alle risultanze di prova – posto in risalto il fatto, rimasto incontrastato, che XXXXXXXXXX aveva consentito all’ex compagno di vita di restare presso la casa coniugale nell’interesse di quest’ultimo come anche dei figli minori. Ciò che integra l’aggravante de qua .
Conferma evidente, sul piano logico e sistematico, Ł la diversa attribuzione di disvalore (pena da 24 a 30 anni, ai sensi del comma 2 dell’art.577) all’omicidio commesso nei confronti della persona «già stabilmente convivente» quando la convivenza sia cessata. L’opzione del legislatore Ł quella di tutelare in modo rafforzato (attraverso la previsione di un incremento sanzionatorio del delitto di omicidio) i soggetti che abbiano vissuto una concreta comunanza di vita con il colpevole, con linea di demarcazione basata sul dato oggettivo della convivenza fisica. Sin quando la convivenza permane la tutela Ł massima (con maggior disvalore del fatto, punito con l’ergastolo) mentre quando cessa l’omicidio, pur restando di maggiore gravità – rispetto a quello comune – viene punito con pena temporanea.
Nel caso oggetto del presente giudizio, pertanto, a nulla rileva che la coppia fosse da tempo in una condizione di elevata conflittualità, posto che la condotta omicida Ł avvenuta in un momento in cui la convivenza fisica era ancora in atto.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Quanto al regolamento delle spese del grado riguardo alla posizione delle parti civili, che hanno svolto attività processuale in questa sede, le stesse vanno poste a carico dell’imputato, soccombente rispetto all’azione civile proposta nei suoi confronti, e destinate in favore dello Stato, avendo la suddetta parte civile dato atto di essere stata ammessa al
patrocinio a spese dello Stato medesimo.
Questa Corte deve limitarsi, tuttavia, a una condanna generica, in ossequio al principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui «in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre Ł poi rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.» (Sez. U, 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277760 – 01).
In caso di diffusione del presente provvedimento, vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchØ alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili XXXXXXXXXX e XXXXXXXXXX nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Firenze, disponendo il pagamento in favore dello Stato. GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS.
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE 196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 18/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
EVA TOSCANI