Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8876 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8876 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 09/08/1984
avverso il decreto del 20/12/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Palermo, con decreto del 26/05/2023, confermava il decreto del Tribunale che applicava a NOME COGNOME – inquadrato nella categoria dei soggetti pericolosi ex art. 1 lett. b) d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159 – la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per la durata di anni due con relative prescrizioni; a seguito di ricorso, la Sesta sezione di questa Corte annullava il suddetto decreto in quanto ‘il provvedimento impugnato non ha identificato, né ha di conseguenza considerato alcun preciso e puntuale elemento di fatto in grado di dimostrare quale fosse il reale tenore di vita di Castagnetta e del suo nucleo familiare, composto di cinque persone, impedendo così di apprezzare, rispetto alle lecite fonti di reddito da lavoro dipendente dello stesso e della moglie, l’eventuale incidenza dei proventi dell’attività criminosa nel costituire unica o rilevante fonte di sostentamento del proposto e dei suoi familiari’; con
decreto del 9 luglio-17 settembre 2024, la Corte di appello di Palermo quale giudice di rinvio, confermava il decreto del Tribunale.
1.1 Avverso tale decreto ricorre per Cassazione il difensore di COGNOME, eccependo la nullità del decreto per violazione di legge con riferimento alla riconducibilità del proposto alla categoria di pericolosità di cui all’art.1 lett. b) D.l.vo n. 159/2011: la Corte di appello aveva confermato il decreto del Tribunale in forza delle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza, che non indicavano nessun elemento concreto in grado di disvelare un tenore di vita di COGNOME incompatibile con i suoi redditi ufficiali, essendosi limitate a rappresentare che il reddito annuo del proposto fosse inferiore (peraltro in non tutte le annualità considerate) al reddito familiare medio annuo indicato dall’istat, differenziale che poi conduceva a quella ‘sperequazione crescente’ cui faceva riferimento la Corte a pag. 4 del decreto; l’argomento utilizzato dai giudici era quindi meramente presuntivo, come già stigmatizzato nella pronuncia di annullamento; il difensore riporta gli unici acquisti effettuati, perfettamente in linea e compatibili con le entrate di Castagnetta e che in ogni caso non erano indicativi di un tenore di vita sperequato; inoltre, la relazione tecnica del dott. COGNOME aveva dimostrato che i dati reddituali indicati dalla Guardia di Finanza erano errati per difetto ed era suggestivo l’argomento dell’acquisto dell’immobile avvenuto nel 2023 e richiamato dalla Corte di appello, dato che era stato documentato dalla difesa che l’immobile era stato acquistato stipulando un contratto di mutuo; il difensore osserva che nel procedimento non era stato svolto nessun accertamento in ordine al tenore di vita del sottoposto e del suo nucleo familiare, dato con il quale la Corte di appello non si era minimamente confrontata, essendosi limitata a ritenere sufficiente il differenziale tra reddito familiare e reddito medio Istat; produce il decreto del Tribunale di Palermo che aveva rigettato la proposta di sorveglianza speciale nei confronti di NOMECOGNOME imputato nel medesimo procedimento penale da cui era stato attinto COGNOME ritenuto dall’Ufficio di Procura stretto collaboratore di COGNOME per carenza del requisito della pericolosità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Va osservato che in tema di misure di prevenzione personale, ai sensi dell’art. 4, comma 11, I. 27 dicembre 1956, n. 1423, avverso il decreto della Corte d’Appello che decide sulla impugnazione proposta contro il provvedimento con cui il Tribunale applica una delle misure di prevenzione personali previste dall’art. 3, I. 27 dicembre 1956, n. 1423 è ammesso soltanto ricorso in cassazione per violazione di legge, da parte del Pubblico Ministero e dell’interessato; secondo
l’orientamento consolidato di questa Corte, può essere dedotto quale violazione di legge il vizio della motivazione solo qualora se ne contesti l’inesistenza o la mera apparenza, qualificabili come forme di violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4, I. n.1423 del 1956 (oggi comma secondo dell’art. 10, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159).
In particolare, oltre ai casi di mancanza assoluta, la motivazione può ritenersi apparente soltanto quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, o sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito (vedi Cass., sez. VI, 10/03/2008, n. 25795).
Nel caso di specie, è da escludersi che nel decreto impugnato sia rinvenibile una motivazione meramente apparente, posto che la Corte di appello ha richiamato le indagini svolte dalla Guardia di Finanza, dalle quali è risultato che, analizzando i redditi di COGNOME e della moglie, gli acquisti e gli impegni assunti, gli assegni familiari ricevuti e confrontando i dati con la ‘spesa familiare media annua’ secondo i criteri elaborati dall’Istat, vi è stata una sperequazione annua crescente dal 2013 al 2022, indicativa di profitti illeciti derivanti dalla attività delittuosa di Castagnetta (non oggetto del giudizio di rinvio).
Una volta raggiunta la prova circa la sproporzione dei profitti rispetto alla capacità reddituale lecita del soggetto, sussiste una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, superabile solo attraverso specifiche e verificate allegazioni dell’interessato che, nel caso in esame, non vi sono state, posto che la tesi secondo la quale il nucleo familiare di Castagnetta sarebbe stato aiutato economicamente da quello della moglie è rimasto del tutto indimostrato.
2.Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen; , con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/02/2025