Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15942 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15942 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Reggio Calabria COGNOME NOME nato a Gioia Tauro il 21/05/1975 COGNOME NOME nato a Gioia Tauro il 27/06/1935 nel procedimento a carico di questi ultimi e di COGNOME NOME nato a Gioia Tauro il 25/03/1947 COGNOME NOME nata a Gioia Tauro il 09/02/1983
RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 18/06/2024 della Corte di Appello di Reggio Calabria lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso del Procuratore generale e per l’inammissibilità di quelli di NOME
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME e di NOME COGNOME
letti i motivi nuovi proposti dall’avv. NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME, insiste per l’accoglimento del ricorso principale.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, con decreto in data 18 giugno 2024, depositato il 26 settembre 2024, ha:
-accolto parzialmente l’appello promosso dal proposto NOME COGNOME e dal terzo interessato NOME COGNOME e ha pertanto rigettato la misura di prevenzione patrimoniale con riferimento ai seguenti beni di proprietà di
NOME COGNOME: a) quota di 1/3 del terreno sito in GioVa Tauro (RC), distinto in catasto al foglio 34, particella 407, acquistato il 22 aprile 1975; b) abitazione (A/5) sita in Gioia Tauro (RC), INDIRIZZO, paino terra, distinto in catasto al foglio 25, particella 342, sub. 3; c) abitazione (A/5) sita in Gioia Tauro (RC), INDIRIZZO, paino terra, distinto in catasto al foglio 25, particella 342, sub. 4;
-accolto l’appello proposto dal terzo interessato NOME COGNOME e, per l’effetto, ha rigettato la richiesta di applicazione della misura di prevenzione con riferimento all’agrumeto sito in Gioia Tauro (RC), INDIRIZZO distinto in catasto al foglio 30, sviluppo Z, particelle NUMERO_CARTA di proprietà dello stesso appellante;
-accolto l’appello presentato dalla terza interessata NOME COGNOME e per l’effetto ha rigettato la richiesta con riferimento: a) alla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, p.iva P_IVA e al relativo patrimonio aziendale; b) al conto corrente n. 5621.32 acceso presso il Monte dei Paschi di Siena intestato a NOME COGNOME; c) al conto corrente n. 5663.29 acceso presso il Monte dei Paschi di Siena intestato a NOME COGNOME:
confermato nel resto il decreto impugnato emesso dal Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, il 12 gennaio 2022 nel procedimento n. 123/2020.
2. In estrema sintesi.
Il procedimento di prevenzione si riferisce alla richiesta di misura di prevenzione personale e patrimoniale avanzata nei confronti di NOME COGNOME, anche con riferimento ai beni intestati ai terzi interessati NOME COGNOME (figlio del proposto e della sig.ra NOME COGNOME alla quale era intestata la quasi totalità dei beni, poi ereditati dall’attuale ricorrente e ch pertanto agisce in qualità di erede della stessa COGNOME), la sig.ra NOME COGNOME (nuora del proposto in quanto moglie di NOME COGNOME e il sig. NOME COGNOME
Per come ricostruito nei due provvedimenti di merito NOME COGNOME è soggetto contiguo e vicino alla famiglia COGNOME da tempo estremamente risalente, più o meno dalla fine degli anni ’50.
Nel corso del tempo avrebbe rivestito vari ruoli ed è stato attinto da provvedimenti cautelari (da ultimo nel 2017) e anche condannato per reati di cui all’art. 416-bis cod. pen. e 81, comma 2, 390 e 416-bis.1 cod. pen in relazione a un tentato omicidio.
Il Tribunale, con giudizio confermato dalla Corte di appello che i ricorrenti non contestano, riconosciuta la pericolosità qualificata, ha applicato la misura di prevenzione personale.
Nei confronti dello stesso e dei terzi interessati, è stata anche applicata la misura di prevenzione patrimoniale e, nello specifico, la confisca di tutti i beni intestati a NOME COGNOME la moglie deceduta del proposto cui erano intestati pressoché tutti i beni immobili, tra cui un’azienda olearia.
La misura patrimoniale, quella cui ora si riferiscono tutti i ricorsi, è stata originariamente disposta sia in quanto i beni sarebbero stati acquistati con proventi e disponibilità di provenienza illecita sia perché vi sarebbe stata una sproporzione tra i redditi dichiarati dal proposto e l’attività economica esercitata dallo stesso e dal nucleo familiare e il patrimonio nella disponibilità dello stesso e della famiglia.
Nello specifico il Tribunale ha considerato il patrimonio e i redditi e l’attività dall’anno 1976.
La particolarità è rappresentata dal fatto che per i redditi degli anni dal 1976 al 1997 il giudizio è fondato su di una valutazione presuntiva che fa riferimento agli estimi catastali e alle rivalutazioni effettuate in base a delle percentuali stabilite anno per anno. Ciò in quanto la documentazione relativa ai redditi antecedenti l’anno 1997 è stata ormai distrutta dall’agenzia delle entrate e, pertanto, senza che il proposto ne abbia colpa, non è stata reperita.
A ben vedere, poi, la sproporzione ritenuta per quegli anni è considerata come determinante anche per concludere in senso favorevole alla confisca per i beni successivamente acquistati o pervenuti nella disponibilità del proposto e della moglie.
La Corte di appello, ritenuto che la confisca potesse e dovesse essere disposta per la sola sproporzione e non per la provenienza illecita dei beni o delle provviste che ne hanno consentito l’acquisto, ha parzialmente accolto le impugnazioni presentate dal proposto e dal figlio, nonché quelle dei terzi estranei, per i quali ha ritenuto che non sia stato dimostrato che la disponibilità dei beni era in effetti del proposto.
Nel resto, per quel che più interessa ai fini degli attuali ricorsi, ha confermato l’attendibilità dell’accertamento effettuato in ordine alla sproporzione tra il patrimonio del nucleo familiare e i redditi così come calcolati sulla base della rivalutazione degli estimi catastali, in ciò considerando attendibile l’accertamento presuntivo effettuato e questo a prescindere dalle ulteriori e diverse questioni poste della difese in ordine alla legittimità e correttezza di tale modo di procedere, non fondato su “dati certi” e quanto alla capacità economica
di NOME COGNOME che avrebbe avuto una eredità dal padre e anche degli aiuti economici da parte dei fratelli.
In generale, d’altro canto, ad avviso della Corte territoriale il proposto, a fronte dell’accertamento comunque effettuato, non avrebbe adempiuto all’onere di dimostrare la consistenza dei redditi conseguiti nel periodo e, pertanto, contrastare il giudizio in termini di sproporzione.
Avverso il provvedimento hanno presentato ricorso il Procuratore generale e, a mezzo dei rispettivi difensori, il proposto e NOME COGNOME
Il Procuratore Generale in un unico motivo ha dedotto la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 20 e 24 d.lgs. 159 del 2011 quanto al parziale accoglimento degli appelli proposti da NOME COGNOME e dal figlio NOME, terzo interessato. Nello specifico il ricorrente rileva che la Corte avrebbe travisato il dato quanto agli acquisti effettuati nell’anno 1999 in quanto i redditi conseguiti in tale periodo non dipendevano solo da fondi leciti ma anche da una somma proveniente dalla rivendita di alcuni terreni acquistati nel 1994, anno in cui la sperequazione annuale e quella a scalare era negativa, per cui ci si troverebbe di fronte a un reimpiego di somme derivanti dalla messa a profitto di beni illecitamente acquisiti. Sotto altro profilo poi, il ricorrente evidenzia che la pericolosità social del proposto sarebbe accertata sin dagli anni ’50 e poi ’60 per cui sarebbe dimostrato un illegittimo accumulo di ricchezza per reimpiego di capitali illeciti per cui tutto il patrimonio del proposto e dei suoi familiari avrebbe dovuto essere oggetto di confisca.
L’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME premesso che l’indagine sui redditi è stata compiuta dal 1976 al 2017, che i beni confiscati sono stati tutti acquistati a titolo oneroso prima dell’anno 1997, per lo più nel 1986, che l’Agenzia delle Entrate non ha conservato le dichiarazioni antecedenti a tale anno e che i beni confiscati appartenevano tutti alla moglie del proposto, ha dedotto le seguenti censure.
5.1. Violazione di legge in punto di sperequazione reddituale in relazione agli artt. 10, comma 2, 24 e 26 d.lgs. 159 del 2011 e art. 125, comma 3, cod. proc. pen. In un unico motivo la difesa rileva che / a fronte della mancanza delle dichiarazioni dei redditi per gli anni antecedenti il 1997 / il calcolo circa la sproporzione dei redditi sarebbe stato effettuato in modo errato e illegittimo in quanto, come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale, non si fonderebbe su “dati certi”. A ben vedere, d’altro canto, il giudice di merito, senza confrontarsi
con la consulenza contabile di parte e con le specifiche contestazioni contenute nell’atto di appello, avrebbe proceduto sulla base di una indebita sommatoria tra i redditi domenicali e quelli agrari e con una rivalutazione la cui percentuale di aumento sarebbe stata quantificata in via ipotetica. Sotto altro profilo, poi, il giudizio sarebbe stato emesso in violazione dei criteri di riparto dell’onere della prova in quanto, in assenza di prove concrete, non si potrebbe ritenere che la parte non abbia contrapposto una difesa idonea a dimostrare la legittimità della provenienza delle provviste necessarie per l’acquisto dei beni, ciò peraltro anche considerato che il proposto non avrebbe un vero e proprio onere dimostrativo ma solo quello di allegare elementi idonei a giustificare l’acquisto. Ciò soprattutto quando l’accusa si è limitata a fondare le proprie richieste su stime generiche e non su dati ed elementi concreti. A ben vedere, in questo modo, cioè fondando la conclusione sull’affermazione che il criterio presuntivo è corretto perché la difesa non lo avrebbe adeguatamente scalfito, sarebbe stato applicato un criterio caratterizzato dall’illegittima inversione dell’onere della prova, peraltro in ordine a redditi risalenti a oltre trentuno anni prima. Per altro verso, infine, il decreto impugnato non conterrebbe alcun riferimento e non terrebbe pertanto in alcuna considerazione gli ulteriori elementi allegati dalla difesa, quale la dichiarazione scritta di NOME COGNOME per cui la motivazione sul punto sarebbe inesistente.
L’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME terzo interessato nella qualità di erede di NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi con riferimento ai beni per i quali, respingendo l’appello, è stata confermata la confisca.
6.1. Violazione di legge in relazione al criterio di valutazione utilizzato con riferimento anche all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. In due complementari motivi la difesa rileva che la motivazione in ordine alla sproporzione tra il patrimonio e i redditi sarebbe apparente in quanto il criterio utilizzato per gli anni dal 1976 al 1997, unico periodo per il quale la gestione dei patrimonio e dell’attività imprenditoriale non sarebbe stata virtuosa, sarebbe privo di consistenza e questo anche considerato che i giudici di merito non si sarebbero confrontati con la consulenza tecnica depositata e con gli altri elementi indicati dalla difesa (quali le dichiarazioni rese da NOME COGNOME). Ciò anche considerato che la carenza di documentazione contabile per gli anni antecedenti il 1997, quelli ai quali risalirebbe la sproporzione, non dipende dal proposto ma dalla stessa Agenzia delle Entrate.
In data 13 dicembre 2024 sono pervenuti in cancelleria i motivi nuovi con i quali l’avv. NOME COGNOME ripercorsi gli argomenti già illustrati nel ricorso
proposto nell’interesse di NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale.
In data 17 dicembre 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni scritte con le quali il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME evidenziato che la Corte territoriale ha risposto a tutte le censure e che queste sono ora nella sostanza reiterate, chiede che il ricorso del Procuratore generale sia rigettato e che quelli di NOME COGNOME e di NOME COGNOME siano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per cassazione avverso provvedimenti applicativi di misure di prevenzione patrimoniali, ai sensi degli artt. 10 e 27 D.Lvo 159 del 2011, è ammesso solo per violazione di legge.
Il secondo comma dell’art. 27 cit., infatti, espressamente stabilisce che “per le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10” che, a sua volta al comma terzo prevede che “avverso il decreto della Corte di appello, è ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell’interessato e del suo difensore…”.
In sede di legittimità, non è dunque deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente, o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente, ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, ovvero quando la motivazione stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora, allorché le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione della misura (cfr. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 21898 del 11/02/2014, COGNOME, Rv. 260613 – 01; Sez. 6, n. 35044, del 8/03/2007, dep. 18/09/2007, COGNOME, Rv. 237277 – 01; la limitazione del ricorso alla sola “violazione di legge” è stata tra l’altro riconosciuta dalla Corte Costituzionale non irragionevole con sent. n. 321 del 2004).
Tanto in breve premesso.
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME sono fondati.
I ricorrenti nei rispettivi motivi di impugnazione e nei motivi nuovi deducono la carenza totale di motivazione quanto alla ritenuta sproporzione tra il valore dei beni sottoposti a confisca e i redditi e all’attività economica del proposto e della sua famiglia.
Nello specifico le difese rilevano che la Corte di appello, che pure ha fondato il giudizio su di un ragionamento presuntivo che prende le mosse da dati incerti e si riferisce a un lasso di tempo amplissimo per buona parte del quale non è stata reperita alcuna documentazione fiscale/reddituale, ha del tutto omesso di considerare le specifiche doglianze esposte nell’atto di appello e, soprattutto, di confrontarsi con la consulenza tecnica e con la documentazione prodotta, nello specifico le dichiarazioni rese da NOME COGNOME fratello della moglie del proposto, unica intestataria di tutti i beni confiscati.
La doglianza è fondata.
A fronte delle specifiche deduzioni contenute nell’atto di appello in ordine al metodo utilizzato per determinare i redditi relativi al periodo 1976 – 1997 in assenza di documentazione fiscale/reddituale, infatti4t–Tr-ibtifia4e, si è limitatela riportare pedissequamente la motivazione del decreto appellato e a esporre delle considerazioni generiche, con ciò omettendo di confrontarsi con le censure esposte dalla difesa e, soprattutto, di esaminare gli argomenti contenuti nella consulenza contabile di parte e nelle successive integrazioni di questa (cfr. pagine 11 e 12 nelle quali si dà atto dell’avvenuta produzione sia della consulenza che delle integrazioni, anche corroborate da ulteriore documentazione) / per cui risulta anche inconferente l’affermazione che la difesa non avrebbe allegato alcunché quanto all’attività di impresa agricola svolta e ai maggiori redditi invocati. (
Pure inesistente, d’altro canto, risulta la motivazione in merito al rilievo da attribuire o meno alle dichiarazioni rese da NOME COGNOME circa le disponibilità economiche della sorella, moglie del proposto e formale intestataria della quasi totalità dei beni confiscati.
Per le ragioni esposte, rilevata la violazione di legge costituita dalla totale assenza di motivazione in ordine a una specifica censura sollevata dalla difesa con riferimento a un elemento decisivo per la pronuncia, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio affinché la Corte di appello di Reggio Calabria, senza vincoli nel merito, proceda a un nuovo giudizio.
3. Il ricorso proposto dal Procuratore generale è inammissibile.
In un unico motivo l’organo dell’accusa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al parziale accoglimento degli appelli proposti da NOME COGNOME e dal figlio NOMECOGNOME terzo interessato,
evidenziando che la Corte territoriale avrebbe travisato alcuni elementi valuta dal Tribunale e avrebbe erroneamente considerato la natura di alcune provviste
utilizzate per l’acquisto dei beni per i quali la richiesta di confisca respinta.
Le doglianze dedotte, pure articolate e formulate nei termini dell violazione di legge ma che in realtà afferiscono alla logicità e alla completez
della motivazione, non sono consentite.
La censura, infatti, costituita nella sostanza dall’argomento per cui i beni i quali è stata respinta la confisca sarebbero comunque frutto di attività illeci
stata disattesa dalla Corte territoriale e la motivazione resa sul punto non ritenersi inesistente.
P.Q.M.
In accoglimento dei ricorsi di COGNOME Girolamo e di COGNOME NOMECOGNOME annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello d
Reggio Calabria. Dichiara Inammissibile il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria. Così deciso il 16 gennaio 2025
Il Consiglie estensore
1 Il Presidente