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Spese legali nel processo penale d’appello

La sentenza affronta il tema del calcolo delle spese legali nel processo penale d’appello, con particolare riferimento alla corretta applicazione dei parametri previsti dal D.M. 55/2014 e dal Protocollo d’intesa del 2016. Viene inoltre affrontato il tema della legittimità dell’applicazione del Protocollo d’intesa alla luce della successiva entrata in vigore della legge 21 aprile 2023 n.49 sull’“equo compenso”.

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Pubblicato il 24 maggio 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Penale

n. 2472/2024

RG

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE

QUARTA SEZIONE CIVILE Il Presidente della Quarta Sezione Civile della Corte di Appello di Firenze, dott.ssa NOME COGNOME all’udienza cartolare del 17/04/2025 ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A N._781_2025_- N._R.G._00002472_2024 DEL_28_04_2025 PUBBLICATA_IL_28_04_2025

ex artt. 281 decies e segg. c.p.c. nella causa civile di II Grado iscritta al n. 2472/2024 RG promossa da:

difesa in proprio ai sensi e per gli effetti dell’art. 86 c.p.c. ricorrente Contro resistente, contumace causa trattenuta in decisione all’udienza del 17/04/2025 sulle seguenti conclusioni:

Conclusioni ricorrente:

“si chiede che l’Ill.mo Signor Presidente della Corte di Appello di Firenze Voglia In via principale Ed in riforma del decreto di pagamento indicato voglia, liquidare alla sottoscritta Avv. per le causali di cui in narrativa la somma di € 4.254,00 oltre maggiorazione 15% iva e cap come per legge, come richiesto nell’istanza di liquidazione nel procedimento n. 748/2021 R.G.A. e n. 2472/2008 R.G.N.R. a carico del Sig. , o In via subordinata diversa somma che sarà ritenuta di giustizia e/o di ragione in misura comunque superiore a quanto liquidato nel decreto di pagamento impugnato per tutti i motivi e conteggi di cui in narrativa, per l’attività svolta nel procedimento n. 748/2021 R.G.A. e n. 2472/2008 R.G.N.R. a carico del Sig. In ogni caso Condannare le parti resistenti al pagamento delle spese processuali. ”;

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con ricorso avanzato in data 16/12/2024 ex art. 15 D.lgs 1.9.2011 n. 150 e artt.84, 170 D.P.R. n. 115/2002 l’avv. ha impugnato il decreto della Corte di Appello di Firenze, Terza Sezione penale, depositato il 21/11/2024.

La ricorrente espone di avere assistito, quale difensore di fiducia, il sig. in qualità di imputato nel processo penale di appello n. 2472/08 R.G.N.R. e n. 748/2021 R.G.App.

, per ben 11 capi d’imputazione relativi a molteplici episodi di detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, avendo interposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Siena n. 189 del 14/12/2012.

La stessa ricorrente deduce di aver presentato istanza di liquidazione alla Corte Penale, in qualità di difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella quale chiedeva come compenso per la sua attività professionale la somma di euro 4.254,00 oltre spese forfettarie e accessori di legge, importo ricavato dall’applicazione dei valori medi secondo i parametri del D.M. 10/03/2014 n. 55 e successive modifiche;

tuttavia, la Corte, con decreto del 24/11/2024, ritenendo di dover applicare, invece, il Protocollo d’intesa del 25/07/2016 tra la Corte di Appello di Firenze e il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Firenze, liquidava i compensi nella misura di euro 1.130,00 oltre spese forfettarie e accessori di legge.

La ricorrente impugnava pertanto detto provvedimento con la presente opposizione, censurando, con il primo motivo, la mancanza di motivazione, o meglio, la presenza di una motivazione solo apparente nella esplicitazione delle modalità del computo delle somme e ciò non rendeva possibile ricostruire con esattezza l’iter logico giuridico seguito dal giudice nel pervenire alla decisione, non essendo quindi stato spiegato il motivo per cui sono state liquidate somme modestissime e non adeguate all’attività defensionale svolta (ossia euro 180,00 per la fase di studio, euro 350,00 per la fase introduttiva ed euro 600,00 per la fase decisoria). vigenti al momento della liquidazione dei compensi (avendo fatto riferimento nel decreto alle “tariffe professionali vigenti all’epoca dell’effettuazione della prestazione”), nonché l’erronea applicazione dei valori individuati dal protocollo del 25/7/2016, per cui era stato determinato un importo secondo i valori base della “tabella A” riferibile ai reati di competenza del Giudice Monocratico, per un solo capo d’imputazione, definiti in una sola udienza, senza l’applicazione di alcuna variabile in aumento di cui alla “tabella B” del medesimo protocollo, come invece doveroso nel caso di specie. La ricorrente, infine, contestava l’applicazione stessa del protocollo d’intesa del 25/07/2016, ritenendolo superato dalla legge 21 aprile 2023 n.49.

Tale legge, intervenuta successivamente in materia di “equo compenso” professionale, sanciva che lo stesso doveva essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, nonché, per gli avvocati, conforme ai compensi previsti dal D.M. Giustizia emanato in conformità alla legge forense (e quindi, al D.M. 55/2014 aggiornato dal D.M. n. 147/2022).

La ricorrente pertanto ha concluso come meglio indicato in epigrafe.

2.

La notifica del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione della prima udienza è stata regolarmente effettuata ed il non si è costituito in giudizio, rimanendo contumace.

Il ricorso è stato iscritto a ruolo dopo l’entrata in vigore della c,d, “riforma Cartabia” (d.lgs..

10 ottobre 2022, n. 149) che ha abrogato il procedimento sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis e seguenti cpc (normativa richiamata dall’art. 15 dec.

lgs 150/11) ed ha introdotto il procedimento semplificato di cognizione di cui agli artt. 281 decies e seguenti cpc;

conseguentemente con la legge 29 dicembre 2022, n. 197 è stato modificato l’art. 15 dec. lgs 150/11

nel senso che il “rito sommario di cognizione” ivi indicato è stato sostituito con “il rito semplificato di cognizione” di cui agli artt. 281 decies e seguenti cpc, il quale si conclude con una sentenza che deve essere emessa all’esito di discussione orale ex artt. 281 terdecies e 281 sexies cpc. Ciò nonostante, non è stata contestualmente modificata la competenza a provvedere sull’opposizione, che rimane dunque radicata a favore del “capo dell’ufficio giudiziario”, ossia in capo al sottoscritto Presidente di Sezione (delegato dal Presidente della Corte). La causa viene pertanto decisa con sentenza emessa dal sottoscritto Presidente all’esito dell’udienza del 17/04/2025, tenutasi in forma cartolare ex art. 127 ter cpc, avendo parte ricorrente espressamente rinunciato alla trattazione orale.

relazione al primo motivo di gravame, secondo quanto autorevolmente stabilito dalla Suprema Corte (cfr. Cass SSUU n° 22232/2016, conf. Cass. n. 13977/2019), la motivazione è solo apparente, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Tanto premesso, il motivo in esame è infondato.

Nel caso di specie, la motivazione dettata dalla Corte di Appello a fondamento del decreto opposto, sia pure sintetica e limitata al richiamo del D.M. 55/2014 e del Protocollo d’intesa, è tale da consentire di ricostruire il percorso logico seguito dal primo Giudice, che nel computo delle somme si è, per l’appunto, avvalso dei parametri medi del suddetto Protocollo, rispetto al quale la menzione del D.M. Giustizia n. 55/14 risulta del tutto ultronea se non addirittura mero refuso.

Del resto, se anche si dovesse ritenere non esaustiva la motivazione esplicitata nel decreto opposto, ciò non determinerebbe la nullità del provvedimento, ben potendo la motivazione essere integrata in questa fase di impugnazione.

Quanto al secondo motivo di gravame, lo stesso è parzialmente fondato.

Va premesso come la contestazione sulla corretta applicazione temporale dei parametri del DM Giustizia sia del tutto irrilevante rispetto al decisum, dato che la Corte Penale, pur facendo un richiamo ai suddetti parametri, se ne discosta palesemente nella liquidazione, applicando invece quelli convenzionati col Protocollo d’intesa.

Il vero thema decidendum della controversia, quindi, verterà piuttosto su tre questioni:

sulla legittimità dell’applicazione del Protocollo, sulla correttezza dei calcoli delle somme in base al medesimo Protocollo ed infine sulla congruità delle stesse.

Per quanto concerne il primo aspetto, la ricorrente non ha esposto alcuna valida deduzione a sostegno dell’erronea applicazione del Protocollo d’intesa, non potendosi certo sostenere la tesi – invero neppure sostenuta expressis verbis – che esso, risalendo al 2016, sarebbe stato implicitamente abrogato dalla successiva entrata in vigore della legge 21 aprile 2023 n.49, la quale, nel definire “l’equo compenso” professionale come quello proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, ha fatto esplicito riferimento ai compensi previsti per gli avvocati dal Decreto del Ministro della Giustizia emanato ai sensi dell’art.13, comma 6, della legge 31.12.2012, n. 247 (ossia il D.M. 55/2014 aggiornato dal D.M. n. 147/2022). Difatti, a prescindere dall’assorbente rilievo che detta legge non si applica al caso di specie (vedi rappresentative degli avvocati penalisti per la determinazione pattizia e calmierata dei compensi spettanti ai difensori delle parti ammesse al PSS nel processo penale (nel caso di specie trattasi di un accordo siglato nel 2016 d’intesa tra la Corte di Appello di Firenze, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Firenze, l’Unione distrettuale degli Ordine Forensi della Toscana, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e la Camera Penale di Firenze e Coordinamento delle Camere Penali della Toscana). Deve quindi ritenersi che parte ricorrente non abbia addotto alcun valido motivo per spiegare perché la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare nel caso di specie il D.M. 55/2014 (aggiornato dal D.M. n. 147/2022) e non invece il Protocollo del 2016, ancora attualmente in vigore.

In relazione al secondo punto, invece, non può che rilevarsi l’errore in cui è incorso il Giudice Penale che, in sede di liquidazione, nell’applicare i parametri previsti dal predetto Protocollo, ha tenuto conto solo dei valori “base” della tabella A, senza apportare le dovute maggiorazioni previste dalla tabella B. Infatti, i valori indicati nella tabella A, ed in particolare, l’importo complessivo di euro 1.130,00 (somma dei valori medi previsti per le tre fasi, già ridotti ex art. 106 bis T.U.S.G. ed ulteriormente ridotti in via convenzionale) sono da applicarsi “ai processi che riguardano … reati di competenza del Giudice monocratico, con un solo imputato, senza parte civile, che non richiedano la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e che sono definiti in una sola udienza. ” Lo stesso Protocollo altresì prevede che ai valori della tabella A si applichino le ulteriori maggiorazioni della tabella B, in presenza dei seguenti fattori: .

Partecipazione ad ulteriori udienze, anche di mero rinvio, con aumento forfettario per ciascuna udienza oltre la prima di euro 200,00; .

Presenza di almeno una parte civile con aumento forfettario di euro 200,00; .

Processo con detenuto/detenuti con aumento forfettario di euro 200,00; .

Indennità di trasferta con aumento forfettario di euro 100,00; .

Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale non esclusivamente documentale con aumento di euro 900; .

Giudizi con più di 5 capi d’imputazione con aumento pari al 40% da calcolarsi sull’importo risultante dall’applicazione degli importi di cui alla tabella A; .

Pluralità delle parti difese e/o pluralità delle parti in conflitto ; .

Processi, riguardanti reati di competenza del Tribunale collegiale o reati di competenza del giudice monocratico di particolare complessità, con aumento del 50% da calcolarsi sull’importo risultante A tal riguardo è documentato dalla sentenza del Tribunale di Siena (doc. 1) e dalla sentenza della Corte di Appello di Firenze (doc. 3) che il giudizio penale d’appello R.G.APP.

748/2021 nel quale l’avv. ha svolto l’attività di difensore del sig. , ammesso al PSS, ha riguardato undici capi d’imputazione, e che questi fossero relativi alla fattispecie di reato prevista ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. 309/90, in parte anche aggravata dalla circostanza ex art. 80 dello stesso testo, materia rientrante nella competenza del Tribunale in composizione collegiale.

Risultano, quindi, sussistenti le circostanze di cui ai punti 6 e 8 della suddetta tabella B, per cui il Giudice Penale avrebbe dovuto sommare all’importo base (euro 1.130) rispettivamente una maggiorazione del 40% (euro 452,00) e del 50% (euro 565,00), per un totale di euro 2.147,00.

Viceversa non è ritenuta dovuta l’indennità di trasferta, anch’essa richiesta dalla ricorrente, non potendosi riconoscere automaticamente la stessa solo perché non vi sia coincidenza tra il luogo di svolgimento del processo e la sede professionale del difensore, essendo invece necessaria la prova della partecipazione all’udienza (ad esempio mediante produzione del verbale di udienza) e dell’effettivo trasferimento del legale dalla sua residenza (Cass. n. 17898/2003; Cass. n. 22951/2016).

Dalla documentazione allegata, invece, non è possibile né desumere né presumere ragionevolmente tali circostanze.

Va anche precisato che le fasi previste nel Protocollo sono solo tre (fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria) e manca quindi la fase di “trattazione/istruttoria” indicata nel DM 55/14, ma ciò si spiega agevolmente, considerando che nella stragrande maggioranza dei casi il giudizio penale di appello si svolge senza alcuna rinnovazione dell’istruttoria e comunque, in caso contrario, è prevista la specifica voce in aumento del compenso di cui al punto n. 5. Come pure la mancata previsione della fase di trattazione è bilanciata dalla previsione, nel caso in cui il processo penale non si esaurisca nella prima udienza, della specifica voce di aumento del compenso di cui al punto n. 1 per tutte le udienze successive, anche di mero rinvio. In questo caso dagli atti allegati al ricorso in opposizione non emerge se il processo di appello si sia svolto in una o più udienze, al fine di poter applicare o meno l’aumento di cui al punto n. 1 della tabella B del Protocollo.

Infine, per quanto attiene il terzo profilo, nemmeno si ravvisa la dedotta sproporzione tra il compenso liquidato nel decreto impugnato e la quantità e qualità del lavoro svolto, e quindi, conseguentemente, la asserita incompatibilità tra la legge 49/2023 sull’ “equo compenso” e gli importi determinati con il Protocollo.

Infatti, pur essendo pacifico che l’art. 3 della citata legge prevede che “Sono nulle le clausole che dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247,” la norma in esame non trova applicazione al caso di specie:

infatti, come stabilito dall’art. 2 (rubricato “ambito di applicazione”), la legge in questione si applica solo relativamente ad “attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro”.

In definitiva si ritiene che l’ammontare di euro 2.147,00 (determinato dalla somma di euro 180 per la fase di studio, euro 350 per la fase introduttiva, euro 600 per la fase decisoria, euro 452 per la maggiorazione del 40% relativa ai plurimi capi d’imputazione e euro 565 per l’aumento del 50% dovuto alla competenza del Tribunale in composizione collegiale), determinato sulla base della corretta applicazione del Protocollo 2016, sia congruo ed equo.

Il provvedimento impugnato deve quindi essere riformato come indicato in dispositivo.

4.

Le spese del presente giudizio sono poste a carico del , poiché, pur non essendo stato accolto integralmente il ricorso, la ricorrente va considerata pur sempre la parte vittoriosa ed è principio pacifico che la contumacia costituisce condotta processualmente neutra, che giammai può integrare le ipotesi di compensazione (per ultima ordinanza n.8273/24 della Corte di Cassazione).

Le stesse, quindi, si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei parametri minimi del D.M. 10/03/2014 n. 55 così come modificato dal DM 147/22 in relazione al valore della causa (nello scaglione tra € 1.100 e € 5.200), esclusa la fase istruttoria perché non espletata e ridotta quella decisoria perché realizzata a mezzo di note scritte.

PQM

Il Presidente della Quarta Sezione civile della Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento dell’opposizione ed in riforma del decreto impugnato emesso dalla Corte di Appello di Firenze, Terza Sezione penale il 21/11/2024, così decide:

liquida in favore dell’avv.to in relazione alle prestazioni professionali rese in favore di nel procedimento penale di appello n. 2472/2008 R.G.N.R. e n. 748/2021 R.G.App., la somma di euro 2.147,00, oltre a spese forfettarie del 15%, oltre IVA e CAP come per legge.

al pagamento delle spese processuali del presente giudizio sostenute dalla ricorrente, che liquida nella complessiva somma di euro 750,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre Iva e Cap come per legge.

Così deciso in Firenze, il 28.4.25 Il Presidente di Sezione delegato Dott.ssa NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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