Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22995 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22995 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Taranto il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 del Tribunale di Taranto letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Taranto, con la sentenza di cui in epigrafe, ex art. 444 cod. proc. pen., ha applicato a COGNOME NOME, la pena di otto mesi di reclusione e C 8.000,00 di multa, in relazione ai reati di cui agli artt. 40 comma 1, lett. b) d.P.R. n. 504 del 1995, 20 d.lgs; n. 139/206 e 679 cod.pen., disponendo la condanna alle spese di conservazione e custodia dei beni sequestrati.
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Avverso la sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore di fiducia, deducendo due motivi di ricorso.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 129 cod.proc.pen. non avendo assolto all’obbligo di motivazione che deve sorreggere ogni provvedimento ai sensi dell’art. 111 Cost.
Violazione di legge in relazione alla condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di custodia nonostante fosse stato indicato, nel verbale della Guardia di Finanza, che la custodia fosse a titolo gratuito.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché proposto per ragioni non consentite avverso la sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod.proc.pen.
Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura sicurezza.
Nel caso in esame il ricorrente ha allegato la carenza di motivazione sulla responsabilità penale e sulla congruità della pena.
In disparte la considerazione che, contrariamente all’assunto difensivo, la sentenza impugnata è sorretta da un’ampia motivazione in positivo degli elementi a carico dell’imputato, il ricorrente non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi per le quali è attualmente consentito il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta, non avendo sollevato questioni attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazion tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illega della pena o della misura di sicurezza.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Sotto un primo profilo è inammissibile perché il ricorrente non ha allegato il fatto processuale (l’affidamento in custodia gratuita del prodotto petrolifero sottoposto a sequestro).
In ogni caso il motivo è manifestamente infondato.
Costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la previsione di cui all’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., relativa all’esenzione dell’obbligo di pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in caso di applicazione di pena su richiesta RAGIONE_SOCIALE parti non superiore a due anni (soli o congiunti a pena detentiva), deve intendersi riferita alle spese processuali in senso stretto, non estendendosi alle spese di custodia dei beni sequestrati, né a quelle di mantenimento in carcere dell’imputato che, in ogni caso, debbono essere poste a suo carico (Sez. 4, n. 24390 del 12/05/2022, COGNOME, Rv. 283243 – 01; Sez. 4, n. 47100 del 06/10/2004, COGNOME, Rv. 231187-01, Sez. 1, n. 27700 del 26/06/2007, COGNOME, Rv. 237119 – 01 che ha affermato che la sentenza di patteggiamento è equiparata ad una pronuncia di condanna a norma dell’art. 445, comma primo bis cod.proc.pen. con conseguente addebito RAGIONE_SOCIALE spese di custodia all’imputato cui sia stata applicata la pena a richiesta).
Si è chiarito poi che l’omessa statuizione sulle spese in oggetto nella sentenza di patteggiamento non costituisce causa di esonero dell’obbligo di pagamento, trattandosi di pagamento stabilito direttamente dalla legge (Sez. 1, n. 49280 del 16/03/2016, Rimedio, Rv. 268395-01) in quanto la previsione contenuta nell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., deve essere riferita alle spese processuali in senso stretto e non si estende alle spese di custodia dei beni sequestrati, atteso che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 204 comma 3, stabilisce espressamente il diritto dell’Erario al recupero RAGIONE_SOCIALE spese di custodia dei beni sequestrati in caso di sentenza di condanna ai sensi del citato art. 445 cod. proc. pen. Specularmente, l’art. 150, comma 2, del medesimo D.P.R. stabilisce che l’imputato è esonerato dal pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di custodia soltanto in caso di provvedimento di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o sentenza di proscioglimento (in tal senso Sez. 1, n. 49280/2016, cit.; Sez. 1, n. 19687 del 26/04/2007, COGNOME, Rv. 236439).
3. Quanto al caso in esame, correttamente il giudice del patteggiamento ha condannato l’imputato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di custodia prodotto energetico che era stato affidato in custodia all’RAGIONE_SOCIALE Taranto. La gratuità della custodia quand’anche sussistente, non farebbe venire meno la statuizione di condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di custodia dei beni, stante l’obbligo di corrispondere le spese di custodia all’Erario che consegue al diritto dell’Erario al recupero RAGIONE_SOCIALE spese di custodia dei beni sequestrati qualora il custode (RAGIONE_SOCIALE azionasse il suo diritto al pagamento per il recupero del suo credito verso l’Erario, ai sensi degli artt. 58,59, 168,170,178 e 186 del d.P.R. n. 115/2002, credito che a sua volta, ai sensi dell’art. 204 del d.p.r 115 del 2002, comporta la rivalsa del’Erario nei confronti dell’imputato condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Così deciso il 05/04/2024