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Spese di custodia patteggiamento: quando si pagano?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22995/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo un patteggiamento, contestava il pagamento delle spese di custodia dei beni sequestrati. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: le spese di custodia patteggiamento non rientrano nell’esenzione prevista per le pene inferiori a due anni. L’obbligo di pagamento sussiste sempre e non è possibile impugnare la sentenza per motivi non previsti dalla legge, come la presunta carenza di motivazione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spese di Custodia Patteggiamento: La Cassazione Chiarisce l’Obbligo di Pagamento

Con la sentenza n. 22995 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: il pagamento delle spese di custodia patteggiamento. La decisione conferma un orientamento consolidato, ribadendo che l’accordo sulla pena non esonera l’imputato dal sostenere i costi per la conservazione dei beni sequestrati. Questo principio ha importanti implicazioni pratiche per chiunque acceda a questo rito alternativo.

Il Caso: Un Ricorso Contro la Condanna alle Spese

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Taranto. L’imputato, a cui era stata applicata una pena di otto mesi di reclusione e 8.000 euro di multa per reati legati a prodotti petroliferi, era stato anche condannato al pagamento delle spese di conservazione e custodia dei beni sequestrati.

Tramite il suo difensore, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. Una presunta violazione di legge per carenza di motivazione sulla responsabilità penale.
2. L’illegittimità della condanna al pagamento delle spese di custodia, sostenendo che la stessa fosse stata affidata a titolo gratuito, come risulterebbe da un verbale della Guardia di Finanza.

La Disciplina delle Spese di Custodia Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo chiarimenti decisivi. In primo luogo, ha ricordato che, a seguito della riforma legislativa (L. 103/2017), i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento sono tassativi e limitati. Non è possibile contestare la valutazione del giudice sulla responsabilità penale o sulla congruità della pena, come tentato dall’imputato. I motivi ammessi riguardano, ad esempio, vizi della volontà, l’errata qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.

Il punto centrale della sentenza, tuttavia, riguarda le spese di custodia patteggiamento. La Corte ha smontato la tesi difensiva basandosi su una giurisprudenza ormai pacifica.

La Decisione della Corte: L’Obbligo di Pagamento Resta Valido

La Suprema Corte ha affermato che il secondo motivo di ricorso era sia inammissibile, per non aver allegato l’atto specifico (il verbale di custodia gratuita), sia manifestamente infondato nel merito.

Le Motivazioni

I giudici hanno spiegato che l’esenzione dal pagamento delle spese processuali, prevista dall’art. 445 del codice di procedura penale per le pene patteggiate non superiori a due anni, si riferisce esclusivamente alle spese processuali in senso stretto. Questa agevolazione non si estende, in alcun modo, alle spese per la custodia dei beni in sequestro.

Queste ultime, infatti, sono regolate da una normativa specifica (D.P.R. 115/2002), che stabilisce espressamente il diritto dell’Erario a recuperare tali costi dall’imputato condannato. Anche l’eventuale gratuità iniziale della custodia non fa venir meno questo obbligo. Se il custode (nel caso di specie, una grande società energetica) decidesse in un secondo momento di chiedere il rimborso delle spese allo Stato, l’Erario avrebbe il pieno diritto di rivalersi sull’imputato. In altre parole, la condanna al pagamento di tali spese è una conseguenza automatica prevista dalla legge.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: chi accede al patteggiamento deve essere consapevole che, nonostante i benefici processuali e l’eventuale esenzione dalle spese del procedimento, l’obbligo di pagare le spese di custodia dei beni sequestrati rimane fermo. La decisione della Cassazione serve da monito, chiarendo che i tentativi di impugnare la sentenza di patteggiamento su questo punto o su una presunta carenza di motivazione sono destinati all’insuccesso, con l’ulteriore conseguenza della condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende.

Con il patteggiamento si è esonerati dal pagamento delle spese di custodia dei beni sequestrati?
No. La sentenza chiarisce che l’esenzione dal pagamento delle spese processuali prevista per pene patteggiate non superiori a due anni non si estende alle spese di custodia dei beni sequestrati. Queste ultime devono sempre essere pagate dall’imputato condannato.

Per quali motivi si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per motivi tassativamente previsti dalla legge, come un vizio nella volontà dell’imputato, la mancanza di correlazione tra richiesta e sentenza, un’errata qualificazione giuridica del fatto, o l’illegalità della pena. Non è possibile contestare la valutazione sulla responsabilità penale o sulla congruità della pena.

Cosa succede se la custodia dei beni sequestrati era stata inizialmente affidata a titolo gratuito?
Anche se la custodia fosse stata inizialmente concordata come gratuita, l’imputato condannato è comunque tenuto al pagamento. La Corte ha spiegato che se il custode dovesse in futuro richiedere il pagamento allo Stato (Erario), quest’ultimo avrebbe il diritto di recuperare tali somme dall’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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