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Spendita di monete false: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la spendita di monete false. La Corte ha confermato la validità delle dichiarazioni spontanee rese alla polizia e ha ribadito che la consapevolezza della falsità del denaro al momento della ricezione, desumibile da indizi come il numero di banconote, è l’elemento chiave per distinguere il reato più grave (art. 455 c.p.) da quello meno grave (art. 457 c.p.).

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spendita di Monete False: Quando la Buona Fede non Basta

La circolazione di denaro contraffatto rappresenta una seria minaccia per l’economia e la fiducia pubblica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso di spendita di monete false, offrendo importanti chiarimenti sulla linea di demarcazione tra la condotta dolosa e quella di chi, in buona fede, si ritrova con banconote false. Analizziamo la decisione per comprendere i principi applicati dai giudici.

I Fatti del Caso: un Ricorso contro la Condanna

Un individuo, condannato in primo e secondo grado per concorso nel reato di spendita e introduzione di monete falsificate, ha presentato ricorso in Cassazione. La difesa ha sollevato tre principali motivi di doglianza:

1. Mancanza di motivazione: si lamentava che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente argomentato la sua posizione rispetto all’assoluzione di un coimputato.
2. Inutilizzabilità delle dichiarazioni: si contestava l’uso delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato alla polizia giudiziaria durante una perquisizione, in assenza di un difensore.
3. Errata qualificazione giuridica: si chiedeva di derubricare il reato dalla fattispecie più grave (art. 455 c.p.) a quella meno grave (art. 457 c.p.), sostenendo che non vi fosse prova della consapevolezza della falsità del denaro al momento della ricezione.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato punto per punto i motivi del ricorso, dichiarandolo infine inammissibile. Vediamo come ha argomentato la sua decisione.

Primo Motivo: La Censura Generica

La Corte ha ritenuto il primo motivo generico. Ha specificato che un giudice di legittimità non è tenuto a rispondere a ogni singola deduzione se la motivazione complessiva della sentenza è logicamente incompatibile con essa e ne implica il rigetto.

Secondo Motivo: La Spendita di Monete False e l’Utilizzabilità delle Dichiarazioni Spontanee

Sul secondo punto, la Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: le dichiarazioni rese liberamente dall’indagato alla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 350, comma 7, c.p.p., sono utilizzabili nel giudizio, anche se l’indagato si rifiuta di firmare il verbale. Spetta alla difesa fornire elementi concreti per dimostrare la non spontaneità di tali dichiarazioni, cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Inoltre, la Corte ha sottolineato che gli altri elementi circostanziali erano di per sé sufficienti a fondare la responsabilità dell’imputato.

Terzo Motivo: La Differenza tra Art. 455 e 457 del Codice Penale

Il nucleo della decisione riguarda il terzo motivo. La Corte ha ritenuto manifestamente infondato il tentativo di riqualificare il reato. Ha spiegato che l’elemento distintivo tra la spendita di monete false ex art. 455 c.p. (spendita e introduzione di monete falsificate) e l’ipotesi meno grave dell’art. 457 c.p. (spendita di monete falsificate ricevute in buona fede) risiede nella consapevolezza della falsità del denaro al momento della ricezione.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda sulla logica e sulla coerenza della sentenza impugnata. I giudici di merito avevano correttamente dedotto la malafede dell’imputato fin dal momento in cui era entrato in possesso delle banconote. Questa deduzione non era arbitraria, ma basata su elementi concreti come il numero di banconote contraffatte detenute e l’assenza di una spiegazione plausibile e lecita sulla loro provenienza. Citando la giurisprudenza precedente, la Corte ha confermato che la consapevolezza della falsità può essere desunta da tali elementi indiziari. La difesa non ha presentato argomentazioni in grado di scalfire la logicità di questo ragionamento, rendendo il ricorso infondato.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione riafferma principi fondamentali in materia di reati legati alla spendita di monete false. In primo luogo, le dichiarazioni spontanee all’autorità giudiziaria mantengono la loro validità processuale a meno che non se ne provi la natura coartata. In secondo luogo, e più importante, la distinzione tra la condotta di chi riceve denaro falso sapendolo tale e chi lo scopre solo in un secondo momento è cruciale. La prova della malafede iniziale può essere raggiunta anche per via indiziaria, e il possesso di una quantità anomala di denaro contraffatto, senza una giustificazione credibile, costituisce un forte indizio di colpevolezza per il reato più grave previsto dall’art. 455 del codice penale.

Le dichiarazioni spontanee rese alla polizia senza avvocato sono utilizzabili in un processo?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che le dichiarazioni rese liberamente alla polizia giudiziaria sono utilizzabili nel giudizio, anche se non sottoscritte, a meno che la difesa non fornisca elementi concreti per dimostrare che non erano spontanee.

Qual è la differenza fondamentale tra il reato previsto dall’art. 455 c.p. e quello dell’art. 457 c.p.?
La differenza risiede nella consapevolezza della falsità del denaro al momento della ricezione. Per l’art. 455 c.p., la persona sa che le monete sono false quando le riceve. Per l’art. 457 c.p., la persona le riceve in buona fede e solo dopo si accorge della falsità prima di spenderle.

Come può un giudice stabilire se una persona era consapevole della falsità delle banconote?
Il giudice può desumere la consapevolezza da elementi circostanziali (indizi), come il numero di banconote contraffatte possedute o la mancanza di una spiegazione logica e lecita sulla loro provenienza da parte dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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