Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19048 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19048 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
osservato che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la prova degli elementi costitutivi del reato e, di conseguenza, la qualificazione giuridica del fatto come rapina impropria, è privo di concreta specificità e tende a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, del credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, invero, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici, le doglianze difensive dell’appello, meramente riprodotte in questa sede (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3);
osservato che la censura inerente al mancato esercizio dei poteri di integrazione probatoria previsti dall’art. 441, comma 5 cod. proc. pen. è del tutto priva dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 co proc. pen. in quanto si prospettano deduzioni generiche, senza la puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati cong riferimenti alla motivazione dell’atto impugNOME e che, dunque, non si consente al giudice dell’impugnazione di individuare i rilevi mossi ed esercitare il proprio sindacato;
ritenuto che anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta la mancata esclusione della recidiva, è privo di specificità in quanto le censure difensive, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata, si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito (si veda pag. 4);
che, invero, che la mancanza di specificità dei motivi di ricorso deve essere apprezzata non solo per la loro genericità, come indeterminatezza, ma anche per l’apparenza degli stessi allorché omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
osservato che l’ulteriore motivo, con il quale si contesta il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen., non è consentito in sede di legittimità in quanto le statuizioni relative al bilanciamento tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora, sorrette da sufficiente motivazione, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931);
che, invero, la soluzione dell’equivalenza può ritenersi congruamente motivata laddove il giudice del merito si sia limitato a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto ovvero abbia fatto riferimento anche ad uno solo dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., come avvenuto nella specie (si veda pag. 4);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 marzo 2024.