Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4225 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4225 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PAOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 6 giugno 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 6 aprile 2023 con la quale è stata applicata ad NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di cui all’art. 74 d.P.R. 309 del 1990, per avere partecipato, con il ruolo di organizzatore e di coordinatore del lavoro dei vari spacciatori, ad un’associazione per delinquere finalizzata all’acquisto e alla rivendita di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, gestendo la piazza di spaccio di Paola (capo 200), per numerosi reati fine ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui alla contestazione cautelare, e per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso commessa il 10 e 11 febbraio 2020 (capo 318).
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione i difensori di NOME COGNOME.
2.1. Con il primo motivo si deducono la «violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 125, co. 3 e 292, co. 2, lett. c), …» e la mancanza assoluta di motivazione. L’ordinanza impugnata avrebbe solo recepito le argomentazioni del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro il quale, a sua volta, avrebbe aderito «meccanicamente» alle ipotesi accusatorie, senza un vero apporto critico ed argomentare sul ruolo dell’indagato.
L’ordinanza impugnata sarebbe priva, in particolare, dell’esposizione ed autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi.
Il Tribunale del riesame non avrebbe fornito una adeguata risposta ai quesiti posti; si sarebbe concretizzata la nullità assoluta dell’ordinanza per motivazione materialmente assente.
2.2. Con il secondo motivo si deducono la «violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 273 c.p.p. e 629 c.p….» e la mancanz contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento della prova.
Dagli atti investigativi non emergerebbe la responsabilità dell’indagato per il delitto contestato al capo 318; dopo aver riportato la motivazione dell’ordinanza impugnata, si sostiene che «il tutto appare alquanto nebuloso, per confermare l’applicazione …» della misura cautelare.
Non sarebbe stato fornito alcun riscontro alle dichiarazioni della persona offesa.
Sulla sussistenza della circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., si rileva che all’indagato non è contestato il reato ex art. 416-bis cod. pen. e che la
condotta tenuta dall’indagato sarebbe priva della forza intimidatrice riconducibile al metodo mafioso. COGNOME NOME non avrebbe fornito elementi chiari sulla condotta dell’indagato.
La vicenda, come ricostruita, sarebbe priva di quella offensività e degli elementi probatori richiesti dal legislatore per ritenere configurabile il reato e l circostanza aggravante contestata, come interpretata dalla giurisprudenza riportata nel ricorso.
2.3. Con il terzo motivo si deducono la «violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 273 c.p.p., art. 73 – 74 DPR 309/90.. e la mancanza, contraddittorietà e manifeste logicità della motivazione anche per travisamento della prova, con riferimento al capo di imputazione 200.
Dopo la parte in diritto sul reato associativo (pagine 7-9) si sostiene che il Giudice per le indagini preliminari non avrebbe fornito esaustiva motivazione sull’esistenza della struttura organizzativa e sulla consapevolezza dei suoi membri di essere tra i soggetti aggregati per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti. La valutazione dei ruoli assegnati ai singoli si fonderebbe sul contenuto delle intercettazioni telefoniche: ci si troverebbe in un caso di cd. «droga parlata».
Il «giudice della cattura» sarebbe giunto a conclusioni insufficientemente motivate sulle intercettazioni telefoniche.
Diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata, tutti i soggetti indagati del reato associativo si porrebbero sullo stesso piano e svolgerebbero tutti la medesima funzione: poiché gli indagati sarebbero dediti alla cessione al minuto, non vi sarebbero elementi per sostenere la ripartizione dei ruoli e, quindi, l’organizzazione necessaria per l’esistenza del reato associativo.
In assenza di riscontri esterni, le intercettazioni telefoniche non dimostrerebbero la divisione dei ruoli ritenuta dal Giudice per le indagini preliminari; sarebbe indimostrata la circostanza che il COGNOME sia il capo ed organizzatore del sodalizio. Sulla tenuta della contabilità, il «giudice della cautela» rimanderebbe integralmente alla richiesta cautelare omettendo di effettuare la propria personale e autonoma valutazione.
Dalla lettura delle conversazioni telefoniche non emergerebbe in alcun modo che le somme consegnate al COGNOME da altri indagati, ritenuti partecipi, costituiscano il ricavato delle attività di cessione piuttosto che il pagamento del singolo costo dell’acquisto della sostanza stupefacente. Il magistrato non farebbe riferimento a somme di denaro ricevute dal COGNOME per l’attività di spaccio realizzate in favore dell’organizzazione; in conclusione, il Giudice per le indagini preliminari avrebbe erroneamente ed immotivatamente ricondotto le condotte nell’ambito dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e non in quelle ex art. 110 cod. pen.
I riferimenti del Giudice per le indagini preliminari e del Tribunale del riesame alle intercettazioni relative alla posizione del COGNOME dimostrerebbero al massimo che gli altri indagati, fra cui il ricorrente, avrebbero dovuto restituire al COGNOME prezzo di acquisto della sostanza stupefacente da questi venduta e non già i proventi dell’attività di cessione.
Gli indagati del reato associativo non avrebbero operato secondo un’organizzazione che prevedeva turni ed orari di lavoro; non risulterebbe che si avvisavano dell’eventuale presenza di forze dell’ordine o facessero uso di mezzi di locomozione o comuni per lo svolgimento dell’attività illecita.
Tra gli indagati sarebbe mancato, quindi, ogni tipo di coordinamento rispetto alla cessione delle sostanze stupefacenti; non sussisterebbero neanche i mezzi a disposizione del gruppo per il perseguimento del fine comune.
Ai fini della sussistenza del reato associativo non avrebbe valore la circostanza valorizzata dal «giudice della cautela» della disponibilità delle sostanze stupefacenti perché non rilevante ai fini della distinzione con il concorso di persone nel reato.
Nessun contatto telefonico dell’indagato sarebbe stato registrato coi vertici dell’associazione. Il ricorrente avrebbe operato in maniera del tutto autonoma e fuori degli schemi del reato associativo.
Mancherebbero gli elementi per attribuire all’indagato i ruoli di organizzatore e di partecipe, secondo la giurisprudenza riportata nel ricorso; non sarebbero menzionate nell’ordinanza impugnata condotte che lo collocherebbero a monte del mercato degli stupefacenti.
Per quanto attiene alle singole contestazioni di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, (capi 74, 208,209,212,213,216, da 230 a 240, 242, da 244 a 252, da 310 a 316) «la difesa rimarca con forza quanto ampiamente argomentato in precedenza». La motivazione sulla colpevolezza dell’imputato avrebbe dovuto essere specifica con riferimento ai reati contestati e alla continuità giuridica esistente tra il concorso di persone nel reato ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ed il reato associativo.
Le intercettazioni telefoniche sarebbero carenti; non sarebbe stato effettuato nessun sequestro e non sarebbe dimostrato che le attività relative agli stupefacenti fossero funzionali all’associazione per delinquere. In molte delle contestazioni mancherebbe l’identità dell’acquirente e il tipo di sostanza stupefacente ceduta.
Dall’informativa dei Carabinieri di Paola (pagina 2681) risulterebbe escluso il ruolo apicale del ricorrente.
2.4. Con il quarto motivo si deducono la «violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 273 e 274 c.p.p. …» e la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; la motivazione
dell’ordinanza impugnata, in parte riportata, sarebbe apparente quanto agli elementi di sussistenza dell’attualità e concretezza del pericolo che giustifica l’adozione della misura cautelare; si sottolinea l’importanza dei principi di proporzionalità e adeguatezza delle misure.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente rilevato che l’art. 606 cod. proc. pen. descrive i casi in cui è possibile esperire il ricorso per cassazione, sicché i vizi sussistono non per la violazione di tal norma ma quando il provvedimento impugnato sia incorso in violazione di legge sostanziale o processuale o in uno dei vizi della motivazione.
1.1. I motivi di ricorso sono, poi / inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui deducono il vizio ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che concerne la violazione di legge sostanziale, con riferimento alle norme processuali.
1.2. Il vizio della motivazione è stato dedotto in modo promiscuo; si deduce il travisamento della prova, nel secondo e nel terzo motivo, senza neanche specificamente indicare quali sarebbero le prove travisate, con conseguente inammissibilità del motivo per genericità.
1.3. Il ricorso è anche inammissibile per la mancanza del requisito della specificità estrinseca perché, salvo in punti minimi, non si confronta con la motivazione della ordinanza impugnata.
1.3.1. I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettano della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato. La necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione deriva dal fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822): la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
1.3.2. Il primo motivo, con cui si deduce la mancanza di motivazione autonoma dell’ordinanza genetica, non si confronta con la motivazione dell’ordinanza che ha rigettato l’eccezione di nullità proposta per genericità.
Altrettanto generica è l’eccezione di nullità dell’ordinanza impugnata per mancanza di motivazione o per motivazione apparente posto che ci si limita a considerazioni di ordine generale senza mai analizzarne concretamente la motivazione.
1.4. Inammissibile per genericità è il secondo motivo sulla sussistenza della gravità indiziaria del reato di estorsione posto che si limita a contestare l’insussistenza di riscontri, in aperto contrasto con i principi della giurisprudenza in tema di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa.
1.5. Inammissibile per la mancanza del requisito della specificità estrinseca è il secondo motivo relativo alla circostanza aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen.: il ricorso non si confronta in alcun modo con la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha dedicato 2 pagine per argomentarne la sussistenza.
1.6. Il terzo motivo, relativo al reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 contestato al capo 200, è inammissibile perché privo del requisito della specificità estrinseca: il motivo è la mera riproposizione della memoria depositata al Tribunale del riesame, tanto che nel ricorso si fa continuo riferimento al «Giudice per le indagini preliminari» o al «giudice della cautela», al «magistrato» (a singolare); si tratta della mera riproposizione della lettura alternativa della difesa delle fonti di prova senza un concreto esame delle pagine dedicate alla sussistenza dell’associazione per delinquere ed alla condotta scritta all’indagato.
1.7. Le contestazioni relative alla sussistenza dei singoli reati fine, pure specificamente analizzati dal Tribunale del riesame, si riducono a poche generiche righe, consistenti nel «copia e incolla» dei motivi di riesame, senza che in alcun modo si indichi perché sarebbero sussistenti i vizi di violazione di legge e della motivazione dedotti.
1.8. Anche il quarto motivo è inammissibile per il difetto del requisito della specificità estrinseca poiché il motivo non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha fatto esplicito riferimento alla presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. ed ha indicato i concreti elementi di sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/11/2023.