Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5339 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5339 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Senegal il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza dell’11/07/2023 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le richieste del Pubblico ministero, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il cittadino senegalese NOME, tramite il proprio difensore, impugna l’ordinanza della Corte di appello di Torino dello scorso 11 luglio, che ne ha dichiarato inammissibile l’appello per la genericità dei motivi
Con quel gravame, egli aveva lamentato l’eccessività della pena, anche per l’avvenuto computo della recidiva, significando la modesta gravità del fatto, l’ammissione dell’addebito ed il carattere non recente dei suoi precedenti.
L’ordinanza ha osservato che: a) l’assunto della modesta gravità del fatto era del tutto immotivato ed elusivo rispetto alle diverse valutazioni del primo giudice; b) il comportamento processuale era stato valutato, incidendo positivamente sul
giudizio di bilanciamento con la recidiva; c) la natura non recente dei precedenti è puramente assertiva ed elusiva del confronto con la diversa affermazione del Tribunale.
Il ricorso contesta le valutazioni della Corte d’appello, ritenendo perciò emessa in violazione di legge la relativa ordinanza.
Sostiene, per un verso, che il motivo d’appello fosse specifico, avendo posto l’attenzione, a sostegno, su aspetti puntuali (modalità del fatto, dato quantitativo della sostanza, comportamento processuale dell’imputato); e, per l’altro, che la Corte d’appello abbia comunque esaminato il merito di tale doglianza, essendosi espressa sulla congruità della pena.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore AVV_NOTAIO, concludendo per il rigetto del ricorso.
Ritiene il Collegio che il ricorso meriti di essere accolto.
La Corte di appello ha puntualmente individuato i princìpi che regolano la materia, ma non ha fatto corretta applicazione di quello per cui il necessario grado di specificità del gravame debba essere apprezzato al lume di quello della sentenza appellata.
Quest’ultima, infatti, sul punto controverso, si era limitata ad osservare che la recidiva era «correttamente contestata alla luce del certificato penale (si tratta di quattro condanne definitive per fatti analoghi e recenti)», ed a stabilire la pena «valutati tutti i criteri di cui all’art. 133 (in particolare il quantitativo di detenuta e l’intensità del dolo)».
Si tratta di una motivazione anodina, al limite del tautologico se non addirittura dell’apparente, alla quale l’appellante ha contrapposto dissenzienti valutazioni di merito non del tutto assertive e, comunque, non meno motivate di quelle del primo giudice.
Egli ha giustificato, infatti, la “modestia del fatto” in ragione del quantitativo di sostanza detenuta – che obiettivamente non può dirsi elevato: dieci grammi lordi di “crack” suddivisi in sedici frammenti – nonché dell’assenza di qualsiasi accorgimento organizzativo nello svolgimento dell’attività illecita.
Quanto, poi, alla recidiva, per un verso, ha invocato un differente giudizio di bilanciamento con le attenuanti generiche, fondando tale sua prospettazione su una più favorevole valutazione di un dato – quello del proprio comportamento processuale corretto – apprezzato dalla stessa sentenza appellata per riconoscergli quelle attenuanti; e, per l’altro, ha correttamente rilevato il deficit di motivazione sulle ragioni per le quali il reato dovesse reputarsi espressivo di una
sua maggiore pericolosità, conformemente all’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690).
Si tratta, al di là della loro fondatezza o meno, di rilievi specifici, poiché relativi a precisi punti della decisione e sorretti da argomenti che non trovano già risposta nella sentenza di primo grado, non spiegandosi con questa, ad esempio, perché dieci grammi lordi di “crack” debbano comunque considerarsi un quantitativo significativo oppure da dove si deduca l’intensità del dolo o, ancora, perché si debba tenere conto della recidiva: tutti temi sui quali, dunque, legittimamente l’imputato ha chiesto alla Corte di appello di pronunciarsi.
L’ordinanza impugnata, dunque, dev’essere annullata ed il processo dev’essere rimesso al giudice di merito per il prosieguo.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per il giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024.