Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 34780 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 34780 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 novembre 2023 il Tribunale di Reggio Emilia ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 56 e 624 bis cod. pen. commesso a Castellarano il 22 agosto 2018 e lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione ed C 400,00 di multa con applicazione delle attenuanti generiche valutate equivalenti alla contestata recidiva (reiterata specifica ed infraquinquennale). Contro questa decisione ha interposto appello il difensore di fiducia dell’imputato, munito di apposito mandato ex art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen. GLYPH contestando: in primo luogo, l’affermazione della penale responsabilità, fondata su una individuazione fotografica di dubbia affidabilità perché compiuta da una persona offesa che aveva potuto vedere l’autore del reato per pochi concitati secondi all’interno di un garage buio avendo, quale unica fonte di luce, la torcia che questi aveva in mano; in secondo luogo (e in subordine), il trattamento sanzionatorio con particolare riguardo alla decisione di applicare la recidiva, operata dal giudice senza tenere conto che le precedenti condanne si riferiscono a «fatti risalenti nel tempo» e «da oltre tre anni» l’imputato non ricade nell’illecito.
Con ordinanza in data 26 aprile 2024 la Corte di appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello ai sensi degli artt. 591, comma 1, lett. c) e 581, comma 1, lett. d) e comma 1 bis, cod. proc. pen.
2. Il difensore dell’imputato ha proposto rituale ricorso contro l’ordinanza della Corte di appello. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 581 cod. proc. pen. rilevando che i motivi di appello sollecitavano una rivisitazione della decisione di primo grado alla luce di circostanze di fatto, puntualmente indicate, idonee a rendere inattendibile l’individuazione fotografica operata dalla persona offesa (ora notturna, buio, minima durata del confronto visivo con l’autore del furto, concitazione degli eventi). Il difensore sottolinea poi un’ulteriore circostanza posta in luce nell’atto d’appello rappresentata dal fatto che la, pur sommaria, ispezione dell’auto di proprietà dell’imputato, compiuta poche ore dopo i fatti, non aveva portato al rinvenimento della torcia utilizzata dall’autore del furto e si duole che l Corte di appello abbia liquidato questo argomento sostenendo che non fosse stata effettuata alcuna ispezione dell’autovettura.
Secondo la difesa, analoga violazione di legge sarebbe rinvenibile con riferimento al secondo motivo di appello, nel quale erano state specificate le ragioni che avrebbero giustificato la disapplicazione della recidiva facendo riferimento all’epoca cui i precedenti penali si riferiscono.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Secondo il PG «la Corte di Appello ha correttamente qualificato come inammissibile l’appello proposto per la mancata enunciazione di motivi specifici a sostegno della richiesta», difettava infatti nei motivi proposti il requisito della «specificità “estrinseca”», che può riteners sussistente solo quanto i motivi siano idonei a «contrastare gli argomenti del provvedimento impugnato e a giustificare le ragioni che avrebbero imposto una diversa decisione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
2. Come noto, l’art. 581 cod. proc. pen. è stato modificato una prima volta con la legge 23 giugno 2017, n. 103, tenendo presente il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, secondo la quale «L’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatt di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato». Questa impostazione è stata ribadita – e resa ancor più chiara – col d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 che ha introdotto nell’art. 581 il comma 1 bis, in base al quale «L’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedime impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione».
Riprendendo e codificando i principi affermati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, il legislatore non sembra essere giunto ad affermare che il sindacato del giudice di appello sulla ammissibilità dei motivi proposti possa estendersi, come accade nel giudizio di legittimità, alla valutazione della manifesta infondatezza dei motivi stessi: possibilità esplicitamente esclusa dalla sentenza COGNOME (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, cit., Rv. 268823). L’appello ha, infatti, natura di impugnazione “a critica libera”, non essendo tipizzate dal legislatore le categorie dei motivi di censura che possono essere formulati, ed «attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti» (art. 597, comma 1, cod.
proc. pen.). Invece, il ricorso per Cassazione costituisce un mezzo di impugnazione a critica vincolata (essendo inammissibile se proposto per motivi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ai sensi dell’art. 606, commi 1 e 3, cod. proc. pen.), che, regola, «attribuisce alla Corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti» (art 609, comma 1, cod. proc. pen.). Nondimeno, con l’introduzione dell’art. 581, comma 1 bis, cod. proc. pen. il legislatore ha inteso rafforzare i poteri del giudice d’appello nella fase d delibazione dell’impugnazione, mediante l’accertamento del requisito della specificità estrinseca dei motivi, con l’obiettivo (reso esplicito nella Relazion illustrativa, pubblicata nel Supplemento straordinario n. 5 alla Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 245 del 19 ottobre 2022 – pag. 324) di «innalzare il livello qualitativo dell’atto di impugnazione e del relativo giudizio in chiave di efficienza». Il legislatore ha voluto affermare dunque, più chiaramente di quanto non avesse fatto in precedenza, che l’atto di appello può essere ritenuto ammissibile se i motivi proposti, oltre a possedere il requisito della «specificità intrinseca» per non essere fondati su considerazioni generiche, astratte o evidentemente non pertinenti al caso concreto, rispondono a requisiti di «specificità estrinseca» efficacemente definita dalla citata sentenza delle Sezioni Unite (pag. 14 della motivazione) come «la esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata». L’espressa previsione della necessità di enunciare «in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazion alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione» rende evidente che i motivi di appello non sono diretti all’introduzione di un nuovo giudizio, del tutto sganciato da quello di primo grado, ma, invece, diretti ad attivare uno strumento di controllo, «su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata» (così, testualmente, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 cit., pag. 16 della motivazione). In altri termini: l’appello deve contenere una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e deve trarre da quella decisione gli spazi argomentativi di fatto e di diritto utili condurre ad una decisione diversa. Proprio per questo, i motivi di appello «devono contenere, seppure nelle linee essenziali, ragioni idonee a confutare e sovvertire, sul piano strutturale e logico, le valutazioni del primo giudice» (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 cit., pag. 17 della motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Applicando questi principi al caso in esame si deve osservare che il primo motivo dell’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, relativo all’affermazione della responsabilità penale, è stato valutato inammissibile per difetto di specificità estrinseca.
Con riferimento a questo motivo, si deve dare atto al ricorrente che, pur avendo nuovamente proposto argomenti difensivi già sviluppati nel giudizio di primo grado, l’appello contesta con argomentazioni specifiche e pertinenti l’attendibilità della individuazione fotografica, corroborando tale contestazione col rilievo che nell’auto dell’imputato, pur sommariamente ispezionata, non fu rinvenuta una torcia elettrica e, secondo la persona offesa, l’autore del reato ne aveva una in mano. Nel richiedere una diversa decisione, tuttavia, l’appellante si è limitato a sostenere l’inattendibilità dell’individuazione fotografica e non ha preso in considerazione, né contestato, altri elementi posti a fondamento della decisione. In particolare, nell’atto di appello è stata completamente ignorata la circostanza che la persona offesa, dopo aver visto in volto l’autore del reato (sia pure per pochi istanti e in un luogo poco illuminato), lo inseguì e lo vide salire su un’auto della quale rilevò il colore, il modello e il numero di targa. L’appellante non contesta che quell’auto fosse intestata a NOME e, poco dopo i fatti, fosse parcheggiata davanti alla sua abitazione; non spiega, inoltre, perché questo grave indizio sarebbe inidoneo a corroborare una individuazione fotografica eseguita in termini di certezza, sia pure dopo un breve e concitato confronto visivo.
Nel dichiarare l’inammissibilità del primo motivo di appello l’ordinanza impugnata ha sottolineato che questo motivo non aggredisce l’intero compendio probatorio posto a fondamento della affermazione della penale responsabilità, ma soltanto un indizio che è stato valutato dall’appellante isolatamente, senza tenere conto di altri, convergenti, dati indiziari. Il ricorrente non si confronta con quest motivazione limitandosi a ribadire che il riconoscimento fotografico sarebbe poco attendibile, deduce, quindi, una violazione dell’art. 581 cod. proc. pen. che non può ritenersi sussistente. L’appello dichiarato inammissibile, infatti, criticava solo un aspetto della decisione impugnata e non enunciava ragioni «idonee a confutare e sovvertire, sul piano strutturale e logico, le valutazioni del primo giudice».
3. Per quanto riguarda il secondo motivo di appello, relativo alla applicazione della recidiva, basta osservare che il giudice di primo grado ha ritenuto tale circostanza aggravante soggettiva espressione di una maggiore capacità a delinquere in ragione della qualità dei precedenti – l’ultimo dei quali risalente al 2017 (si procede per un fatto commesso il 22 agosto 2018) – e della persistente inclinazione a violare precetti penali, che è stata desunta da sei condanne per reati contro il patrimonio riportate da COGNOME dopo la commissione del delitto per il quale si procede. A fronte di tale motivazione, l’appellante si è limitato a sostenere, in termini del tutto generici, che le precedenti condanne sarebbero risalenti nel tempo. Nessuna violazione dell’art. 581 cod. proc. pen. può dunque essere ritenuta per essere stato valutato inammissibile un motivo di appello che appare aspecifico
e privo di ogni confronto critico col contenuto del provvedimento impugnato, né emergono dai motivi di ricorso argomenti idonei a contrastare tali conclusioni.
Per quanto esposto, il ricorso è inammissibile. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2024