Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14738 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14738 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/9/2023 della Corte d’appello di Messina
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 settembre 2023 la Corte d’appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 10 febbraio 2022 del Tribunale di Patti, con la quale lo stesso era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 e condannato alla pena di quattro mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa, ritenendo tale atto di impugnazione carente della necessaria specificità, essendo privo della indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento del gravame, in quanto fondato su affermazioni apodittiche e prive di considerazione di quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata, nella quale erano stati individuati gli elementi posti a fondamento della affermazione di responsabilità. In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto insufficiente, a fini di critica, la mera sottolineatura, nell’atto d’appello, della nullità della perquisizione; del mancato superamento della presunzione di destinazione all’uso personale; della erroneità della valutazione della testimonianza del padre del ricorrente; della insufficiente considerazione della certificazione del S.E.R.T.; della erroneità della mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90.
Avverso tale ordinanza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale, dato atto dello svolgimento del giudizio e del contenuto dei motivi d’appello, trascritti nel corpo del ricorso, ha denunciato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e un vizio della motivazione, che sarebbe carente, contraddittoria e apparente, nella parte in cui è stata ritenuta insufficiente l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti fondamento della impugnazione, con la conseguente valutazione di inammissibilità della stessa per difetto di specificità.
Ha esposto che con il primo motivo d’appello era stata dedotta la violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., a causa del mancato avvertimento del diritto all’assistenza del difensore, quanto meno con riferimento alla perquisizione domiciliare, con la conseguente nullità della stessa; con il secondo motivo d’impugnazione era stato eccepito il mancato superamento della presunzione di destinazione della sostanza stupefacente al consumo personale, tenendo conto delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’udienza di convalida del suo arresto, di quanto dichiarato dal padre del ricorrente circa le sue abitudini e la sua vita, della certificazione del S.E.R.T. relativa all’imputato, della mancanza di una perizia tossicologica sulla sostanza stupefacente sequestrata.
Tanto premesso, ha affermato l’erroneità della dichiarazione di inammissibilità dell’atto d’appello, che, pur sinteticamente, conteneva l’indicazione delle specifiche ragioni di censura alla sentenza impugnata, e ha quindi concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando il rigetto del ricorso, sottolineando l’assenza nell’atto d’appello di rilievi critici rispetto alle compiute ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione impugnata e, in particolare, la presenza in tale atto di gravame della mera enunciazione di temi (a proposito della legittimità della perquisizione, dell’uso personale dello stupefacente, della valutazione delle prove) che non tengono conto delle specifiche risposte fornite su di essi dal primo giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Giova premettere, per poter adeguatamente valutare le censure del ricorrente, che la sentenza del 10 febbraio 2022 del Tribunale di Patti, di condanna del ricorrente per il reato di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 (ascrittogli per il trasporto e la detenzione illecita di 100 grammi di hashish, di 2,3 grammi di eroina e di 1 grammo di marijuana), si fonda sul sequestro nei confronti dell’imputato di 100 grammi di hashish (riposti all’interno di una sciarpa che l’imputato teneva in mano), di un involucro con 2,3 grammi di eroina e di un altro con un grammo di marijuana (posti all’interno delle tasche della giacca dell’imputato), tutti risultati positivi al narcotest; nella sentenza di dà atto c prima di essere sottoposto al controllo l’imputato era stato informato della facoltà di farsi assistere da un difensore, alla quale aveva rinunciato, e che analogo avviso era stato dato all’imputato, che pure vi aveva rinunciato, prima dell’esecuzione della perquisizione nella sua abitazione (che aveva condotto al rinvenimento di un bilancino di precisione e di un coltello intriso di hashish): sulla base di queste emergenze il Tribunale ha, tra l’altro, disatteso l’eccezione di nullità della perquisizione domiciliare, sottolineando quanto emergente dai verbali di perquisizione e quanto dichiarato in proposito dagli operanti ed evidenziando anche la tardività, oltre che l’infondatezza, di tale eccezione; la destinazione alla cessione di dette sostanze è stata desunta dal quantitativo di hashish detenuto, dalla disponibilità di sostanze di tipo diverso e dal possesso di strumenti per la suddivisione in dosi, sottolineando anche la genericità delle dichiarazioni del padre dell’imputato (circa la sua condizione di assuntore di sostanze stupefacenti) e l’irrilevanza del certificato del S.E.R.T. (successivo di due anni all’arresto).
Nell’atto d’appello, dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Messina mediante l’ordinanza impugnata, l’imputato, dopo aver sinteticamente riassunto la contestazione, lo svolgimento del giudizio e la decisione, ha ribadito la nullità della perquisizione domiciliare (sulla base del rilievo che la relativa eccezione potrebbe essere sollevata fino al momento della decisione); il mancato superamento della presunzione di destinazione all’uso personale (affermando di essere stato inconsapevole del modesto quantitativo di eroina rinvenuto, aggiunto a sua insaputa dal cedente dell’hashish); l’erroneità della valutazione delle dichiarazioni del padre dell’imputato (che avrebbe offerto dati significativi); la rilevanza della certificazione del S.E.R.T. (essendo erronea la considerazione cronologica compiuta dal Tribunale); la mancanza di perizia tossicologica.
Risulta, dunque, evidente la mancanza di specificità, sia intrinseca, sia estrinseca, dell’atto di impugnazione dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Messina mediante l’ordinanza impugnata.
In tale atto difetta, anzitutto, l’indicazione degli elementi di fatto l’illustrazione delle ragioni di diritto poste a fondamento delle censure, ossia la necessaria specificità intrinseca dell’atto di impugnazione, in quanto esso consiste nella mera asserzione della tempestività della eccezione di nullità della perquisizione domiciliare, senza alcun riferimento né alla vicenda, né alla fondatezza di detta eccezione; nella affermazione della destinazione all’uso personale di tutte le sostanze stupefacenti, illustrata solo con riferimento all’eroina; nella affermazione della rilevanza dei dati forniti dalla testimonianza del padre del ricorrente, di cui non è stato specificato il contenuto; nella asserzione della rilevanza della certificazione del S.E.R.T., senza alcuna considerazione circa l’epoca di tale certificazione; nella affermazione della rilevanza della mancanza di analisi tossicologiche: si tratta, chiaramente, di mere asserzioni, disgiunte dalla necessaria considerazione della vicenda e degli aspetti di fatto relativi a ciascuna di esse, e prive della illustrazione della loro rilevanza nella ricostruzione della vicenda e nella qualificazione della condotta ascritta all’imputato.
Dette censure sono, inoltre, prive di autentica considerazione, tantomeno critica, di quanto esposto nella motivazione della sentenza del Tribunale di Patti, ossia della cosiddetta specificità estrinseca, sia a proposito della infondatezza (oltre che della tardività) della eccezione di nullità delle perquisizioni; sia riguardo alla destinazione allo spaccio delle sostanze detenute dal ricorrente (fondata sulla pluralità delle stesse, sul dato ponderale dell’hashish e sulla disponibilità di strumenti da taglio); sia quanto alla irrilevanza delle dichiarazioni del padre di quest’ultimo (del tutto generiche); sia a proposito della irrilevanza della certificazione del S.E.R.T. (in quanto successiva di oltre due anni ai fatti); sia in ordine alla sufficienza del narcotest.
Del tutto correttamente, dunque, la Corte d’appello ha dichiarato l’inammissibilità della impugnazione dell’imputato, a causa della mancanza nella stessa della necessaria specificità, sia intrinseca sia estrinseca, stante la sua inidoneità a costituire efficace mezzo di critica alle ragioni della decisione impugnata, con la conseguente manifesta infondatezza dei, peraltro nuovamente generici, rilievi sollevati dall’imputato mediante il ricorso in esame.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza delle, peraltro generiche, censure alle quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, COGNOME, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, COGNOME Scalora, Rv. 261616; nonché Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 27/3/2024