Speciale Tenuità e Stupefacenti: La Cassazione Chiarisce i Limiti
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale degli stupefacenti: la distinzione tra il reato di ‘lieve entità’ e l’applicazione della circostanza attenuante della speciale tenuità del lucro. Il caso riguarda un individuo condannato per detenzione a fini di spaccio di una piccola quantità di cocaina, che ha tentato di ottenere un’ulteriore riduzione della pena invocando l’attenuante comune. La decisione della Suprema Corte offre importanti spunti di riflessione sull’onere della prova e sulla non automaticità di certi benefici di legge.
I Fatti del Processo
Il procedimento nasce dalla condanna di un soggetto per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, ovvero il cosiddetto spaccio di lieve entità. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di 1,69 grammi di cocaina, suddivisi in tre involucri pronti per la cessione. La difesa ha presentato ricorso per cassazione, non contestando la qualificazione del fatto come ‘lieve’, ma lamentando la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, del codice penale, relativa alla speciale tenuità del profitto perseguito.
La Distinzione tra Lieve Entità e Speciale Tenuità
Il cuore della questione giuridica risiede nella differenza tra due concetti che, sebbene simili, operano su piani diversi.
– Il fatto di lieve entità (art. 73, c. 5) è una fattispecie autonoma di reato. La sua configurabilità dipende da una valutazione complessiva di mezzi, modalità, quantità e qualità della sostanza, che devono indicare una minima offensività della condotta.
– L’attenuante della speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.) è una circostanza attenuante comune, applicabile a diversi reati, che presuppone la dimostrazione che il lucro conseguito (o che si intendeva conseguire) e il danno cagionato siano di entità particolarmente esigua.
La difesa sosteneva che, essendo il fatto già qualificato come ‘lieve’, dovesse discenderne quasi automaticamente il riconoscimento di un lucro di speciale tenuità. La Corte di Cassazione ha rigettato questa impostazione.
La Decisione della Corte di Cassazione e le Motivazioni
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa come ‘mere doglianze in punto di fatto’, ovvero critiche alla valutazione del merito compiuta dal giudice precedente, non ammissibili in sede di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata completa, logica e priva di vizi.
La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il riconoscimento del reato di lieve entità non comporta in automatico l’applicazione dell’attenuante della speciale tenuità. Per ottenere quest’ultima, è necessario che l’imputato fornisca una prova specifica e concreta non solo della minima gravità del fatto (già valutata per il reato ex art. 73 c. 5), ma anche della particolare esiguità del profitto e del danno. Nel caso di specie, il ricorrente si era limitato ad asserire tale presupposto, senza provarlo. Anzi, le modalità di confezionamento della sostanza, tipiche dello spaccio, deponevano a favore di un fine di lucro ordinario e non ‘specialmente tenue’.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso. Per gli operatori del diritto e per gli imputati, la lezione è chiara: non basta ottenere la qualificazione di un fatto di spaccio come ‘lieve’ per sperare in ulteriori sconti di pena legati alla speciale tenuità. È indispensabile un onere probatorio aggiuntivo. La difesa deve essere in grado di dimostrare, con elementi concreti, che il guadagno perseguito era talmente irrisorio da superare la soglia della ‘normalità’ per quel tipo di reato. In assenza di tale prova, i giudici riterranno, come in questo caso, che la motivazione che nega l’attenuante sia corretta e non sindacabile in Cassazione.
La qualificazione di un reato di spaccio come ‘fatto di lieve entità’ comporta automaticamente l’applicazione dell’attenuante della ‘speciale tenuità’ del lucro?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non vi è alcun automatismo. Il riconoscimento del reato di lieve entità non implica di per sé che il lucro perseguito fosse di speciale tenuità, essendo quest’ultima una circostanza attenuante distinta che necessita di una prova specifica.
Su chi ricade l’onere di provare i presupposti per l’applicazione dell’attenuante della speciale tenuità?
L’onere della prova ricade sull’imputato. Secondo la Corte, i presupposti per l’applicazione dell’attenuante, ovvero la speciale tenuità del lucro e della gravità del danno, devono essere non solo asseriti, ma concretamente provati dal ricorrente.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati qualificati come ‘mere doglianze in punto di fatto’, ossia critiche alla valutazione delle prove già effettuata dalla Corte d’Appello. Inoltre, la motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta completa, logica e giuridicamente corretta, senza vizi che potessero essere esaminati in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23331 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23331 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/06/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di NOME e letta la memoria depositata dal difensore dell’imputato; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso avverso la condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. m. 309 del 1990 (in relazione &la detenzione a fine di spaccio di grammi 1,69 di cocaina, suddivisa in tre involucri) non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto ed incentrati sulla denuncia del vizio di omessa motivazione che la lettura del provvedimento impugnato rivela essere completa e logicamente ineccepibile e dalla quale si evince l’insussistenza dei dedotti vizi di motivazione. Invero, la Corte territoriale ha, in modo non illogico, ritenuto a pag. 4 la insussistenza della invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., in quanto “non è possibile sostenere che con la detenzione della sostanza – a ovvio fine di spaccio come provano le circostanze dell’arresto e le modalità di confezionamento dello stupefacente – l’appellante avesse di mira un lucro di speciale tenuità”. Trattasi di motivazione non sindacabile in sede di legittimità atteso che in tema di stupefacenti, alla qualificazione giuridica del fatto in termini di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non consegue automaticamente il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., essendo necessario accertare, a tal fine, che risultino di speciale tenuità sia l’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, sia la gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta criminosa (così, Sez. n. 13659 del 16/02/2024, NOME, Rv. 286097 – 01); presupposti, questi, solo assenti, ma non provati, dal ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
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