Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2411 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COSENZA il 03/03/1988 avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di L’Aquila ha accolto parzialmente il reclamo proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del GLYPH Magistrato di sorveglianza di L’Aquila nella parte in cui era respinta l’istanza ex art. 35 ter ord. pen., disponendo la riduzione di pena per ulteriori giorni 1 con riferimenti al periodo di detenzione 07/09/2016-18/09/2016 trascorso presso l’istituto di pena di Cosenza, ed ha respinto nel resto.
A ragione, il Tribunale osservava che, per quanto attinente al periodo di carcerazione presso l’istituto di Catanzaro, la detenzione non poteva ritenersi inumana e degradante atteso che il detenuto era stato allocato in celle di mq 8,90 e che, in presenza di altro ristretto, lo spazio pro-capite è stato di mq. 3,37. Per quanto attinente ai periodi di carcerazione presso gli istituti di Termo e L’Aquila, le complessive condizioni detentive, anche alla luce dei principi sanciti dalla più recente giurisprudenza di legittimità e europea, non si erano svolte in violazione dell’art.3 CEDU.
Avverso la sopra indicata ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con un unico ed articolato motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 35-ter Ord. pen., 3 CEDU, e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Con riferimento all’istituto di Catanzaro, vi è stata detenzione inumana dal momento che Sottile è stato allocato in cella collettiva ove, tenuto conto degli arredi, lo spazio vitale pro capite era inferiore ai 3 mq.
Quanto ai periodi di detenzione a Teramo e L’Aquila, i Giudici non hanno tenuto in debita considerazione il fatto che Sottile si trovasse in una cella priva di acqua calda, condizione che delinea una situazione non conforme all’art. 3 CEDU; inoltre, i Giudici hanno omesso di provvedere, o di motivare il diniego, in ordine alla richiesta di integrazione istruttoria relativamente alla presenza della porta e al funzionamento dell’impianto di areazione nel locale bagno.
Il Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché, oltre a prospettare deduzioni generiche e prive di confronto con le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, si
risolve nella pedissequa riproduzione dei profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di merito sulla base della corretta lettura dei dati di fatto e della corretta applicazione dell’art. 35-ter ord. pen. Sviluppa, inoltre, argomenti privi di concreta utilità ai fini della decisione sicché, sotto questo profilo, è anche manifestamente infondato.
Va premesso che avverso le ordinanze del Tribunale di sorveglianza in materia di rimedi risarcitori per violazione dell’art. 3 Cedu, il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge (applicandosi la disciplina del reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35 bis ord. pen., tra cui il comma 4-bis di detto articolo).
Il provvedimento impugnato muove dall’insegnamento delle Sezioni Unite, di cui alla sentenza n. 6551 del 24/09/2020 – dep. 2021, ricorrente Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Rv. 280433 – 02, secondo cui in tema di rimedi risarcitori nei confronti di soggetti detenuti o internati, previsti dall’art. 35-ter ord. pen, i fattori compensativi, costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se congiuntamente ricorrenti, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell’art. 3 della CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati, mentre, nel caso di disponibilità di uno spazio individuale compreso fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione.
2. Ciò premesso, il ricorso si appalesa generico ed aspecifico; esso non si confronta adeguatamente con la motivazione del provvedimento impugnato, che dava per assodateisia l’assenza di acqua calda nella cella di detenzione negli istituti penitenziari di Teramo e L’Aquila, sia l’assenza di porta del bagno, e di sistema di areazione a L’Aquila, di talchè risultano nella loro evidente inconsistenza le doglianze inerenti il rigetto, da parte del Tribunale di sorveglianza, delle reiterate richieste di integrazione istruttoria proprio su detti punti.
Con riferimento all’istituto penitenziario di Teramo, evidenziava inoltre il Tribunale, facendo buon governo dei principi già sanciti da questa Corte nel suo massimo consesso, sopra richiamati, come la sola mancanza di acqua calda (in assenza di ulteriori doglianze) non potesse supportare la richiesta ex art. 35 ter ord pen.; con riferimento poi al periodo di detenzione subito dal Sottile presso il carcere di L’Aquila, si osservava come il detenuto fosse allocato, da solo, in una cella di mq. 9,339, con servizi igienici fruibili in via esclusiva, dotata di illuminazione naturale e di una ampia finestra apribile, e che quotidianamente avesse l’accesso al locale docce munito di acqua calda.
Quanto al periodo trascorso nel carcere di Catanzaro, il ricorso è meramente assertivo nell’affermare, senza alcun riferimento a documentazione a supporto, che lo spazio vitale pro capite fosse inferiore ai 3 mq., a fronte della precisazione contenuta nel provvedimento impugnato per cui «le celle in cui è stata allocato sono sempre state di 8,90 mq e che, in presenza di altro ristretto, lo spazio pro capite è stato di 3,37 mq».
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, e il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/10/2024