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Spazio vitale in cella: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto che lamentava la violazione dello spazio vitale in cella in due istituti penitenziari. Per il primo istituto, pur con uno spazio tra 3 e 4 mq, i giudici hanno ritenuto sufficienti i fattori compensativi. Per il secondo, hanno qualificato come ‘sporadica’ la detenzione con tre persone in una cella, ritenendo legittime le condizioni detentive complessive.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spazio Vitale in Cella: Quando i Fattori Compensativi Fanno la Differenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4948 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per la dignità dei detenuti: lo spazio vitale in cella. Questa decisione chiarisce i criteri per valutare quando le condizioni detentive possano considerarsi inumane o degradanti, sottolineando l’importanza dei cosiddetti ‘fattori compensativi’ e del concetto di ‘sporadicità’ del sovraffollamento.

I fatti del caso

La vicenda processuale nasce dal ricorso di un detenuto che lamentava condizioni di detenzione lesive della sua dignità, a causa dell’insufficiente spazio personale, in due diversi istituti penitenziari, Oristano e Taranto. Inizialmente, il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto le sue richieste, ma la Corte di Cassazione, con una precedente sentenza, aveva annullato tale decisione per carenza di motivazione, rinviando gli atti per un nuovo esame.

Il Tribunale di Sorveglianza, in sede di rinvio, aveva nuovamente respinto il reclamo del detenuto. Secondo il Tribunale, nel carcere di Oristano lo spazio pro capite era di 3,45 mq, quindi superiore alla soglia critica di 3 mq, e la detenzione era mitigata da adeguati fattori compensativi (bagno separato, acqua calda, accesso ad attività). Per il periodo trascorso a Taranto, il Tribunale aveva evidenziato che la convivenza con altre due persone, che riduceva drasticamente lo spazio, era stata solo per periodi brevi e ‘sporadici’.

Il detenuto ha quindi proposto un nuovo ricorso in Cassazione, contestando il calcolo dello spazio disponibile e la valutazione dei fattori compensativi.

La decisione della Corte di Cassazione sullo spazio vitale in cella

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La sentenza analizza separatamente le doglianze relative ai due istituti, fornendo importanti principi di diritto.

L’analisi per il primo istituto: calcolo dello spazio e privacy

Riguardo al primo istituto, la Cassazione ha ritenuto infondate le critiche del ricorrente sul calcolo dello spazio. I giudici hanno specificato che, anche accettando i calcoli della difesa, lo spazio pro capite sarebbe comunque risultato compreso tra 3 e 4 metri quadrati. In questa fascia, secondo la giurisprudenza consolidata, non scatta una presunzione assoluta di trattamento inumano, ma diventa necessaria una valutazione complessiva delle condizioni di detenzione, includendo proprio i fattori compensativi.

La Corte ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse svolto correttamente questa valutazione, elencando puntualmente gli elementi positivi (bagno riservato e separato, docce, riscaldamento, accesso a socialità e istruzione) che bilanciavano la limitazione dello spazio. Anche la lamentata violazione della privacy è stata respinta, poiché risultava che il bagno era separato dal resto della cella e chiuso da una porta.

La valutazione per il secondo istituto: il concetto di ‘sporadicità’

Per il periodo di detenzione nel secondo istituto, il ricorso si concentrava sulla riduzione dello spazio a soli 1,88 mq nei periodi di convivenza con altri due detenuti. La Cassazione ha prima di tutto evidenziato come il calcolo presentato dal ricorrente non fosse chiaro né sufficientemente motivato.

Inoltre, la Corte ha dato pieno valore alla constatazione del giudice di merito secondo cui tale situazione di sovraffollamento era stata ‘sporadica’, ovvero limitata a periodi molto brevi (inferiori a 15 giorni) e distanziati nel tempo. Questa sporadicità, secondo la Corte, è un elemento decisivo per escludere una violazione sistematica dei diritti del detenuto.

Per i periodi di normale convivenza con un solo altro detenuto, lo spazio pro capite risultava superiore ai 3,5 mq, rendendo anche in questo caso necessaria la valutazione dei fattori compensativi, che il ricorso aveva contestato in modo generico e fattuale, e quindi inammissibile in sede di legittimità.

Le motivazioni della sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine stabilito dalla giurisprudenza europea e nazionale: la soglia dei 3 mq di spazio vitale in cella rappresenta un forte indicatore, ma non un automa. Sotto i 3 mq, la presunzione di violazione è quasi assoluta. Sopra questa soglia, e in particolare nella fascia tra 3 e 4 mq, il giudice deve compiere una valutazione globale e qualitativa.

La Suprema Corte ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse adempiuto a questo onere, analizzando puntualmente i fattori compensativi esistenti. Ha inoltre ribadito che il carattere meramente temporaneo e sporadico di una situazione di grave sovraffollamento può essere sufficiente a escludere la violazione dell’art. 3 CEDU. Infine, la sentenza sottolinea un importante aspetto processuale: il ricorso per cassazione deve basarsi su vizi di legittimità (errata applicazione della legge o vizi di motivazione), non potendo limitarsi a contestare nel merito le valutazioni fattuali del giudice precedente, come il calcolo delle superfici o l’esistenza di determinate condizioni.

Conclusioni: implicazioni pratiche

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile. Per chi intende lamentare condizioni detentive inumane, non è sufficiente indicare uno spazio personale di poco superiore ai 3 mq. È necessario dimostrare che, nonostante ciò, l’insieme delle condizioni (mancanza di luce, aria, igiene, attività) sia tale da provocare un’effettiva sofferenza. La decisione ribadisce anche che le situazioni di sovraffollamento eccezionali e di breve durata non sono, di per sé, sufficienti a integrare una violazione, se la condizione ordinaria di detenzione rispetta gli standard minimi. Di conseguenza, i ricorsi basati su questi presupposti devono essere estremamente dettagliati e fondati su precise censure giuridiche, evitando contestazioni generiche o puramente fattuali.

Cosa succede se lo spazio vitale in cella per un detenuto è compreso tra 3 e 4 metri quadrati?
In questo caso, non si presume automaticamente una violazione dei diritti umani. Il giudice deve effettuare una valutazione complessiva delle condizioni di detenzione per verificare la presenza di ‘fattori compensativi’ adeguati (come un bagno separato, acqua calda, accesso ad attività ricreative) che possano bilanciare la limitazione dello spazio personale.

Una situazione di sovraffollamento temporaneo in cella costituisce sempre una violazione dei diritti del detenuto?
No. Secondo la sentenza, se la situazione di sovraffollamento (con spazio inferiore a 3 mq pro capite) si è verificata solo per periodi molto brevi, non continuativi e quindi ‘sporadici’, questa circostanza può essere sufficiente a escludere la violazione sistematica dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Quali sono i ‘fattori compensativi’ che il giudice considera per valutare la legittimità delle condizioni detentive?
I fattori compensativi sono elementi positivi che migliorano la qualità della vita in carcere. La sentenza menziona specificamente: la disponibilità di un bagno riservato e separato dalla zona notte, la presenza di docce nel bagno, la disponibilità di acqua calda, un adeguato riscaldamento, sufficiente areazione, assistenza sanitaria e l’accesso a sale di socialità, istruzione e altre opportunità trattamentali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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