Spazio Vitale in Cella: Quando un Errore di Calcolo non Viola i Diritti del Detenuto
La questione dello spazio vitale in cella è un tema cruciale nel diritto penitenziario, toccando direttamente la dignità della persona e il divieto di trattamenti inumani e degradanti sancito a livello europeo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3293/2024) offre un’interessante prospettiva su come un errore di calcolo da parte del giudice non si traduca automaticamente in un accoglimento del ricorso del detenuto, se la sostanza della questione non rivela una violazione effettiva dei diritti.
I Fatti del Caso
Un detenuto presentava ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano. L’oggetto della doglianza era il calcolo dello spazio disponibile all’interno della cella che aveva occupato per circa un anno, dal 2 novembre 2020 al 22 ottobre 2021. Secondo il ricorrente, lo spazio a sua disposizione era inferiore ai limiti minimi previsti dalla giurisprudenza europea, integrando così una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Il detenuto sosteneva che la superficie calpestabile fosse insufficiente a garantire condizioni di vita dignitose, soprattutto considerando la lunga permanenza in quella specifica cella.
L’Errore di Calcolo e lo Spazio Vitale in Cella
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, ha rilevato un palese errore materiale, definito come “involontario refuso”, nell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. Il Tribunale aveva correttamente indicato che la superficie totale della cella era di 19,85 mq, esclusi i 3,90 mq del bagno. Tuttavia, nel passaggio logico successivo, aveva erroneamente sottratto di nuovo i 3,90 mq dalla superficie già depurata, giungendo a un risultato di calcolo sbagliato.
Questo tipo di svista procedurale è stato il fulcro dell’analisi della Suprema Corte, che non si è fermata all’errore formale ma ha proceduto a emendare il calcolo per valutare la situazione reale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile. Il ragionamento seguito è stato lineare e pragmatico. Una volta corretto l’errore di calcolo del Tribunale, è emerso che lo spazio effettivo a disposizione di ogni detenuto era di 3,41 mq. Questa metratura, secondo la valutazione dei giudici e alla luce delle altre circostanze del caso, è stata ritenuta sufficiente per escludere la sussistenza di una violazione dell’art. 3 della CEDU.
La Corte ha sottolineato che la conclusione del Tribunale di Sorveglianza, una volta depurata dall’imprecisione matematica, era “ineccepibile”. L’errore materiale non aveva quindi alterato la sostanza della decisione: le condizioni detentive, seppur restrittive, non avevano raggiunto la soglia del trattamento inumano o degradante. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
Le Conclusioni
La decisione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, ribadisce che un semplice errore materiale in un provvedimento giudiziario può essere corretto in sede di legittimità senza necessariamente portare all’annullamento della decisione, se la conclusione finale rimane logicamente e giuridicamente valida. In secondo luogo, fornisce un ulteriore riferimento sulla valutazione dello spazio vitale in cella: in questo specifico contesto, 3,41 mq sono stati considerati al di sopra della soglia critica che fa scattare la violazione dell’art. 3 CEDU. Infine, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende serve da monito contro la proposizione di ricorsi basati su vizi puramente formali quando la sostanza del diritto non è stata lesa.
Un semplice errore di calcolo da parte di un Tribunale è sufficiente per vincere un ricorso?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un “involontario refuso” (errore materiale) può essere corretto e la decisione viene valutata sulla base dei dati corretti. Se la conclusione rimane valida dopo la correzione, il ricorso può essere respinto.
Quale metratura minima è stata considerata accettabile in questo caso per lo spazio vitale in cella?
La Corte ha ritenuto che una disponibilità di 3,41 mq per detenuto, valutata insieme alle altre circostanze emerse, non costituisce una violazione dell’art. 3 della CEDU, che vieta trattamenti inumani o degradanti.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la sua colpa, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3293 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3293 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME COGNOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
considerato che l’unico motivo di ricorso verte sul calcolo dello spazi disponibile, per ciascun detenuto e nel periodo che va dal 2 novembre 2020 al 22 ottobre 2021, all’interno della cella che, in quel torno di tempo, ha ospitato gli altri, NOME;
che, in proposito, deve rilevarsi come il Tribunale sia incorso in involontario refuso, laddove, dopo avere chiarito che la superficie di mq. 19, non comprende i 3,90 mq occupati dal bagno (secondo quanto, del resto, attestato dallo stesso ricorrente alla pag. 2 del reclamo), ha sottr erroneamente, tale superficie da quella complessiva;
che, quindi, ineccepibile si palesa, una volta emendato il provvedimento impugCOGNOME dalla segnalata imprecisione, la conclusione secondo cui il condanCOGNOME ha avuto a disposizione 3,41 mq., ciò che, vagliato in unione alle resid emergenze, induce senz’altro ad escludere la sussistenza della dedotta violazion dell’art. 3 CEDU;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricor con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione del causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 26/10/2023.