Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34435 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34435 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/01/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga respinto.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, resa il 25 gennaio 2024, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME, alias NOME COGNOME, avverso il provvedimento emesso il 29 settembre 2023 dal Magistrato di sorveglianza di Pavia con cui era stata accolta parzialmente e rigettata nel resto l’istanza proposta ex art. 35 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e succ. modd. (Ord. pen.) da COGNOME, detenuto nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, per l’ottenimento della riparazione dovuta per la carcerazione patita in condizioni difformi da quanto imposto dall’art. 3 CEDU.
Il Magistrato di sorveglianza aveva accolto l’istanza limitatamente al tempo pari a 250 giorni, di cui 11 riferiti alla detenzione nella RAGIONE_SOCIALE circondariale di San Vittore e 239 giorni riferiti alla detenzione nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, mentre aveva rigettato l’istanza per il restante tempo detentivo vissuto da COGNOME nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, caratterizzato dal regime a custodia aperta.
Dolutosi l’istante di tale esito, sia per il profilo inerente al criter misurazione dello spazio vitale minimo, sia per quello relativo all’apprezzamento dei fattori compensativi dello spazio comunque insufficiente, alla stregua delle concrete condizioni detentive nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di sorveglianza ha considerato infondate tali prospettazioni nel solco della motivazione resa dal primo giudice, supportandola con ulteriori considerazioni, da cui ha tratto la conferma della correttezza dell’approdo raggiunto dal Magistrato di sorveglianza.
Avverso questa ordinanza il difensore di COGNOME ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si denunciano la mancanza di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 35-ter Ord. pen. e dell’art. 3 CEDU nella parte in cui il Tribunale ha confermato il calcolo dello spazio disponibile pro-capite senza scomputare la superficie del tavolo, con riferimento al periodo detentivo trascorso nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
La difesa ha ribadito che questo arredo, in quanto non di piccole dimensioni e non rimovibile, avrebbe dovuto considerarsi tale da occupare una superficie della camera detentiva non utile per il movimento del detenuto, come da rappresentazione grafica. Si è aggiunto che il tavolo in questione nemmeno avrebbe potuto essere, all’occorrenza, spostato al di fuori della cella, operazione non prevista.
Si è rimarcato che la motivazione resa sull’argomento dal Tribunale è limitata al richiamo del provvedimento reso dal Magistrato di sorveglianza con frasi
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stereotipate, senza esposizione della ragione in base alla quale l’arredo in questione dovesse considerarsi in concreto rimovibile, onde stabilire se lo stesso fosse compatibile o meno con la libertà di movimento nella camera detentiva; né a tanto aveva in precedenza provveduto il Magistrato di sorveglianza.
In tal senso il ricorrente evidenzia che è mancata ogni istruttoria o valutazione concreta idonee a supportare l’affermazione suddetta, mentre non potrebbe dirsi conforme ai principi di diritto stabiliti in materia la considerazione d arredo astrattamente rimovibile del tavolo in quanto tale.
2.2. Con il secondo motivo si prospettano la violazione del medesimo quadro normativo succitato e la mancanza di motivazione in merito alla valutazione dei fattori compensativi.
Erroneamente il Tribunale ha ritenuto, secondo la difesa, che il regime detentivo aperto sia fattore compensativo sufficiente a far considerare la superficie, ove pure compresa fra i mq. 3,00 e i mq. 4,00, adeguata al rispetto del parametro convenzionale.
In particolare, il ricorrente lamenta la mancata considerazione degli elementi emergenti dalla Relazione dell’Osservatorio RAGIONE_SOCIALE, prodotta in atti e già allegata al reclamo avverso l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza, che aveva contribuito a far emergere un complesso di fattori negativi, tali da neutralizzare il dato della detenzione a regime aperto, quali la durata non breve patita da NOME, la mancanza di intimità dovuta alla condivisione della cella, la mancanza della possibilità di spostarsi al di fuori della sezione, l’insufficienza della social in relazione allo scarso spazio delle celle e al tasso di sovraffollamento, l’insufficienza degli spazi per le attività trattamentali, la carenza di educatori, caratteristiche inadeguate degli spazi esterni alle celle, l’interruzione dei corsi d formazione e dei laboratori nel periodo dell’emergenza pandemica, la presenza delle reti metalliche alle finestre delle celle, l’assenza di acqua calda all’intern delle stesse, le caratteristiche strutturali inadeguate delle medesime.
Su questo versante la motivazione del Tribunale – osserva la difesa – è risultata del tutto omessa.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando che il Tribunale, recependo l’analisi svolta dal primo giudice, ha correttamente rilevato la fruizione da parte del detenuto di una superficie netta sempre superiore a mq 3,00, con l’esatta esclusione del tavolo dagli arredi idonei a occupare lo spazio vitale, e ha poi adeguatamente valutato fra i fattori compensativi il regime detentivo aperto, motivazione a fronte della quale non può darsi preminenza alle risultanze di carattere generale e riferite al maggio 2021 della relazione dell’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione, nel suo complesso, non è fondata e va, quindi, rigettata.
Il Tribunale di sorveglianza, in relazione ai profili dedotti dal detenuto con il reclamo, ne ha disatteso le prospettazioni basandosi sui seguenti rilievi: alla stregua delle coordinate ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza interna, non è stata ritenuta da accogliersi la doglianza del reclamante che ha prospettato, con riguardo alla detenzione nella RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, lo scomputo dallo spazio disponibile anche del tavolo e delle suppellettili rimovibili; pertanto, all stregua del corretto computo, nel periodo ancora oggetto di controversia, il detenuto aveva sempre avuto la disponibilità di una superficie superiore, sia pure di poco, a mq 3,00; nel tempo considerato, poi, la detenzione era stata connotata dal regime aperto, sicché anche sotto il profilo dei fattori compensativi, per quell’intervallo, non può dirsi sussistente la dedotta violazione del parametro di cui all’art. 3 CEDU, come richiamato dall’art 35-ter cit.
Deve osservarsi che, in punto di principio, i giudici del merito considerando il complesso delle argomentazioni svolte nelle due ordinanze, conformi nell’esito – non hanno trascurato la linea ermeneutica secondo cui per stabilire l’entità della superficie della camera detentiva che il singolo detenuto possa ritenere riservata alla sua sfera si impone l’adozione di un criterio di misurazione tale da comportare la necessità di detrarre, non soltanto lo spazio destinato ai servizi igienici, ma anche quello occupato dagli arredi fissi o difficilmente amovibili, in guisa tale da ostacolare la libertà di movimento dell’occupante della camera detentiva, al pari dello spazio occupato dai letti collocati in quell’ambiente.
Si ricorda che, in virtù delle progressive puntualizzazioni maturate su questo tema, si è andato affermando il condiviso orientamento espresso da diverse decisioni di legittimità (il riferimento è, in particolare, a Sez. 1, n. 21495 d 20/12/2022, dep. 2023, Min. Giustizia in proc. Monaco, non mass.; e a Sez. 1, n. 18760 del 20/12/2022, dep. 2023, Min. Giustizia in proc. Garofalo, Rv. 284510 01) le quali hanno raggiunto la conclusione secondo cui non deve essere computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto si tratta di arredo tendenzialmente fisso al suolo e comunque non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella e, pertanto, tale da compromettere il movimento agevole del detenuto al suo interno.
Questo orientamento costituisce lo sviluppo coerente dell’arresto regolatore emesso dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Ministero della Giustizia in proc. Commisso, Rv. 280433 01) con la quale è stato affermato il principio di diritto secondo cui “nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tr cui rientrano i letti a castello”.
È utile soprattutto evidenziare che, nell’argomentare questa conclusione, la suddetta decisione ha rimarcato, con specifico riferimento al profilo di lesione integrato dalla ristrettezza dello spazio all’interno della camera di pernottamento, che, in caso di spazio a disposizione pro-capite inferiore ai 3 mq, esiste per vincolo convenzionale una forte presunzione di non umanità del trattamento, vincolo superabile soltanto dalla convergenza di svariati fattori compensativi (fra cui la breve durata della detenzione, le condizioni carcerarie dignitose, il godimento di un tempo sufficiente al di fuori della cella anche con lo svolgimento di adeguate attività, le valide opportunità trattamentali ed altri ancora); nell’ipotesi in cu disponibilità dello spazio individuale faccia emergere una superficie compresa fra 3 e 4 mq, i predetti fattori compensativi concorrono, unitamente a quelli di segno negativo, alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione.
Le Sezioni Unite hanno così preso posizione, dirimendola in modo espresso e univoco in senso negativo, sulla questione concernente la possibilità di computare nello spazio individuale minimo disponibile per il detenuto all’interno della cella la superficie occupata, appunto, dal letto a castello.
3.1. Muovendo da tale acquisizione, per quanto concerne la questione della computabilità, o meno, nello spazio detentivo minimo pro-capite, ai fini dell’applicazione dell’art. 3 CEDU, della superficie occupata di alcuni arredi, in particolare del letto singolo, si sono registrate diverse decisioni di legittimità (f cui Sez. 1, n. 18681 del 26/04/2022, Min. Giustizia in proc. Campisi, non mass.) che, dopo aver sottolineato l’importanza cruciale attribuita a detti fini dalle Sezioni Unite e dalla giurisprudenza della Corte EDU alla libertà di movimento del detenuto all’interno della cella e aver osservato che la considerazione secondo cui il letto singolo può essere utilizzato per finalità ulteriori rispetto al riposo (q leggere, giocare a carte, parlare), a differenza del letto a castello, non rileva per l decisione in punto di sovraffollamento, hanno ritenuto che il principio affermato dalle Sezioni Unite abbia fatto espresso riferimento allo spazio occupato dal letto a castello, ma non abbia escluso affatto che la superficie occupata dai letti singoli
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non debba essere scomputata.
Si è, in questa direzione, considerato doversi valutare, per la corrispondente detrazione ai fini del rispetto del parametro convenzionale, anche la superficie occupata dal letto singolo, per l’inamovibilità che connota anche questo arredo, anche quando esso sia occupato, nella camera detentiva collettiva, da un diverso soggetto, in relazione alla corrispondente verifica della complessiva superficie minima disponibile per i detenuti in essa ubicati.
È vero che si è manifestato un diverso orientamento di legittimità il quale, valorizzando la lettera della risposta data al quesito di diritto, collegata a un passaggio della motivazione della decisione delle Sezioni Unite, ha ritenuto che la superficie del letto singolo vada sempre computata nello spazio minimo detentivo pro-capite, trattandosi di arredo suscettibile di spostamento che, come tale, non ostacola il libero movimento nella cella: in definitiva, si ribadisce, in quest prospettiva, che il letto singolo, a chiunque in uso, è un arredo suscettibile di spostamento (anche temporaneo) per garantire il movimento all’interno della camera detentiva, mentre il solo letto a castello costituisce un ingombro tale da determinare la sottrazione dello spazio occupato dal computo della superficie utile (fra le altre, Sez. 1, n. 32581 del 20/04/2023, Min. Giustizia in proc. Milazzo, Rv. 285056 – 01; Sez. 1, n. 12774 del 15/03/2022, NOME, Rv. 282850-01).
3.2. Il Collegio, per gli effetti qui rilevanti, aderisce tuttavia al primo d indirizzi citati, divenuto maggioritario in virtù della progressiva messa a fuoco della questione sulla base della valorizzazione del complessivo costrutto logicogiuridico posto a base della decisione delle Sezioni Unite, indirizzo secondo il quale non deve essere computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto arredo tendenzialmente fisso al suolo, non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella e tale da compromettere il movimento agevole del predetto al suo interno (v., fra le più recenti, Sez. 1, n. 11207 del 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286126 – 01; Sez. 1, n. 28306 del 07/04/2023, COGNOME, non mass.).
Rimandando ai citati precedenti per il dettaglio delle ragioni che si pongono alla base di tale scelta ermeneutica, è opportuno soltanto ribadire che la soluzione qui condivisa è idonea a ricondurre a unità la giurisprudenza di legittimità, esaltandone la funzione di nomofilachia, intesa come garanzia dell’uniforme interpretazione della legge e dell’unità del diritto oggettivo nazionale, se si considera l’orientamento espresso dalle Sezioni civili della Corte di cassazione proprio in materia di risarcimento da inumana detenzione, che ha da tempo, prima e dopo l’indicata pronuncia delle Sezioni Unite penali, affermato il principio di diritto secondo cui, ai fini del calcolo rilevante ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., va scomputata «l’area destinata ai servizi igienici e agli armadi appog1ti, o
infissi, stabilmente alle pareti o al suolo ed anche lo spazio occupato dai letti (sia a castello che singoli), che riducono lo spazio libero necessario per il movimento, senza che, invece, abbiano rilievo gli altri arredi facilmente amovibili, come sgabelli o tavolini»; ciò, perché, tanto nel caso del letto singolo quanto nel caso del letto a castello è compromesso il movimento del detenuto nella cella: se è vero che lo spazio occupato dal primo è usufruibile per il riposo e l’attività sedentaria, è anche vero che tali funzioni organiche vitali sono fisiologicamente diverse dal movimento, il quale postula, per il suo naturale esplicarsi, uno spazio ordinariamente libero (Cass. civ., Sez. 6, n. 5441 del 18/02/2022, non mass.; Sez. 1, n. 5064 del 24/02/2021, non mass.; Sez. 1, n. 4096 del 20/02/2018, Rv. 647236 – 01).
3.3. Puntualizzato quanto precede, non è superflua, ai presenti fini, la notazione che il citato principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite è stato riferito agli «arredi tendenzialmente fissi al suolo», essendosi così enucleata una categoria intermedia tra arredo fisso e arredo mobile (categoria che riguarda chiaramente – anzi, necessariamente – arredi per loro natura mobili, in quanto nessuna specificazione sarebbe stata necessaria per quelli fissi al suolo, come tali assolutamente inamovibili). Tra gli arredi mobili, la sentenza seleziona quindi quelli che, pur essendo trasportabili da un punto all’altro della cella, non possono tuttavia essere trasportati facilmente: e la decisione equipara funzionalmente questi arredi – mobili, ma non agevolmente trasportabili da un punto all’altro della cella – agli arredi fissi, in quanto, al pari di questi ultimi, essi limitano in m determinante il libero movimento dei detenuti all’interno della cella.
Così recepiti, la motivazione e il principio di diritto espressi dalla sentenza Commisso si saldano perfettamente, illuminando l’una la portata dell’altro. Entrambi rispondono, del resto, alla medesima logica e ai medesimi obiettivi, chiaramente espressi: quelli di garantire ai detenuti uno spazio minimo di «normale movimento» e di quantificarlo in modo «più ampio rispetto a quello ricavabile dalla soluzione opposta», al fine di assicurare il pieno rispetto dei principi di dignità della persona e umanità della pena.
È consequenziale, quindi, tener conto di tale concetto nella complessiva verifica di computabilità dei singoli arredi ai fini della fissazione dello spazi minimo vitale effettivamente riservato al soggetto ristretto nei concreti contesti detentivi.
In questa cornice di principio vanno esaminate le censure articolate dal ricorrente e, per quanto specificamente concerne il primo motivo, la disamina combinata dei due provvedimenti di merito, in particolare di quello reso dal Magistrato di sorveglianza di Pavia, a cui si è poi richiamato il Tribunale, d
prendersi atto che – sulla scorta delle specifiche misurazioni della camera detentiva occupata da COGNOME nel periodo di interesse, i cui dati salienti sono stati tratti dall’elaborato redatto dal tecnico dell’Amministrazione penitenziaria addetto a tale compito (ing. COGNOME) – la superficie netta di cui ha fruito il detenuto i quell’Istituto di pena era stata ampiamente superiore a mq 4,00 quando COGNOME aveva pernottato da solo nella camera detentiva e superiore, sia pure non di molto, a mq 3,00 quando questi aveva occupato la cella con un altro detenuto.
Dalla superficie utile non è stato scomputata l’area occupata dal tavolo, valutato come amovibile dal tecnico dell’Amministrazione e dai giudici del merito.
Il diverso avviso manifestato dal ricorrente, anche c per quanto attiene alla prospettazione grafica inserita nell’atto di impugnazione, non si rivela idoneo a contrastare la conclusione raggiunta dal Magistrato e, poi, dal Tribunale di sorveglianza, giacché non ha fornito dati specifici e concreti di spessore tale da infirmare la verifica e valutazione compiute dai giudici del merito, sulla scorta degli elementi tecnici acquisiti, e da dimostrare che in esse si fosse annidata la lamentata violazione di legge, in relazione alla corretta interpretazione del parametro applicativo dell’art. 3 CEDU.
Non può ritenersi, per il resto, determinante mezzo di prova contrario agli accertamenti e alla valutazioni su cui ha ragionato il Tribunale di sorveglianza il richiamo alle indicazioni, di carattere generale e peraltro riferite a un periodo circoscritto, fornite sulle connotazioni della RAGIONE_SOCIALE dal pur utile sul piano della generale informazione – rapporto dell’RAGIONE_SOCIALE.
Né milita in favore del ricorrente il riferimento all’approfondito insegnamento di legittimità civile secondo cui, in tema di violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, il rimedio di cui all’art. 35-ter Ord. pen. presuppone una responsabilità di tipo contrattuale, derivante dallo stretto rapporto che si instaura tra lo Stato e il detenuto, la quale dà luogo a una obbligazione indennitaria ex lege, con l’effetto che, sotto il profilo del riparto dell’onere probatorio, spetta all’Amministrazione penitenziaria, chiamata a rispondere della violazione di obblighi di protezione e di norme di comportamento, provare l’adempimento conforme ai principi della Convenzione, mentre compete al detenuto fornire la dimostrazione del danno lamentato e del nesso causale tra quest’ultimo e il dedotto inadempimento, salva la possibilità di avvalersi, oltre che delle presunzioni e del principio di non contestazione, dei poteri integrativi e ufficiosi del giudice (propri, anche nel processo civile, del rito camerale prescelto dal legislatore, quali, in particolare, il potere di assumere informazioni previsto dall’art. 738, comma 3, cod. proc. civ., che costituisce – in funzione della salvaguardia del principio di effettività della tutela giurisdizionale di dirit
indubbia matrice costituzionale e convenzionale – un utile meccanismo riequilibratore nell’ambito di un procedimento caratterizzato da una situazione di squilibrio tra la parte pubblica, titolare della potestà punitiva, e il soggetto priv che la subisce (così, con riferimento al procedimento civile, ma con inflessioni non ininfluenti in via più generale, Cass. civ., Sez. 3, ord., n. 31556 del 06/12/2018, Rv. 651946 – 01).
Invero, nel caso in esame, i giudici del merito hanno accertato che l’Amministrazione penitenziaria ha fornito concreti dati comprovanti l’evenienza delle condizioni per la qualificazione dell’elemento di arredo in questione come mobile agevolmente rimovibile.
Pertanto, deve ritenersi incensurabile l’approdo secondo il quale il tavolo facente parte dell’arredo della camera detentiva della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in cui era stato ristretto COGNOME, come censito dal giudici di sorveglianza, sia correttamente rientrato tra gli arredi suscettibili di essere facilmente spostati da un punto all’altro della cella, così da non corrispondere a superficie inutilizzabile ai fini dell’esplicazione della libertà di movimento degl soggetti occupanti l’ambiente.
5. Per quanto concerne il secondo motivo, inerente alla violazione di legge e alla carenza di motivazione dedotte in merito alla valutazione, che il ricorrente ripropone di svolgere in senso negativo, dei fattori compensativi, occorre brevemente premettere che, come ha precisato con nettezza l’arresto di indirizzo nomofilattico già citato (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Ministero della Giustizia in proc. Commisso, Rv. 280433 – 02), quando – come nel caso qui in esame – la superficie netta garantita al detenuto si sia attestata a un livello superiore a quello minimo di mq 3,00, ma inferiore a quello di mq 4,00, la situazione, pur non violando la regola dettata dalla Corte EDU, può inscriversi quale fattore negativo nella valutazione delle condizioni complessive di detenzione, sicché, ove si verifichi la contestuale sussistenza di concreti fattori negativi – quali la mancanza di accesso al cortile o all’aria e alla luce naturale, l cattiva aereazione, la temperatura insufficiente o troppo elevata nei locali, l’assenza di riservatezza nelle toilette, le cattive condizioni sanitarie e igieniche -, potrà pervenirsi a ritenere violato l’art. 3 della Convenzione.
Si è anche precisato che, nella prospettiva della violazione dell’art. 3 CEDU, non è richiesta la contestuale presenza di tutti i fattori negativi, dovendo essere il detenuto, nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 35-ter cit., a porre a fondamento della domanda risarcitoria, oltre alla restrizione in camera detentiva con uno spazio individuale inferiore a mq 4,00, anche alcuni dei fattori negativi sopra indicati, mentre l’Amministrazione penitenziaria ha titolo a opporre fattori
compensativi idonei a contrastare la domanda.
All’esito, compete alla magistratura di sorveglianza esprimere la valutazione globale delle condizioni di detenzione, tenendo conto di tutti i fattori, tanto positiv quanto negativi, secondo le coordinate ermeneutiche maturate in sede convenzionale; e la valutazione dei concorrenti aspetti dell’offerta trattamentale idonei a essere posti in bilanciamento con le dimensioni della cella collettiva deve formare oggetto di specifica motivazione, in relazione alle concrete opportunità di cui abbia realmente usufruito ciascun detenuto, non potendo essere fondata su parametri potenziali, correlati alla – solo astratta – offerta trattamentale presente nell’istituto penitenziario.
Nel caso di specie, già il Magistrato di sorveglianza aveva enucleato alcuni fattori compensativi degni senz’altro di positiva valutazione, quali la concreta offerta trattamentale, l’assistenza sanitaria ininterrotta, il regime detentivo custodia aperta, con facoltà di movimento al di fuori della camera di pernottamento per almeno 11 ore, di cui almeno 4 ore all’aria. Anche le caratteristiche della camera detentiva erano state illustrate come adeguate, con la presenza del loro riscaldamento e con garanzia di accesso quotidiano al locale doccia. E il Tribunale ha pienamente confermato tale approdo.
A fronte di questi dati di fatto, il ricorrente ha prospettato un inquadramento svilente i fattori compensativi di segno positivo evidenziati dai giudici del merito, ma lo ha fatto adducendo una serie di connotazioni negative indimostrate (quali l’insufficienza della socialità, l’insufficienza degli spazi per le attività trattannen la carenza di educatori) o, per altro verso, inadeguate (quali le caratteristiche inadeguate degli spazi esterni alle celle, la dedotta interruzione dei corsi di formazione e dei laboratori nel periodo dell’emergenza pandemica e gli altri fattori citati) e determinare una situazione detentiva tale da sovvertire – e rendere ictu °culi del tutto carente, fino all’apparenza del discorso giustificativo – la motivata valutazione formulata dai giudici del merito.
Non deve, d’altronde, omettersi di considerare che nella materia oggetto di esame – in relazione al raccordo del disposto dell’art. 35-ter con quello dell’art. 35-bis Ord. pen. – il ricorso è ammesso soltanto per violazione di legge (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, cit., in motivazione; Sez. 1, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Min. Giustizia in proc. Asenov, Rv. 262356 – 01).
Pertanto, anche questa doglianza è da considerarsi infondata.
Per le ragioni espresse, quindi, l’impugnazione deve essere, nel suo complesso, rigettata.
Al rigetto fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 22 maggio 2024
Il Consi liere estensore g
Il President