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Spazio vitale detenuto: la Cassazione decide sul ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto che lamentava condizioni di detenzione inumane per lo spazio vitale ridotto. La Corte ha confermato che uno spazio pro capite tra 3 e 4 metri quadri non viola i diritti del detenuto se sono presenti adeguati fattori compensativi, come trascorrere almeno quattro ore al giorno fuori dalla cella per attività trattamentali, garantendo sufficiente libertà di movimento.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spazio Vitale Detenuto: Quando i Fattori Compensativi Fanno la Differenza

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penitenziario: la valutazione dello spazio vitale detenuto e la sua compatibilità con il divieto di trattamenti inumani e degradanti. L’ordinanza chiarisce che la sola misurazione dei metri quadri a disposizione non è sufficiente a determinare una violazione dei diritti, ma deve essere integrata da un’analisi complessiva che tenga conto dei cosiddetti “fattori compensativi”, come la libertà di movimento fuori dalla cella.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva respinto la sua richiesta di risarcimento ai sensi dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario. Il reclamante sosteneva di aver subito un trattamento pregiudizievole durante la sua detenzione in un istituto penitenziario, a causa di uno spazio pro capite che, a suo dire, era insufficiente. Il Magistrato di sorveglianza in prima istanza, e il Tribunale in sede di reclamo, avevano rigettato la richiesta, rilevando che lo spazio netto a disposizione del detenuto era compreso tra 3,75 e 18,76 metri quadri e che, in ogni caso, gli erano state garantite condizioni tali da compensare la limitatezza dello spazio.

La Decisione della Cassazione sullo Spazio Vitale del Detenuto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze del ricorrente manifestamente infondate. Secondo gli Ermellini, il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza era immune da vizi logici e giuridici. La Corte ha sottolineato come la valutazione delle condizioni detentive non possa limitarsi a un mero calcolo aritmetico dello spazio disponibile, ma debba considerare l’intera organizzazione della vita detentiva.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della motivazione risiede nel concetto di “fattori compensativi”. La Cassazione ha validato l’approccio del giudice di merito, il quale aveva correttamente considerato che al detenuto era stata assicurata la possibilità di trascorrere non meno di quattro ore giornaliere al di fuori della camera di pernottamento. Questa opportunità, unita allo svolgimento di ulteriori attività trattamentali, garantiva una sufficiente libertà di movimento, neutralizzando il potenziale pregiudizio derivante da uno spazio individuale al limite dei parametri minimi (identificati dalla giurisprudenza europea tra i 3 e i 4 metri quadri).

La Corte ha richiamato la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), la quale ha stabilito che una violazione dell’art. 3 della Convenzione si configura solo quando il fattore spazio è associato ad altri aspetti negativi, come la mancanza di accesso all’aria aperta, scarsa luce, ventilazione inadeguata o precarie condizioni igienico-sanitarie. Nel caso di specie, il Tribunale aveva accertato che, oltre alle ore d’aria, erano garantite ulteriori attività che ampliavano la libertà di movimento del detenuto, un punto non specificamente contestato dal ricorrente. Pertanto, la valutazione complessiva delle condizioni di detenzione è risultata positiva.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la dignità della persona in stato di detenzione si tutela attraverso un approccio multifattoriale. Uno spazio vitale detenuto al di sotto di una certa soglia crea una presunzione di trattamento inumano, ma questa presunzione può essere superata dalla prova di adeguati fattori compensativi. La decisione sottolinea l’importanza per l’amministrazione penitenziaria di garantire non solo celle adeguate, ma anche e soprattutto programmi trattamentali e opportunità di vita comune che consentano ai detenuti di trascorrere una parte significativa della giornata al di fuori degli spazi strettamente detentivi. Per gli operatori del diritto, ciò significa che un ricorso ex art. 35-ter deve essere costruito non solo sulla base della metratura, ma anche dimostrando l’assenza o l’inadeguatezza di tali misure compensative.

Uno spazio in cella inferiore a 4 metri quadri costituisce sempre un trattamento inumano?
No. Secondo la Corte, uno spazio pro capite compreso tra 3 e 4 metri quadri non costituisce automaticamente una violazione se è bilanciato da adeguati “fattori compensativi” che garantiscano sufficiente libertà di movimento.

Cosa si intende per “fattori compensativi” in un contesto detentivo?
Sono elementi che migliorano le condizioni di vita del detenuto, mitigando la limitatezza dello spazio. Nel caso specifico, la possibilità di trascorrere almeno quattro ore al giorno fuori dalla cella per passeggi e altre attività trattamentali è stata considerata un fattore compensativo sufficiente.

Qual è stato l’esito del ricorso e perché?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente valutato la situazione, considerando non solo i metri quadri della cella ma anche la libertà di movimento garantita al detenuto durante la giornata, concludendo che non vi fosse stato un trattamento inumano o degradante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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