Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29579 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29579 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Roma l’ DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma del 14/02/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo di NOME COGNOME avverso il provvedimento in data 13 febbraio 2023, con il quale il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva respinto la sua richiesta di indennizzo ex art. 35-ter Ord. pen. relativamente al periodo di detenzione da lui trascorso presso la casa circondariale di Rebibbia N.C. dal 14 ottobre 2016 sino all’8 luglio 2021.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pe insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
Egli lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 3, 24, 117, comma 1, (in relazione all’art.3 CEDU), 27, comma 3, Cost. e 35-ter 1.354/75 ed il relativo vizio di motivazione; al riguardo osserva che il Tribunale ha respinto il suo reclamo dando unicamente rilievo al fatto che egli aveva trascorso il periodo di detenzione sopra indicato da solo ed in una cella di 8 mq, senza però verificare se la carcerazione fosse stata, nel concreto, conforme al dettato della CEDU in materia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Invero, l’ordinanza impugnata, in totale adesione al pronunciamento del primo giudice, ha respinto il reclamo del detenuto in riferimento ai pregiudizi lamentati durante il periodo di permanenza presso il carcere sopra indicato in considerazione dell’avvenuta collocazione di NOME COGNOME da solo in una camera detentiva della superficie di mq. 8 (quindi ben al di sopra della soglia minima di mq.3) e dotata di una finestra di m.1 x m.1,40, della possibilità di fruire dell’acqua calda nel locale docce e di partecipare alle attività trattamentali anche all’aperto, dell’attività lavorativa come scrivano da lui svolta nonché per la possibilità di utilizzare (da solo) i servizi igienici separati dalla camera pernottamento da una apposita divisione amovibile a tutela del diritto alla riservatezza ed in assenza di dimostrati pregiudizi per la salute.
Inoltre, il Tribunale di sorveglianza ha specificato che la superficie fruibile era stata computata, detraendo dall’estensione del vano lo spazio occupato dai servizi igienici per la loro specifica destinazione, nonché quello degli arredi fissi.
Orbene, rispetto a tali argomentazioni il ricorrente lamenta – in modo del tutto generico e senza confrontarsi con il ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza – il fatto che il suo reclamo sarebbe stato respinto unicamente per la superficie della camera di detenzione, ignorando invece tutti gli altri fattor compensativi valorizzati nella ordinanza impugnata. Quanto sopra, di per sé, è già sufficiente per escludere che il disagio sofferto si sia tradotto in un trattamento disumano e degradante in violazione dell’art. 3 della Convenzione EDU.
3. A quanto sopra deve aggiungersi che l’ordinanza in esame risulta coerente con i principi interpretativi, affermati da questa Corte e dalla giurisprudenza della Corte EDU. E’ noto che la giurisprudenza della Corte EDU (sez. 2, dell’8/1/2013, COGNOME ed altri c. Italia, col richiamo ai precedenti: COGNOME c. Lituania, n 53254/99, 7/4/2005, COGNOME c. Russia, 21/6/2007, COGNOME c. Russia, 29/3/2007, COGNOME c. Lettonia, 4/5/2006; COGNOME c. Italia, 16/7/2009), in riferimento alla problematica delle dimensioni delle celle degli istituti penitenziari ha affermato che lo spazio di tre mq. per detenuto costituisce la soglia minima al di sotto della quale sussiste la violazione delle prescrizioni dell’art. 3 del Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non superabile mediante la considerazione della possibilità di accesso a servizi o aree comuni esterne alla cella. Successivamente è intervenuta la pronuncia nel caso COGNOME c. Croazia del 12/3/2015, a stabilire che, a fronte dell’accertato spazio a disposizione del singolo detenuto inferiore a 3 mq., sussiste la forte presunzione di trattamento inumano o degradante, compensabile con la considerazione della permanenza oraria nella cella, limitata nel corso della giornata, e con altri profili positivi del trattame individuale, decisione parzialmente superata dalla Grande Camera in data 20/10/2016 nel medesimo caso, la quale, premesso che il dato spaziale assume un rilievo preminente nell’apprezzamento globale delle condizioni della detenzione, ha confermato il criterio di riferimento dei 3 mq. di superficie utilizzabile pe ciascun detenuto, alloggiato in cella collettiva, per apprezzare la lamentata violazione dell’articolo 3 della Convenzione in riferimento all’esecuzione carceraria e ha affermato i seguenti principi: -se lo spazio personale per il detenuto è inferiore ai 3 mq. in una cella condivisa con altri soggetti è ravvisabile la forte presunzione, non assoluta, di violazione dell’art. 3 CEDU; spetta dunque al Governo del paese in cui si svolge la detenzione offrire prova convincente della presenza di fattori in grado di compensare in maniera adeguata la mancanza di spazio personale e di superare la presunzione, quali la permanenza in celle dallo spazio così ristretto breve e occasionale e la stessa assuma minore rilevanza; la sufficiente libertà di movimento e lo svolgimento di adeguate attività all’esterno della cella; l’adeguatezza e la decenza delle condizioni generali della struttura carceraria, in Corte di Cassazione – copia non ufficiale
assenza di altri aspetti che aggravino le condizioni di privazione della libertà; qualora lo spazio individuale in una cella collettiva sia compreso tra i 3 e i 4 mq., sussiste una violazione dell’articolo 3 Cedu se tale condizione si accompagni ad altri aspetti negativi della detenzione, quali limitazioni alla possibilità di svolge attività fisica all’aria aperta, assenza di luce naturale e aria nella cel inadeguatezza della ventilazione e della temperatura, mancanza di riservatezza nell’uso dei servizi igienici e carenze dei requisiti igienico-sanitari; -se, invece, spazio individuale fruibile superi i 4 mq., non sussiste la violazione dell’art. CEDU, ma assumono rilievo eventuali altri aspetti negativi riguardanti le condizioni di detenzione.
3.1. La Corte sopranazionale non ha fornito indicazioni chiare e tassative sui criteri da impiegare per individuare lo spazio che deve essere assicurato a ciascun detenuto per avere soltanto osservato che «la superficie totale della cella non deve comprendere quella dei sanitari (paragrafo 51 precedente). Al contrario, il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili. L’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella», secondo quanto già affermato nelle precedenti pronunce COGNOME e altri c. Russia del 10/1/2012 e COGNOME c. Russia del 17/10/2013). In particolare, la prima di queste sentenze al punto 148 ha concluso che: a) ogni detenuto deve disporre di uno spazio individuale per dormire all’interno della cella; b) deve avere a sua disposizione almeno 3 mq. di spazio al suolo; c) la superficie complessiva della cella deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra gli elementi di arredamento, condizioni la cui assenza fonda la forte presunzione di trattamento degradante ed inumano.
3.2. Assumono, dunque, specifico rilievo al fine della soluzione del tema posto dal ricorso le annotazioni che indicano un preciso criterio orientativo, secondo il quale lo spazio fruibile all’interno della camera detentiva, non contenibile al di sotto della soglia minima predetta, deve essere inteso come superficie libera che consenta la possibilità di muoversi e non di svolgere altre attività, intellettive manuali, che implichino la stazione eretta o distesa. La questione è stata oggetto di plurime pronunce della Prima Sezione penale di questa Corte (Sez. 1, n. 41211 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271087; Sez. 1, n. 13124 del 17/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269514; Sez. 1, n. 52819 del 09/09/2016, COGNOME, Rv. 268231). Si era affermato che, ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intrannurario, da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 dell Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU, si deve considerare la superficie che assicura il normale movimento della persona. Per tale ragione dalla
superficie lorda della camera di detenzione devono essere detratte l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui i letto, nonché gli armadi, appoggiati o infissi stabilmente alle pareti o al suolo, tutte suppellettili che, per quanto utili e destinate ad altre finalità, sottraggono spazi al movimento. Non va detratto, invece, lo spazio occupato da arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini.
3.3. Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte (n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Ministero della Giustizia in proc. Commisso, Rv. 280433), hanno espressamente stabilito il principio secondo cui «Nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti “a castello”». Premesso che, nonostante la apprezzabile finalità di garantire al meglio i diritti fondamentali dei detenuti, non è consentito al giudice nazionale di adottare un’interpretazione dell’art. 3 della CEDU differente da quella fornita dalla Corte EDU su questo specifico aspetto, perché ciò violerebbe, sia il principio dell’obbligo per il giudice comune di uniformarsi alla giurisprudenza europea consolidata sulla norma conferente, sia lo stesso art. 35-ter Ord. pen. che ha individuato nella predetta giurisprudenza la fonte normativa di riferimento, tanto non esclude, però, che gli orientamenti interpretativi del giudice sopranazionale non siano chiari e richiedano l’intervento nomofilattico della Corte di cassazione per definire «la portata e il significato precettivo» dell’art. 35-ter Ord. pen. A tal fine, le Sezioni Unite hanno osservato che il criterio di riferimento è costituito dalla indicazione dello spazio minimo di tr metri quadrati per ciascun detenuto in cella collettiva, quale condizione per consentire a ciascun occupante di muoversi normalmente ed in tal senso va interpretata la prescrizione riguardante la superficie “calpestabile” presente in alcune pronunce della Corte EDU (Grande Camera, 20 ottobre 2016, COGNOME c. Croazia, citata; 25 aprile 2017, COGNOME ed altri c. Romania; 15 dicembre 2016, COGNOME ed altri c. Italia). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha adottato i medesimi criteri, di talché il provvedimento resiste efficacemente alle infondate contestazioni difensive.
4.11 ricorso, pertanto, deve essere respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual Così deciso in Roma, il 28 giugno 2024.