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Spazio minimo detenuto: quando è violato l’Art. 3 CEDU

Un detenuto ha richiesto un indennizzo per trattamento inumano a causa delle condizioni di detenzione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che con uno spazio personale superiore a 4 mq, la presenza di una finestra, l’accesso ad attività e servizi igienici separati, non sussiste alcuna violazione dei diritti. Il calcolo dello spazio minimo detenuto deve correttamente escludere gli arredi fissi e l’area dei sanitari.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spazio Minimo Detenuto: La Cassazione definisce i limiti per il trattamento inumano

La questione dello spazio minimo detenuto è un tema centrale nel diritto penitenziario, strettamente legato alla tutela della dignità umana e al divieto di trattamenti inumani e degradanti sancito dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 29579 del 2024, è tornata su questo argomento, offrendo chiarimenti cruciali sui criteri di valutazione delle condizioni carcerarie e sul diritto all’indennizzo. La decisione analizza in modo approfondito come bilanciare la metratura della cella con altri fattori qualitativi della detenzione.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Indennizzo

Il caso ha origine dal ricorso di un detenuto che chiedeva un indennizzo ai sensi dell’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario. Egli sosteneva di aver subito un trattamento inumano e degradante durante un lungo periodo di detenzione, trascorso dal 2016 al 2021, presso un noto istituto penitenziario.

Il Tribunale di sorveglianza, in prima istanza, aveva respinto la sua richiesta. La motivazione principale del rigetto si basava sul fatto che il detenuto era stato alloggiato da solo in una cella di 8 metri quadrati, una superficie ben superiore alla soglia minima individuata dalla giurisprudenza europea. Il detenuto, tuttavia, ha presentato ricorso per cassazione, lamentando che il Tribunale avesse adottato una valutazione meramente quantitativa, ignorando altri aspetti qualitativi delle condizioni di detenzione che, a suo dire, rendevano la pena non conforme ai dettami della CEDU.

La Decisione della Corte: Il Ricorso è Infondato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale di sorveglianza, specificando che la valutazione delle condizioni detentive era stata completa e non si era limitata alla sola dimensione della cella. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, chiudendo definitivamente la questione.

Spazio minimo detenuto: le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha sviluppato un’articolata motivazione, ripercorrendo i principi consolidati dalla giurisprudenza sia nazionale che europea in materia di spazio minimo detenuto.

Il Criterio dei 3 Metri Quadrati e i Fattori Compensativi

Il punto di partenza è il criterio stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza Torreggiani c. Italia e successive), secondo cui uno spazio personale inferiore a 3 metri quadrati in una cella collettiva crea una forte presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU. Tuttavia, questo dato puramente spaziale non è l’unico elemento da considerare.

La Corte di Cassazione ha evidenziato che, nel caso di specie, il detenuto disponeva di ben 8 mq. Ciò colloca la sua situazione ben al di sopra non solo della soglia critica dei 3 mq, ma anche di quella intermedia tra i 3 e i 4 mq, superata la quale non sussiste più la violazione dell’art. 3 CEDU, a meno che non si accompagnino altri fattori negativi significativi.

Nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza aveva correttamente valorizzato una serie di elementi positivi che compensavano ampiamente il disagio della detenzione:
* Collocazione singola: Il detenuto era l’unico occupante della cella.
* Luce e aria: La cella era dotata di un’ampia finestra (1m x 1,40m).
* Servizi: Aveva accesso all’acqua calda e a servizi igienici separati da una divisione amovibile a tutela della privacy.
* Attività: Partecipava ad attività trattamentali, anche all’aperto, e svolgeva un’attività lavorativa come scrivano.

La presenza di questi fattori compensativi, secondo la Corte, è sufficiente a escludere che il disagio sofferto si sia tradotto in un trattamento disumano o degradante.

Come si Calcola lo Spazio Effettivo?

Un aspetto fondamentale ribadito dalla Cassazione, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sent. n. 6551/2021), riguarda il metodo di calcolo della superficie fruibile. Ai fini della valutazione dello spazio minimo detenuto, si deve considerare la superficie ‘calpestabile’, ovvero quella che assicura il normale movimento della persona.

Da questo calcolo devono essere detratti:
1. L’area destinata ai servizi igienici.
2. Lo spazio occupato da arredi tendenzialmente fissi (come il letto a castello o armadi infissi alle pareti).

Non va invece sottratto lo spazio occupato da arredi facilmente amovibili come sgabelli o tavolini. Il Tribunale di sorveglianza aveva correttamente applicato questi criteri, computando la superficie netta a disposizione del ricorrente.

Le Conclusioni: Quando le Condizioni Detentive sono Legittime

La sentenza in esame rafforza un principio fondamentale: la valutazione sulla violazione dell’art. 3 CEDU non può basarsi su un singolo parametro, ma richiede un’analisi globale e concreta delle condizioni di detenzione. Se lo spazio personale supera la soglia dei 4 mq, la presunzione è a favore della legittimità delle condizioni carcerarie. In tali circostanze, spetta al detenuto dimostrare la presenza di ulteriori e gravi fattori negativi (es. mancanza di luce, aria, igiene, attività) tali da configurare un trattamento inumano. In assenza di tale prova, e a fronte di condizioni complessivamente adeguate come quelle descritte, la richiesta di indennizzo non può trovare accoglimento.

Qual è lo spazio minimo che deve essere garantito a un detenuto per non violare l’art. 3 della CEDU?
La giurisprudenza europea ha fissato una soglia critica di 3 metri quadrati di spazio personale. Al di sotto di questa soglia, si presume fortemente un trattamento inumano o degradante. Se lo spazio è compreso tra 3 e 4 mq, la violazione sussiste solo in presenza di altri fattori negativi. Se lo spazio supera i 4 mq, di norma non si ravvisa una violazione, a meno che non siano provate altre gravi carenze nelle condizioni di detenzione.

Come si calcola la superficie effettivamente a disposizione del detenuto in una cella?
Si deve calcolare la cosiddetta ‘superficie calpestabile’. Dalla superficie lorda della cella, bisogna sottrarre l’area occupata dai servizi igienici e quella occupata dagli arredi fissi (come il letto e gli armadi stabilmente infissi). Non si sottrae, invece, lo spazio occupato da mobili facilmente spostabili come tavoli o sgabelli.

Se lo spazio in cella è superiore a 4 mq, è possibile ottenere comunque un risarcimento?
Sì, ma è molto più difficile. Quando lo spazio individuale fruibile supera i 4 mq, non sussiste in linea di principio una violazione dell’art. 3 CEDU. Per ottenere un risarcimento, il detenuto deve dimostrare la presenza di altri aspetti negativi gravi e cumulativi che aggravano le condizioni di privazione della libertà, come ad esempio la mancanza di luce naturale e aria, l’inadeguatezza della ventilazione, carenze igienico-sanitarie o significative limitazioni alla possibilità di svolgere attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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