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Spazio minimo detenuto: la scelta del recluso conta

La Corte di Cassazione ha stabilito che un detenuto non ha diritto al risarcimento per la violazione dello spazio minimo detentivo se la riduzione dello spazio disponibile è causata da una sua scelta personale, come quella di smontare un letto a castello per avere un letto singolo separato. La Corte ha ritenuto che non si possa invocare una violazione dei diritti fondamentali se la condizione lamentata è stata creata dal soggetto stesso. La decisione finale ha quindi respinto il ricorso del detenuto.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spazio minimo detenuto: quando la scelta personale esclude il risarcimento

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un’importante questione relativa al calcolo dello spazio minimo detenuto, chiarendo che la scelta consapevole del recluso sulla disposizione degli arredi può escludere il diritto al risarcimento per trattamento inumano. Questo principio sottolinea la responsabilità del detenuto nelle condizioni che egli stesso contribuisce a creare.

I Fatti del Caso

Un detenuto aveva presentato reclamo lamentando la violazione dei suoi diritti a causa delle condizioni detentive subite presso la Casa circondariale di Siracusa. In particolare, sosteneva che lo spazio personale a sua disposizione in cella fosse inferiore alla soglia minima di 3 metri quadri, configurando un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il Tribunale di Sorveglianza di Catania aveva respinto il suo reclamo. La questione centrale ruotava attorno alla configurazione della cella: originariamente predisposta con un letto a castello a tre posti, era stata modificata su richiesta dei detenuti stessi, che avevano preferito avere un letto a castello a due posti e un letto singolo separato. Questa scelta, tuttavia, riduceva lo spazio calpestabile all’interno della cella.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione dopo che il detenuto ha impugnato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, sostenendo un’errata applicazione della legge nel calcolo dello spazio vitale.

Lo spazio minimo detenuto e la decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il punto cruciale della sentenza è che, sebbene la giurisprudenza consolidi il principio secondo cui dal calcolo della superficie netta della cella (che nel caso di specie era di 12 mq) vada detratto l’ingombro degli arredi fissi come i letti a castello, non si può applicare lo stesso ragionamento a situazioni create volontariamente dai detenuti.

La Corte ha specificato che la presenza del letto singolo, accanto a quello a castello, non derivava da una scelta dell’amministrazione penitenziaria, ma da una precisa richiesta dei reclusi. Pertanto, essi non possono successivamente invocare, in maniera strumentale, la riduzione dello spazio da loro stessi causata per ottenere un risarcimento.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si basano su un principio di auto-responsabilità e di non contraddizione. I giudici hanno chiarito che la tutela contro i trattamenti inumani e degradanti non può essere utilizzata per trarre vantaggio da una condizione che il soggetto ha contribuito attivamente a determinare.

La Corte ha argomentato che consentire al detenuto di invocare la violazione dello spazio minimo detenuto in seguito a una propria scelta configurerebbe un uso strumentale e improprio del rimedio risarcitorio previsto dall’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario.

Inoltre, è stato evidenziato che la configurazione standard della cella, con un letto a castello a tre posti, avrebbe garantito uno spazio sufficiente. La scelta di modificarla è ricaduta interamente sui detenuti. La Corte ha anche ribadito che, anche nei periodi in cui lo spazio era compreso tra 3 e 4 metri quadri, la presenza di “fattori compensativi” – come luce naturale, ricircolo d’aria, adeguate condizioni igieniche e un congruo numero di ore fuori dalla cella – era sufficiente a escludere una violazione della Convenzione EDU.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza introduce un importante corollario al principio del calcolo dello spazio vitale in carcere. Se da un lato resta fermo il diritto del detenuto a uno spazio non inferiore a 3 metri quadri, dall’altro si stabilisce che tale diritto non può essere invocato se la sua violazione deriva da una scelta libera e consapevole del recluso stesso. La decisione rafforza l’idea che i diritti fondamentali debbano essere tutelati contro le imposizioni dell’autorità, ma non possono diventare uno strumento per contestare le conseguenze delle proprie scelte, anche in un contesto restrittivo come quello carcerario. Per l’amministrazione penitenziaria, ciò significa che la configurazione standard degli arredi deve sempre rispettare i limiti di legge, ma non è responsabile delle modifiche richieste dagli occupanti della cella.

Come si calcola lo spazio minimo detentivo disponibile per un recluso?
Dallo spazio totale della cella, al netto del bagno, si sottrae l’ingombro degli arredi fissi, come i letti a castello. Lo spazio rimanente, diviso per il numero di detenuti, deve essere di almeno 3 metri quadri.

La scelta di un detenuto sulla disposizione dei mobili in cella può influire sul suo diritto al risarcimento?
Sì. Secondo questa sentenza, se la riduzione dello spazio personale sotto la soglia minima è causata da una richiesta o scelta del detenuto (come smontare un letto a castello per avere un letto singolo), questi non può successivamente chiedere un risarcimento per tale condizione.

Cosa sono i ‘fattori compensativi’ e quando vengono considerati?
I ‘fattori compensativi’ sono elementi che migliorano la qualità della vita detentiva, come la presenza di luce naturale e aria, buone condizioni igieniche, e un adeguato numero di ore trascorse fuori dalla cella. Vengono presi in considerazione quando lo spazio pro capite è compreso tra 3 e 4 metri quadri per valutare se, nel complesso, le condizioni di detenzione violino o meno il divieto di trattamenti inumani.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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