Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 636 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 636 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 25/09/1974
avverso l’ordinanza del 17/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 marzo 2022 il Magistrato di sorveglianza di Siracusa aveva accolto il reclamo proposto da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 35ter Ord. pen., in riferimento al periodo di detenzione da lui sofferto nella Casa circondariale di Catania INDIRIZZO e aveva rigettato la richiesta di risarcimento per violazione dell’art. 3 CEDU in relazione alle condizioni detentive patite, dal 13 gennaio 2017 al 5 luglio 2021, presso la Casa circondariale di Siracusa.
1.1. Con successivo reclamo, COGNOME aveva contestato la decisione, lamentando che la misurazione della camera detentiva mal si conciliava con i provvedimenti adottati dal Magistrato di sorveglianza di Siena e dal Tribunale di sorveglianza di Firenze avverso i reclami proposti da due detenuti ospitati nelle medesime condizioni e censurando, inoltre, la generica valutazione delle condizioni di detenzione compiuta dal Magistrato di sorveglianza. Con ordinanza del 26 ottobre 2022, il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva respinto il reclamo, rilevando come dalle tabelle emergesse che COGNOME aveva avuto a disposizione uno spazio superiore ai 3 mq, godendo, «quali fattori compensativi», di luce naturale e di ricircolo d’aria, assicurati dalle finestre, nonché di adeguate condizioni igieniche e di un congruo numero di ore fuori dalla camera detentiva.
1.1. Con sentenza in data 5 maggio 2023, la Corte di cassazione annullò la predetta ordinanza per mancanza di motivazione, in quanto il Tribunale non aveva risposto agli analitici rilievi svolti in sede di reclamo e, in particolare, non ave raffrontato i dati forniti dall’Amministrazione con i due provvedimenti sopraindicati, adottati dalla Magistratura di sorveglianza in situazioni apparentemente analoghe.
1.2. Con ordinanza in data 17 aprile 2024, il Tribunale di sorveglianza di Catania ha nuovamente rigettato il reclamo proposto nell’interesse di COGNOME Secondo il Collegio, dall’informativa della Casa circondariale di Siracusa del 23 marzo 2024 era emerso che le camere detentive da lui occupate nel periodo in valutazione (identificate con i nn. 7, 9, 11 e 12) misuravano, al netto del bagno e della cucina, 12 mq e che egli aveva condiviso lo spazio, al massimo, con altri due detenuti soltanto in alcuni periodi (dal 13 gennaio 2017 al 29 giugno 2018, dal 4 luglio 2018 al 20 agosto 2018, dal 2 novembre 2018 al 6 marzo 2019, dal 12 marzo 2019 al 17 aprile 2021; dal 20 aprile 2021 al 21 luglio 2021; dal 24 luglio 2021 al 14 settembre 2021 e dall’I. novembre 2022 al 18 novembre 2022) e che, anzi, nei restanti periodi, in quell’istituto aveva goduto di uno spazio certamente superiore ai 3 mq, essendo stato ristretto con un solo compagno e persino da solo.
Inoltre, quanto alle ordinanze indicate, le dimensioni della camera di detenzione erano state ivi ritenute pari a 12 mq, mentre secondo il Tribunale doveva considerarsi, quanto alla cella n. 9, che erano presenti una branda a due
letti e un letto singolo all’interno delle celle e che ciò era dovuto a una scelta de detenuti, atteso che la configurazione standard della camera prevedeva la presenza di un unico letto a castello con tre postazioni, sicché la circostanza che lo spazio fosse inferiore ai 3 mq non era imputabile all’Amministrazione.
2. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 35-ter Ord. pen., nonché la mancanza della motivazione in relazione alla dimensione degli spazi per potersi «muovere liberamente» all’interno della camera di pernottamento. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. che il Tribunale di sorveglianza etneo abbia ritenuto che il calcolo operato dai Giudici toscani fosse errato, in quanto operato escludendo, oltre alla superfice del bagno, anche quella della cucina. Tuttavia, ove si intendesse computare, ai fini della libertà di movimento, anche lo spazio del vano cucina, si sarebbe dovuto procedere alla verifica dello spazio effettivamente lasciato alla libertà di movimento, tenendo conto dell’esistenza o meno di elementi di ingombro «tendenzialmente fissi» di ostacolo alla riconduzione dello spazio minimo ·detentivo.
In ogni caso, l’asserzione secondo la quale il «cubicolo» nel quale è stato ospitato COGNOME sarebbe stato adibito a ospitare ordinariamente tre detenuti andrebbe verificata alla luce dell’altezza della camera di pernottamento, onde verificare se l’ultimo livello dell’impilatura a tre brande consentisse a chi occupava uno spazio di vivibilità sufficiente anche durante le ore notturne. Peraltro, i dati riportati nella tabella dell’Amministrazione deporrebbero nel senso che la predisposizione degli arredi di tutte le camere detentive presenti nel blocco n. 35 dell’istituto penitenziario di Siracusa fosse volta a ospitare due persone: in particolare la presenza standardizzata di due armadietti indicherebbe che il letto a castello era predisposto – in ordinario – per ospitare due soli detenuti.
Quanto al tentativo dell’Amministrazione di ricondurre alla «precisa scelta» del detenuto lo smontaggio del letto a castello, ordinariamente predisposto a «tre piazze», così sottraendo una consistente porzione dello spazio di movimento, si sostiene l’evidente irragionevolezza di assegnare al detenuto l’opportunità di precostituire la lesione del proprio diritto. Al detenuto sarebbe affidata la scelta d sistemarsi sulla branda collocata in vetta a un “castello” che ne dovrebbe contenere tre, ovvero collocarla separatamente al suolo per ridurre gli spazi di movimento, riconducendolo al di sotto del limite dei 3 mq.
Altrettanto censurabile sarebbe, infine, l’obiter del Tribunale quanto alla asserita «amovibilità» del letto singolo, che non andrebbe, dunque, conteggiato in quanto arredo non «tendenzialmente fisso», bensì «mobile»; interpretazione stata ormai superata dal Supremo Collegio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Con la pronuncia rescindente il Tribunale di sorveglianza di Catania era stato investito di un nuovo scrutinio sulla questione relativa alla dedotta violazione del divieto di trattamento inumano o degradante presso la Casa circondariale di Siracusa, sollecitando in particolare un confronto quanto ricavabile dalle tabelle sinottiche fornite dall’Amministrazione penitenziaria e il contenuto di alcuni provvedimenti della Magistratura di sorveglianza, che in relazione alla detenzione patita da altri reclusi in condizioni asseritamente analoghe avevano, invece, ritenuto sussistente una lesione dei diritti fondamentali di tali soggetti.
2.1. Nell’ordinanza emessa in sede rescissoria il Tribunale ha, in primo luogo, ricordato che l’originario reclamo riguardava la sola camera detentiva contrassegnata al n. 9 del blocco 25 della Casa circondariale di Siracusa; e ha, quindi, dato atto che le camere detentive nelle quali COGNOME era stato allocato durante il periodo oggetto della richiesta (v. supra quanto analiticamente riportato nel § 1.2 del «ritenuto in fatto»), identificate, oltre che nella n. 9, in quelle d ai nn. 7, 11 e 12, misuravano, al netto del bagno e della cucina, 12 metri quadri. Inoltre, l’ordinanza impugnata ha evidenziato come, nel suddetto arco temporale, il ricorrente fosse stato, talvolta, detenuto da solo o con un’altra persona, per arrivare a concludere che lo spazio disponibile all’interno di esse fosse finanche superiore ai 4 metri quadri.
Così definito il perimetro del nuovo giudizio, il provvedimento ha ulteriormente circoscritto l’ambito dello scrutinio, evidenziando che nella camera detentiva n. 9, cui si riferisce, come detto, la nuova valutazione, erano presenti una branda a due letti e un letto singolo e che, dunque, la superficie netta, calcolata escludendo quella occupata dalla sola branda a due letti, era superiore, anche nel periodo in cui i detenuti erano in 3, al limite dei 3 metri quadri. Tale valutazione non è risultata contraddetta dall’analisi dei provvedimenti emessi dal Magistrato di sorveglianza di Siena e dal Tribunale di sorveglianza di Firenze, atteso che anch’essi individuavano, per le camere detentive ove erano stati ristretti i reclusi, una superficie pari a 12 metri quadri (si veda, sul punto, quanto riportato alla pag. 2 dello stesso ricorso proposto nell’interesse di COGNOME).
3. Rileva, a questo punto, il Collegio che il provvedimento impugnato presenta una certa vaghezza e imprecisione in alcuni passaggi, in particolare laddove non chiarisce se l’indicata perimetrazione temporale abbia sempre riguardato la camera n. 9 o anche quelle indicate con i nn. 7, 11 e 12; né se COGNOME sia sempre stato ristretto, nella camera n. 9, insieme a due persone o se, al contrario, in alcuni periodi vi sia stato ristretto da solo o con un’altra persona. Tuttavia, al là di tali aspetti, ciò che rileva è il fatto che, secondo la valutazione del Tribunal anche nel periodo in cui vi è stato assegnato insieme ad altre due persone (ché negli altri casi lo spazio pro capite disponibile era pacificamente superiore ai 4 metri quadri) lo spazio a sua disposizione fosse superiore ai 3 mq.
Nel compiere tale valutazione, diversamente da quanto dedotto in ricorso, il Tribunale non ha tenuto conto dello spazio destinato al vano cucina, ma ha proceduto allo scomputo di esso, come si legge nel terzo capoverso a pag. 2 del provvedimento impugnato, ove il Collegio di merito ha riportato che «le celle occupate dal COGNOME (nn. 7, 9, 11 e 12) misurano al netto del bagno e della cucina mq. 12». Computo confermato ulteriormente, a pag. 3, laddove si ammette che scomputando lo spazio occupato dal letto a castello e dal letto singolo, lo spazio residuo sarebbe stato inferiore ai 3 metri quadri pro capite. E del resto il computo dei 12 metri quadri corrisponde a quanto indicato nelle ordinanze del Magistrato di sorveglianza di Siena e del Tribunale di sorveglianza di Firenze che la sentenza rescindente aveva chiesto di valutare.
Rispetto a tale dato di partenza, il Tribunale ha poi proceduto allo scomputo degli arredi inamovibili e, quindi, dello spazio occupato dal letto a castello coerentemente con l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i lett castello (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso, Rv. 28043:3 01). Il Collegio dì merito non ha, invece, proceduto all’ulteriore scomputo del letto singolo che, secondo l’incontestata indicazione riportata nell’ordinanza, era stato posizionato all’interno della camera detentiva su richiesta dei detenuti in essa allocati.
In proposito, se è vero che il consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità ha, negli anni, ritenuto scomputabile il solo ingombro costituito dal lett a castello, la giurisprudenza di questa Corte è recentemente pervenuta a un differente approdo, giungendo ad affermare che in tema di rimedi risarcitori ex art. 35-ter Ord. pen. nei confronti di detenuti o internati, ai fini dell
determinazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati da assicurare affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall’art. 3 della Convenzione EDU, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, non deve essere computato lo spazio occupato dal letto singolo del soggetto ristretto, in quanto arredo tendenzialmente fisso al suolo, non suscettibile, per il suo ingombro o peso, di facile spostamento da un punto all’altro della cella e tale da compromettere il movimento agevole del predetto al suo interno (ex plurimis Sez. 1, n. 32412 del 20/06/2024, COGNOME, Rv. 286659 – 01).
Tuttavia, come anticipato, la presenza, accanto alla branda a due letti, di un letto singolo, è stata dovuta non a una scelta dell’Amministrazione, ma a una richiesta delle persone ristrette in quella camera detentiva, le quali hanno preferito tale configurazione a quella che prevedeva la presenza di una branda a tre letti, originariamente prevista. Una scelta che, secondo la motivazione del Tribunale, non può successivamente consentire agli occupanti della camera detentiva di utilizzare il dato della presenza del letto singolo per invocare, ex post e in maniera strumentale, l’assenza di uno spazio sufficiente a garantire un adeguato movimento corporeo all’interno di quell’ambiente detentivo.
Sul punto, a fronte di tale argomento, la difesa ha eccepito che il provvedimento sarebbe censurabile nella parte in cui non avrebbe verificato se l’ultimo livello della «innpilatura a tre brande consenta a chi la occupa uno spazio di vivibilità sufficiente anche durante le ore notturne». Tale osservazione, che peraltro pare funzionale più che altro a mettere in dubbio l’affermazione del Tribunale secondo cui la camera detentiva in considerazione, la n. 9, fosse adibita «a ospitare ordinariamente tre detenuti». Osserva, tuttavia, il Collegio che tale profilo appare comunque fuorviante ai fini del presente giudizio, in cui ciò che deve essere valutato, alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU, a loro volta interpretati dalla giurisprudenza interna, è unicamente se lo spazio disponibile per ciascun detenuto presente nella camera di cui trattasi garantisse una adeguata libertà di movimento.
Nel caso in esame, la superficie della camera detentiva già indicata e corrispondente a quanto accertato anche nelle ordinanze del Magistrato di sorveglianza di Siena e del Tribunale di sorveglianza di Firenze, pari a 12 metri quadri, al netto dello spazio occupato dal letto a castello, pari a 1,84 metri quadri, consentiva a ciascun occupante della camera di fruire di uno spazio minimo compreso tra i 3 e i 4 metri quadri, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, impone di verificare l’eventuale presenza di «fattori compensativi», costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, i quali concorrono, unitamente ad altri di carattere negativo,
alla valutazione unitaria delle condizioni complessive di detenzione (Sez. U, n. 6551 del 24/09/2020, dep. 2021, Commisso, Rv. 280433 – 02).
In proposito, va peraltro rilevato che già il primo provvedimento, sul punto non avversato dall’odierno ricorso, evidenziava la presenza, «quali fattori compensativi», di luce naturale e di ricircolo d’aria, assicurati dalle finestre, nonché di adeguate condizioni igieniche e di un congruo numero di ore fuori dalla camera detentiva, a riprova che sul versante dei fattori compensativi, l’offerta trattamentale e le condizioni complessive della detenzione erano adeguate e permettevano di escludere, pur in presenza di uno spazio pro capite comunque contenuto, compreso tra i 3 e i 4 metri quadri, una violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti. Con ciò dimostrandosi l’infondatezza delle censure svolte in ricorso.
Né può accogliersi l’ulteriore doglianza difensiva in ordine al mancato scomputo di ulteriori fissi come il lavabo, stante la natura fattuale della relativa critica, introduce riferimenti a dati che il provvedimento impugnato non riporta, che non sono dunque controllabili e che, in ogni caso, non rientrano nel perimetro del giudizio di legittimità, limitato alla sola violazione di legge.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 23 ottobre 2024