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Spazio minimo detenuto: cosa si calcola nella cella?

Un detenuto ha contestato le condizioni di detenzione, sostenendo che lo spazio minimo a sua disposizione fosse inferiore a 3 mq a causa di armadietti pensili e un termosifone. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, chiarendo i criteri per il calcolo dello spazio minimo detenuto. La sentenza stabilisce che gli arredi fissati al muro, come i termosifoni, non riducono la superficie calpestabile e utilizzabile e quindi non vanno detratti. Viene confermato che lo spazio disponibile per il ricorrente era superiore alla soglia minima, escludendo la violazione dei diritti umani.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spazio minimo detenuto: quali arredi si detraggono dal calcolo dei 3 metri quadrati?

La dignità della persona detenuta è un principio cardine del nostro ordinamento, tutelato a livello costituzionale ed europeo. Un elemento cruciale per garantire tale dignità è assicurare uno spazio minimo detenuto adeguato all’interno della cella. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 11561 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui criteri di calcolo di tale spazio, offrendo chiarimenti importanti su quali arredi debbano essere considerati nella misurazione.

I fatti del caso: la contestazione dello spazio in cella

Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un detenuto che lamentava di aver subito un trattamento inumano e degradante, in violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), durante un periodo di carcerazione tra il 2016 e il 2018.

Secondo il ricorrente, lo spazio individuale a sua disposizione nella cella, condivisa con un altro recluso, era inferiore al limite minimo di tre metri quadrati. Egli sosteneva che, nel calcolo della superficie utile, il Tribunale di Sorveglianza non avesse correttamente detratto l’ingombro di alcuni arredi, in particolare degli stipetti pensili e del termosifone. Tale detrazione, a suo dire, avrebbe ridotto lo spazio calpestabile al di sotto della soglia di dignità stabilita dalla giurisprudenza europea.

La regola dello spazio minimo detenuto e i principi della CEDU

La questione dello spazio minimo in cella è regolata dall’art. 35-ter dell’Ordinamento Penitenziario, introdotto in Italia a seguito della celebre condanna nel caso Torreggiani e altri contro Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU). Questa giurisprudenza ha stabilito che disporre di uno spazio personale inferiore a tre metri quadrati in una cella collettiva crea una “forte presunzione” di violazione dell’art. 3 della CEDU, che vieta i trattamenti inumani o degradanti.

Come si calcola lo spazio disponibile?

Il metodo di calcolo consolidato prevede che dalla superficie totale della cella vada esclusa l’area occupata dai servizi sanitari. Per quanto riguarda gli arredi, la giurisprudenza ha chiarito che devono essere detratti solo quelli stabilmente infissi che limitano in modo significativo il normale movimento. Esempi tipici sono i letti, specialmente quelli “a castello”, che rendono inutilizzabile l’area sottostante. Al contrario, gli arredi mobili o facilmente amovibili (come sgabelli o tavolini) non vanno sottratti.

Le motivazioni: la decisione della Cassazione sullo spazio minimo detenuto

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, basandosi su una precisa applicazione dei principi consolidati.

Nel caso di specie, la direzione del carcere aveva certificato che la superficie disponibile nella cella, già al netto di tutti gli arredi (compresi gli stipetti pensili menzionati dal ricorrente), era di 6,55 metri quadrati. Essendo la cella occupata da due persone, ciascun detenuto disponeva di uno spazio superiore a tre metri quadrati (circa 3,27 mq), superando così la soglia critica.

La Corte ha poi affrontato specificamente la questione del termosifone, sollevata dal ricorrente. Sul punto, i giudici hanno osservato che:

1. Il ricorrente non aveva fornito elementi specifici sull’incidenza del calorifero sullo spazio disponibile.
2. In ogni caso, i termosifoni sono generalmente fissati al muro e, pertanto, non diminuiscono la superficie calpestabile ed utilizzabile della cella.

Di conseguenza, anche questo elemento non poteva essere detratto dal calcolo dello spazio vitale.

Conclusioni: le implicazioni pratiche della sentenza

La pronuncia della Cassazione rafforza un criterio pragmatico e funzionale per la valutazione dello spazio minimo detenuto. Il principio guida è quello di garantire la possibilità di un “normale movimento” all’interno della cella. Pertanto, ai fini del calcolo, rilevano solo gli ingombri che effettivamente riducono la superficie del pavimento utilizzabile. Gli elementi fissati alle pareti, come mensole, armadietti pensili o caloriferi, che non poggiano a terra, sono considerati ininfluenti. Questa decisione fornisce un’utile linea guida per le amministrazioni penitenziarie e per i giudici di sorveglianza, contribuendo a definire con maggiore certezza i contorni di una detenzione rispettosa della dignità umana.

Come si calcola lo spazio minimo di 3 metri quadrati a disposizione di un detenuto?
Si calcola partendo dalla superficie della cella che assicura il normale movimento. Da questa vanno esclusi l’area dei servizi sanitari e l’ingombro degli arredi tendenzialmente fissi al suolo che impediscono l’uso dello spazio, come i letti (in particolare quelli a castello).

Gli armadietti pensili e i termosifoni devono essere detratti dal calcolo dello spazio disponibile in cella?
Secondo questa sentenza, no. Il termosifone, essendo fissato al muro, non diminuisce la superficie calpestabile e utilizzabile. Allo stesso modo, gli arredi pensili che non poggiano sul pavimento non vengono considerati ai fini della riduzione dello spazio vitale, il cui calcolo si basa sull’area di movimento a terra.

Cosa succede se lo spazio per un detenuto è inferiore a 3 metri quadrati?
Si crea una ‘forte presunzione’ di violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti. Tale presunzione può essere superata solo se ricorrono congiuntamente specifici fattori compensativi, quali la breve durata della detenzione, la sufficiente libertà di movimento fuori dalla cella e condizioni detentive generali dignitose.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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