Spaccio Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i criteri di inammissibilità del ricorso, in un caso riguardante lo spaccio di stupefacenti. La decisione sottolinea come la manifesta infondatezza e la riproposizione di censure già esaminate nei gradi di merito portino a una pronuncia di inammissibilità, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per reati legati agli stupefacenti. L’imputato contestava l’attribuzione a suo carico della sostanza illecita rinvenuta nell’appartamento in cui si trovava. Sosteneva, inoltre, che sussistessero i presupposti per il riconoscimento di un’ipotesi attenuata del reato.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’imputato era stato visto gettare la sostanza stupefacente dal balcone. Inoltre, all’interno della sua camera erano stati rinvenuti sia una somma di denaro, ritenuta provento dell’attività di spaccio, sia la strumentazione necessaria per il trattamento della droga. Questi elementi costituivano un quadro probatorio solido a suo carico.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno analizzato distintamente i due motivi di ricorso presentati dalla difesa, ritenendoli entrambi non meritevoli di accoglimento. Di conseguenza, oltre a confermare la decisione di merito, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni sullo spaccio di stupefacenti
La Corte ha ritenuto il primo motivo di ricorso, relativo alla responsabilità dell’imputato, manifestamente infondato. Le prove raccolte erano state giudicate chiare e inequivocabili: l’imputato era stato l’autore materiale del gesto di gettare la droga dal balcone, e il ritrovamento del denaro e degli strumenti nella sua stanza collegava direttamente la sostanza alla sua persona e all’attività illecita. Non vi erano, quindi, elementi per dubitare della sua colpevolezza.
Per quanto riguarda il secondo motivo, la Cassazione ha evidenziato come esso fosse meramente riproduttivo di censure già adeguatamente vagliate e respinte dalla Corte d’Appello. La richiesta di applicare l’ipotesi attenuata era stata correttamente negata sulla base di plurimi elementi: l’elevato numero di dosi ricavabili, la presenza di diverse tipologie di sostanze, l’organizzazione dell’attività e lo ‘spessore’ complessivo dell’attività illecita riconducibile personalmente al ricorrente. In sostanza, il ricorso non presentava argomenti nuovi o diversi che potessero mettere in discussione la logicità e la correttezza della decisione impugnata.
Conclusioni
Questa ordinanza offre un importante spunto di riflessione sui limiti del ricorso per cassazione. La Suprema Corte non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità. Pertanto, un ricorso che si limiti a riproporre le stesse questioni di fatto già decise, senza evidenziare vizi di legge o di motivazione (come illogicità o contraddittorietà), è destinato a essere dichiarato inammissibile. La decisione conferma che in presenza di un quadro probatorio solido, come nel caso di specie, e di una motivazione coerente da parte dei giudici di merito, le possibilità di successo di un ricorso in Cassazione sono estremamente ridotte, specialmente se i motivi sono generici o manifestamente infondati.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano considerati manifestamente infondati e riproduttivi di censure già correttamente esaminate e respinte dal giudice di merito, senza introdurre nuovi vizi di legittimità.
Quali prove sono state considerate decisive per attribuire la responsabilità del reato all’imputato?
Le prove decisive sono state l’essere stato visto gettare la sostanza stupefacente dal balcone, il rinvenimento nella sua camera di una somma di denaro ritenuta provento dello spaccio e della strumentazione per il trattamento della droga.
Per quale motivo non è stata concessa l’ipotesi attenuata del reato?
L’ipotesi attenuata non è stata concessa a causa della gravità complessiva del fatto, desunta dall’elevato numero di dosi ricavabili, dalla pluralità delle sostanze, dall’organizzazione dell’attività e dallo spessore dell’attività illecita facente capo direttamente al ricorrente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5746 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5746 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 01/01/1991
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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OSSERVA
Ritenuto che quanto alla responsabilità in ordine al reato contestato il primo motivo è manifestamente infondato rispetto alla attribuzione all’imputato della sostanza stupefacente rinvenuta nell’appartamento, che proprio l’imputato era <fiuto visto gettare dal balcone, essendo rinvenuta nella camera del ricorrente sia la somma verosimile provento della pregressa illecita unitaria attività di spaccio sia la strumentazione per il suo trattamento;
Ritenuto che il secondo motivo è riproduttivo di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito / che ha escluso ineccepibilmente la ricorrenza della ipotesi attenuata sul rilievo dell'elevato numero di dosi ricavabili, dalla pluralità di sostanze e dalla organizzazione della attività, oltre che dallo spessore della attività illecita facente personalmente capo al ricorrente;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18.11.2024