Spaccio Stupefacenti: Quando gli Indizi Diventano Prova?
La distinzione tra possesso di droga per uso personale e spaccio di stupefacenti è una delle questioni più delicate e frequenti nelle aule di tribunale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su quali elementi indiziari, nel loro complesso, possano legittimamente fondare una condanna per spaccio, e chiarisce i limiti del sindacato della Suprema Corte sulla valutazione delle prove.
I Fatti del Caso: Non Solo Droga
Il caso esaminato riguardava un soggetto condannato in Corte d’Appello per il reato di spaccio di stupefacenti. La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a provare l’intenzione di vendere la droga, ma solo un possesso per consumo personale.
Tuttavia, la condanna non si basava unicamente sulla quantità di sostanza detenuta. I giudici di merito avevano considerato un quadro indiziario più ampio e complesso, composto da tre elementi principali:
1. La diversità delle sostanze: L’imputato possedeva sia dosi di cocaina che stecche di hashish.
2. Il possesso di denaro: Nelle tasche dei pantaloni erano state trovate banconote di piccolo taglio, arrotolate, una modalità compatibile con l’incasso minuto tipico dello spaccio al dettaglio.
3. Il comportamento: Alla vista dei militari, l’individuo aveva tenuto un comportamento elusivo, interpretato come un tentativo di sottrarsi al controllo.
La Valutazione della Corte d’Appello sul tema dello Spaccio Stupefacenti
La Corte d’Appello aveva ritenuto che la combinazione di questi elementi fosse sufficiente a superare il ragionevole dubbio e a inferire con certezza la finalità di spaccio. Non si trattava di un singolo indizio, ma di una serie di circostanze convergenti che, lette insieme, raccontavano una storia diversa da quella del semplice consumatore.
La Diversa Tipologia di Sostanze
Il possesso di droghe di tipo diverso (in questo caso, uno stimolante come la cocaina e un cannabinoide come l’hashish) viene spesso considerato un indicatore della volontà di soddisfare le richieste di una platea più ampia di acquirenti, un comportamento tipico di chi vende e non di chi acquista per sé.
Il Denaro e il Comportamento
Allo stesso modo, il denaro di piccolo taglio e il comportamento sospetto sono stati visti come elementi che, uniti al resto, rafforzavano la tesi accusatoria. Un consumatore difficilmente avrebbe avuto bisogno di tenere il denaro in quel modo, né avrebbe avuto lo stesso motivo di evitare un controllo.
I Limiti del Ricorso in Cassazione
La difesa ha tentato di smontare questo quadro probatorio davanti alla Corte di Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo è fondamentale per comprendere il funzionamento del nostro sistema giudiziario: la Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si possono rivalutare i fatti e le prove. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.
Le Motivazioni della Decisione
Nel caso specifico, la Cassazione ha stabilito che le argomentazioni della difesa non rientravano nel numerus clausus (numero chiuso) dei motivi ammessi per il ricorso. L’imputato, infatti, non contestava una violazione di legge, ma chiedeva una nuova e diversa interpretazione delle prove (la tipologia di droga, i soldi, il comportamento). Questa attività di valutazione del fatto è riservata esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
I giudici supremi hanno riscontrato che la motivazione della sentenza d’appello era ‘congrua, esauriente ed idonea’, in quanto spiegava chiaramente e logicamente il percorso che aveva portato a ritenere provata la finalità di spaccio. Non essendoci vizi logici o giuridici, la decisione era insindacabile in sede di legittimità.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: la condanna per spaccio di stupefacenti può basarsi su un complesso di elementi indiziari, anche quando nessuno di essi, preso singolarmente, sarebbe decisivo. La diversità delle sostanze, il possesso di denaro contante in piccoli tagli e un comportamento sospetto sono tutti tasselli che, uniti, possono comporre un mosaico probatorio solido. Inoltre, viene confermato che la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, a meno che la motivazione di questi ultimi non sia palesemente illogica, contraddittoria o basata su un’errata applicazione della legge. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Quali elementi possono trasformare il possesso di droga in spaccio di stupefacenti agli occhi della legge?
Secondo la sentenza, non è solo la quantità, ma un insieme di indizi a provare lo spaccio. In questo caso sono stati determinanti: il possesso di diverse tipologie di sostanze (cocaina e hashish), il ritrovamento di banconote di piccolo taglio compatibili con la vendita al minuto e un comportamento elusivo teso a evitare il controllo delle forze dell’ordine.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un caso di spaccio di stupefacenti?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono compiti riservati ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione può essere presentato solo per violazioni di legge o per vizi logici della motivazione, non per ottenere una nuova valutazione delle prove.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, poiché si ritiene che abbia avviato il procedimento senza fondati motivi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26665 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26665 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TRANI DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/05/2022 della CORTE APPELLO di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con è stato condannato per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.309/1990, deduce unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in ordine all’uso dello stupefacente.
Il ricorso è basato su motivi che non rientrano nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzio riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono in in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a da dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha inferito la sussistenza della finalità di spaccio dalla diversa sostanza stupefacente detenuta ( tre dosi di cocaina di un grammo ciascuna e due ste hashish di grammi 5,4), dal possesso di banconote di piccolo taglio, arrotolate nei p compatibili con lo spaccio al minuto della sostanza, dal comportamento elusivo as dall’imputato alla vista dei militari. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appel enucleabile una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata, avendo i giudici di sec preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla decisione attrav disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali, in nessun modo censu sotto il profilo della correttezza logica, e sulla base di apprezzamenti di fatto non q in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in quest
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituz rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abb il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibili declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. pro l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle amm Così deciso in Roma il lo marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente