Spaccio per Necessità: Quando la Povertà Non Giustifica il Reato
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta una questione delicata e ricorrente: può lo stato di indigenza giustificare la commissione di un reato come la detenzione e lo spaccio di stupefacenti? La Corte risponde con un secco no, chiarendo i confini della scriminante dello stato di necessità e confermando che lo spaccio per necessità non trova fondamento nel nostro ordinamento giuridico.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in Corte d’Appello per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio, specificamente per il possesso di 11 involucri di cocaina, corrispondenti a circa 64 dosi medie. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali:
1. La mancata applicazione della causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 54 c.p.), sostenendo di aver agito spinto da una grave situazione di bisogno economico.
2. Un vizio di motivazione riguardo al trattamento sanzionatorio applicato.
In sostanza, la tesi difensiva si fondava sul concetto di “spaccio per necessità”, cercando di inquadrare la condotta illecita come l’unica via possibile per far fronte a uno stato di povertà.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando completamente le argomentazioni della difesa. I giudici hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su una chiara interpretazione dei requisiti dello stato di necessità e sulla valutazione della congruità della pena inflitta.
Le Motivazioni: Perché lo Spaccio per Necessità non è una Scriminante
La Corte ha smontato la tesi difensiva con argomentazioni precise e consolidate, che meritano un’analisi approfondita.
L’Insussistenza dello Stato di Necessità
Il cuore della motivazione risiede nella spiegazione del perché lo spaccio per necessità non può essere ricondotto alla scriminante prevista dall’art. 54 del codice penale. La Corte ha evidenziato che:
* Il pericolo non è “grave e imminente”: Lo stato di indigenza, per quanto difficile, non configura quel pericolo di danno grave alla persona richiesto dalla norma. La povertà è una condizione che può essere affrontata con mezzi leciti.
* Il pericolo è “altrimenti evitabile”: Esistono sempre alternative legali per superare le difficoltà economiche, come la richiesta di aiuto alle istituzioni pubbliche o la ricerca di un lavoro lecito. La commissione di un reato non è mai l’unica strada percorribile.
* Interessi superiori: La norma che punisce lo spaccio di droga (art. 73 d.P.R. 309/1990) protegge interessi “superindividuali”, come la salute pubblica e la sicurezza collettiva. Questi interessi non possono essere sacrificati per soddisfare il bisogno economico di un singolo individuo.
Di conseguenza, la Corte d’Appello ha agito correttamente escludendo l’applicazione della scriminante e affermando la piena responsabilità penale dell’imputato.
La Valutazione del Trattamento Sanzionatorio
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla pena, è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ritenuto la decisione della Corte territoriale “insindacabile” in sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivata. La pena di 8 mesi di reclusione e 1400 euro di multa è stata considerata congrua in relazione a:
* Gravità del fatto: Il possesso di una quantità di cocaina sufficiente per 64 dosi medie.
* Personalità dell’imputato: La presenza di un precedente specifico per reati simili.
* Atteggiamento processuale: Il mancato riconoscimento delle proprie responsabilità, arrivando a sostenere di aver trovato la droga in vestiti rinvenuti per strada. Questo atteggiamento ha giustificato anche il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale del diritto penale: le difficoltà economiche, per quanto gravi, non possono essere invocate come giustificazione per commettere reati, specialmente quelli che ledono beni giuridici di primaria importanza come la salute pubblica. La decisione chiarisce che il sistema giuridico offre strumenti leciti per affrontare la povertà e che il ricorso all’illegalità non solo non è giustificato, ma comporta conseguenze penali severe. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia è un’ulteriore conferma della linea rigorosa della giurisprudenza in materia di spaccio per necessità, escludendo categoricamente che le difficoltà economiche possano annullare l’antigiuridicità di condotte così dannose per la collettività.
Vendere droga per far fronte a difficoltà economiche è considerato ‘stato di necessità’?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che lo stato di indigenza non integra i requisiti della scriminante dello stato di necessità, poiché il pericolo non è qualificabile come ‘grave e imminente’ alla persona e, soprattutto, esistono sempre alternative lecite per far fronte al bisogno economico, come rivolgersi alle istituzioni o cercare un lavoro legale.
Perché il pericolo di indigenza non è ‘altrimenti evitabile’ secondo la Corte?
Perché, a differenza di un pericolo improvviso e inevitabile (come una calamità naturale o un’aggressione), la condizione di povertà può essere affrontata attraverso canali legali e sociali. La legge presuppone che un individuo possa sempre ricorrere all’aiuto delle istituzioni o cercare un lavoro lecito, rendendo la scelta di delinquere non necessitata.
Quali fattori hanno portato alla conferma della pena e al diniego delle attenuanti generiche?
La pena è stata confermata perché ritenuta congrua rispetto alla gravità del fatto (64 dosi di cocaina) e alla personalità dell’imputato (un precedente specifico). Le attenuanti generiche sono state negate a causa dell’atteggiamento dell’imputato, che ha negato ogni responsabilità e ha fornito una giustificazione inverosimile, dimostrando una scarsa volontà di revisione critica della propria condotta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8739 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8739 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 04/01/1988
avverso la sentenza del 24/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R.309/1990, deducendo con il primo motivo violazione di legge vizio della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità, non essendo s applicata la scriminante di cui all’art. 54 cod.pen., e con il secondo vizio della motivazi ordine al trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Si osserva che il cosiddetto “spaccio per necessità”, inteso come la cessione di sostan stupefacenti per far fronte a uno stato di bisogno, non è configurabile, in quanto, a dell’applicazione della scriminante dello stato di necessità, il pericolo di indigenza qualificabile come “grave e imminente”, né “altrimenti evitabile”, sussistendo sempre del alternative lecite per far fronte al proprio stato di bisogno, come la richiesta di a istituzioni o il ricorso a lavori leciti, nonché in ragione dell’interesse tutelato dalla n all’art. 73 d.P.R.309/1990, che protegge interessi superindividuali.
Pertanto, correttamente, la Corte d’appello ha escluso la scriminante dello stato di necessità, affermato la penale responsabilità per la detenzione di 11 involucri contenenti cocaina pari a dosi medie.
Anche le determinazioni in ordine al trattamento sanzionatorio sono insindacabili in sede legittimità ove il giudice a quo abbia adeguatamente motivato. Nel caso in disamina La Cort territoriale ha ritenuto congrua rispetto alla gravità del fatto e la personalità dell’impu luce del precedente specifico la pena di 8 mesi di reclusione ed euro 1400 di multa, ritenendo non dover concedere le circostahze attenuanti · genetiche in relazione ll’atteggiamen dell’imputato, il quale ha negato la responsabilità, persino sostenendo di aver trovato la d tra i vestiti rinvenuti per strada.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a fàvore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2025
Il Consigliere estensora
Il Presidente