Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13159 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13159 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 02/06/1962
avverso la sentenza del 08/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del PM, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 26/04/2024 dal Tribunale di Roma nei confronti di NOME COGNOME con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed C 1.500,00 di multa, per il reato previsto dall’art.73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, sanzione così determinata previo riconoscimento della contestata recidiva, ritenuta equivalente alle concesse circostanze attenuanti generiche.
La Corte ha premesso che l’imputato, all’esito di un controllo effettuato il 12/07/2022 dai Carabinieri in servizio presso la Stazione di Roma – INDIRIZZO, aveva spontaneamente consegnato due involucri contenenti cocaina e hashish ed era altresì stato rinvenuto in possesso di due involucri contenenti eroina (rispettivamente idonei al ricavo di quattordici, nove e sei dosi medie singole).
Il Collegio ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’imputato aveva sostenuto la destinazione dello stupefacente a uso esclusivamente personale, in considerazione della diversa tipologia di sostanze nonché della mancata spiegazione della presenza del prevenuto sul luogo in cui era stato sottoposto a controllo; ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131bis cod.pen., in considerazione delle diverse tipologie di stupefacente e delle plurime condanne per fatti di analoga oggettività giuridica, tali da far ritenere abituale la condotta tenuta; ha ritenuto corretto il riconoscimento della contestata recidiva, dati i suddetti precedenti e non sindacabile il giudizio di bilanciamento operato dal Tribunale.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in punto di mancata assoluzione dell’imputato.
Sul punto, ha dedotto che la Corte territoriale aveva desunto la finalità di spaccio dalla sola diversità delle sostanze sequestrate, senza confrontarsi con le argomentazioni difensive spese sulla questione.
Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di motivazione e l’erronea applicazione della legge penale in punto di applicazione della contestata recidiva e della continuazione.
Ha dedotto che la Corte avrebbe applicato la recidiva sulla base dei precedenti dell’imputato, senza adeguatamente motivare in ordine alla eventuale natura
sintomatica del fatto in ordine alla pericolosità del reo, desunta sulla base delle sole quattro condanne precedentemente riportate; ha altresì dedotto l’illogicità della sentenza nella parte in cui non aveva applicato la pena nel minimo edittale e aveva invece applicato l’istituto della continuazione, attesa l’unicità della condotta ascritta.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il motivo attinente alla dedotta irrilevanza penale della condotta è inammissibile in quanto del tutto aspecifico.
Sul punto, fermo restando che la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e non è onere dell’imputato darne la prova, gravando invece sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (Sez. 6, n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614), va ricordato che la prova della destinazione della sostanza ad uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza (Sez. 3, n. 24651 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284842).
Nel caso di specie, la motivazione della Corte – coerente e priva di connotati di manifesta illogicità – ha dedotto la destinazione allo spaccio delle sostanze sequestrate sulla base degli elementi rappresentati dalla diversità delle sostanze e dalla mancata giustificazione della presenza dell’imputato sul posto in orario notturno.
Con tali argomentazioni la difesa del tutto omessa di confrontarsi incorrendo quindi nel correlativo vizio di aspecificità, in relazione all’art.581, comma 1, lett.d), cod.proc.pen..
Il secondo motivo è articolato su tre diversi profili, tutti da ritenersi inammissibili in quanto manifestamente infondati.
In ordine al riconoscimento della recidiva, va rilevato che – sul punto – è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa; con la specificazione che tale dovere risulta adempiuto
nel caso in cui, anche con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782), ovvero si dia comunque atto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130).
Nel caso di specie, la Corte ha dato atto – sia pure in modo stringato – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della circostanza aggravante essendo l’imputato un soggetto pluripregiudicato per fatti della medesima indole, di modo che il fatto ascritto doveva ritenersi come logica conseguenza di un percorso criminale già intrapreso.
In ordine alla dosimetria della pena, questa Corte ha avuto più volte modo di precisare che la graduazione della sanzione, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione – non sindacabile in sede di legittimità – è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017. COGNOME, Rv. 271243); essendosi altresì stato precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
Nel caso di specie, quindi, va rilevato come la pena concretamente inflitta sia stata applicata dai giudici di merito in misura prossima al minimo edittale, ragione per la quale non può ravvisarsi alcuna carenza motivazionale sullo specifico punto.
Quanto alla dedotta viorazione di legge derivante dall’applicazione dell’istituto della continuazione interna (pure originariamente contestata dal p.m.), va rilevato che i giudici di merito – come si ricava agevolmente dalla lettura delle motivazioni – non hanno in alcun modo applicato l’istituto medesimo, facendo quindi coerente applicazione del principio in base al quale la fattispecie del fatto di lieve entità di cui, all’art. 73, comma 5, T.U. stup., deve essere configurata come ipotesi autonoma di reato, con una pena unica ed indifferenziata, quanto alla tipologia di
stupefacente, rispetto a quella delineata dall’art. 73, comma 1, del medesimo decreto (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Preside e