Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11982 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11982 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato in Gambia il DATA_NASCITA
NOME, nato in Gambia il DATA_NASCITA
NOME, nato in Gambia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/1/2023 emessa dalla Corte di appello di Bologna visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi i ricorsi inammissibili; udito l’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, nonché in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME e NOME, il qua chiede l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello, confermando parzialmente la sentenza di primo grado,
assolveva gli imputati da alcune delle imputazioni, ritendo la responsabilità di NOME e NOME in ordine a plurime cessioni di stupefacenti, ritenute aggravate dalla minore età degli acquirenti, mentre nei confronti di NOME veniva integralmente confermata la sentenza di condanna emessa in relazione all’unico capo di imputazione contestato.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, deduce vizio della motivazione in ordine alla ritenuta commissione del fatto, stante l’assenza di prove certe, non essendo a tal riguardo sufficiente il riconoscimento operato da uno degli acquirenti, il quale si limitava a riferire che NOME era tra i ragazzi presenti nel luogo ove veniva svolta l’attività di spaccio, senza specificare se il ricorrente avesse o meno ceduto droga.
2.2. Con il secondo motivo, deduce vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nonostante non sia stato accertato il quantitativo oggetto delle cessioni, non essendo neppure accertato il superamento della soglia drogante.
2.3. Con il terzo motivo, deduce vizio di motivazione relativamente all’aumento disposto a titolo di continuazione interna che, in considerazione delle modalità della condotta, poteva essere minimo.
Nell’interesse di NOME e NOME sono stati proposti due distinti ricorsi che, tuttavia, propongono due motivi identici. Con riguardo alla sola posizione di NOME viene dedotta, in via preliminare, l’illegittimità costituzio dell’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen. nella parte in cui impone a pena d’inammissibilità la dichiarazione o elezione di domicilio. Evidenzia la difesa che NOME è stato espulso e rimpatriato in Gambia, il che avrebbe irrimediabilmente impedito la formalizzazione di un’apposita dichiarazione o elezione di domicilio. La norma in questione, tuttavia, risulterebbe lesiva del diritto di difesa, nella misura in cui imporrebbe una formalità ultronea e non necessaria, posto che l’imputato aveva già eletto domicilio presso il difensore nelle fasi precedenti del giudizio (con l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio e all’atto della scarcerazione).
3.1. Con il primo motivo, entrambi i ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sottolineando come, nel caso di specie, non vi era alcun indice di una apprezzabile offensività della condotta, tale da escludere l’applicabilità della fattispecie meno grave. In particolare, non sarebbe dirimente il riferimento al concorso di più persone, posto che tale modalità non è di per sé ostativa, tant’è
che è prevista anche l’ipotesi che il reato di cui all’art. 73, comma 5, sia commesso in forma associativa. Parimenti irrilevante sarebbe la reiterazione della condotta, trattandosi di circostanza inidonea a mutare singole cessioni rientranti nel “fatto lieve” nell’ipotesi più grave. Infine, si sottolinea la modesta rilevanza degli introi ricavati dallo spaccio e la sostanziale indeterminatezza dei quantitativi effettivamente ceduti.
2.2. Con il secondo motivo, deducono violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Assumono i ricorrenti che, nel caso di specie, non vi sarebbe alcun elemento dal quale desumere la consapevolezza o, quanto meno, la colpevole ignoranza, della minore età degli acquirenti, posto che questi avevano un’età (16-17 anni) che non consente di apprezzare con certezza il mancato superamento della soglia dei 18 anni, soprattutto ove si consideri che gli incontri erano estremamente fugaci. Irrilevante, inoltre, sarebbero gli ulteriori indici valorizzati dalla sentenza consistenti nel fatto che gli acquirenti spesso arrivavano a bordo di ciclomotori e che il luogo di spaccio fosse ubicato nelle vicinanze di istituti scolastici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Prendendo le mosse dal ricorso proposto da NOME, deve esaminarsi la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Sostiene il ricorrente che la norma richiedente il rilascio di apposito mandato, nonché di una nuova elezione o dichiarazione di domicilio, in relazione alla proposizione dell’impugnazione, lederebbe il diritto di difesa lì dove, come nel caso di specie, l’imputato non sia obiettivamente in condizione di provvedere a tali adempimenti. Si afferma, infatti, che a seguito dell’espulsione e del rimpatrio nel paese di provenienza, l’imputato sarebbe stato impossibilitato a rispettare gli adempimenti richiesti dall’art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., che, peraltro, integrerebbero un inutile formalismo, ove si consideri che l’imputato si era già premurato di eleggere domicilio.
La questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, posto che i nuovi requisiti di ammissibilità dell’impugnazione non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, realizzando un contemperamento tra il diritto di impugnare e l’esigenza di avere la certezza che tale diritto sia stato
esercitato dall’imputato che abbia avuto effettiva contezza della sentenza emessa nei suoi confronti, per far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo.
Né può ritenersi dirimente il fatto che l’imputato sia stato espulso, sul presupposto che la mancata presenza sul territorio nazionale costituirebbe un impedimento all’esercizio del diritto di impugnare. Invero, la riforma ha previsto tutele compensative rispetto alla nuova previsione, quali l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare in favore dell’imputato assente e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare (ex art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen.).
Peraltro, il fatto che l’imputato sia stato espulso nelle more del giudizio non impedisce affatto il mantenimento dei contatti con il difensore nominato, come pure il rilascio di apposito mandato e di una nuova elezione di domicilio, trattandosi di atti che ben possono essere compiuti dall’imputato che si trovi all’estero e inviati al difensore in Italia.
In conclusione, deve ribadirsi il principio, già affermato da questa corte, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1–ter, cod. proc. pen.’ per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui richiede, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, che sia depositata la dichiarazione o l’elezione di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impugnare rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi in limine impugnationis ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine (Sez.4, n. 43718 dell’11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324).
Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è manifestamente infondato, formulando una generica contestazione alla ricostruzione del fatto, concordemente operata dai giudici di primo e secondo grado, sostenendo il difetto di prova in ordine alle cessioni. In particolare, è destituita di fondamento la tesi secondo cui l’imputato sarebbe stato riconosciuto come uno dei soggetti presenti sul luogo di spaccio, senza che gli fosse attribuita una specifica condotta.
Basti osservare, al riguardo, che NOME è stato direttamente osservato dalla polizia giudiziaria mentre procedeva allo scambio intervenuto con NOME COGNOME, il
quale, confermava di aver in più occasioni acquistato stupefacente dai diversi spacciatori presenti nella zona e, specificamente, anche da COGNOME.
COGNOME, peraltro, ha anche riferito di aver appreso dallo stesso COGNOME che questi provvedeva a rifornire anche gli altri spacciatori operanti nella zona.
I motivi di ricorso concernenti la richiesta di derubricazione nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, proposti da tutti gli imputati, possono essere esaminati congiuntamente.
I giudici di merito hanno escluso la sussistenza dell’ipotesi lieve facendo leva suila durata della condotta (protrattasi per molti mesi), con offerta continuativa (per tuttok la giornata e a tutte le ore) di sostanze stupefacente, garantendo un rifornimento costante agli acquirenti, in tal modo alimentando uno stabile traffico di stupefacenti che, evidentemente, presupponeva altrettanta stabilità negli approvvigionamenti oltre che un lucro complessivo rilevante.
È stato anche sottolineato l’aspetto organizzativo della condotta, realizzata mediante la contemporanea presenza di plurimi spacciatori che, in caso di indisponibilità della sostanza richiesta, indicavano il soggetto cui l’acquirente poteva rivolgersi.
Infine, si sottolineava il fatto che le cessioni erano avvenute, in plurime occasioni, anche in favore di minorenni, tant’è che era riconosciuta, quanto meno nei confronti di NOME e NOME, l’aggravante di cui all’art. 80, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
In conclusione, il motivo di ricorso si traduce nella richiesta di rivalutazione nel merito di dati fattuali già ampiamente esaminati e concordemente valutati nei precedenti gradi di giudizio, senza che emergano vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione.
Analoghe considerazioni valgono in relazione al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 80, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione alla quale i ricorrenti NOME e NOME propongono obiezioni in punto di fatto, non esaminabili in sede di legittimità. GLYPH Le circostanze che, secondo i ricorrenti, dovrebbero condurre ad escludere la consapevolezza della minore età degli acquirenti sono state già esaminate in sede di merito, lì dove – sulla base di elementi indiziari correttamente valutati – si è ritenuto che gli imputati avessero necessariamente contezza della minore età degli acquirenti.
Il motivo di ricorso proposto da COGNOME, concernente la quantificazione dell’aumento della pena disposto a titolo di continuazione, è generico, posto che il
ricorrente si limita a sostenere che vi erano i presupposti per riconoscere un aumento minimale, senza individuare in quale parte la motivazione della Corte di appello risulterebbe manifestamente illogica o contraddittoria. Peraltro, nella sentenza impugnata si dà atto che l’aumento a titolo di continuazione non solo è stato estremamente contenuto, ma risulta anche errato – in favore dell’imputato – posto che è stata aumentata la sola pena detentiva e non anche quella pecuniaria.
Alla luce di tali considerazioni, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 febbraio 2024
Il Consigliere estensore