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Spaccio lieve entità: quando non si applica

Un soggetto condannato per numerose cessioni di stupefacenti ha presentato ricorso in Cassazione chiedendo il riconoscimento dell’ipotesi di spaccio lieve entità e dell’attenuante del danno di speciale tenuità. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la sistematicità dell’attività (oltre 1100 cessioni), il cospicuo numero di acquirenti e il profitto complessivo di oltre 55.000 euro sono elementi che escludono la configurabilità dello spaccio lieve entità, rendendo irrilevante la modesta quantità delle singole dosi.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio di Lieve Entità: I Criteri della Cassazione per Escluderlo

L’ipotesi di spaccio lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli stupefacenti, rappresenta una fattispecie di reato attenuata che comporta pene significativamente inferiori rispetto allo spaccio ordinario. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva della condotta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza quali sono i criteri dirimenti per escludere tale ipotesi, focalizzandosi sulla sistematicità dell’attività e sull’entità del profitto complessivo, a prescindere dalla quantità delle singole cessioni.

Il Caso in Analisi: Numerose Cessioni e Ricorso per Cassazione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello per il reato di spaccio continuato di cocaina e marijuana. La condanna si basava sulla prova di numerose cessioni di stupefacenti. Nonostante il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla recidiva, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione lamentando il mancato riconoscimento di due importanti benefici: l’ipotesi di spaccio lieve entità e l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4 c.p.).

I Motivi del Ricorso e la Tesi della Difesa

La linea difensiva si basava su due argomenti principali:
1. Mancato riconoscimento dello spaccio di lieve entità: Secondo la difesa, la condotta doveva essere inquadrata nella fattispecie attenuata a causa della modestia dei corrispettivi delle singole vendite, dell’assenza di una vera e propria rete organizzativa, di depositi per la droga o di particolari accorgimenti nello spaccio.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante del danno esiguo: Si sosteneva che il lucro effettivamente percepito fosse marginale e di gran lunga inferiore all’introito totale di oltre 55.000 euro calcolato dai giudici di merito, e che quindi dovesse essere applicata la specifica attenuante.

La Decisione della Cassazione: Perché lo Spaccio non è di Lieve Entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati e meramente ripetitivi di doglianze già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. La Suprema Corte ha chiarito che la valutazione sulla lieve entità del fatto non può limitarsi alle singole cessioni, ma deve abbracciare l’intera attività illecita. Nel caso di specie, l’ipotesi di spaccio lieve entità è stata motivatamente esclusa sulla base di elementi concreti e decisivi, quali:

* La sistematicità dello spaccio: L’attività non era occasionale ma continuativa.
* Il cospicuo numero di acquirenti: Un’ampia platea di clienti dimostra un’attività ben avviata.
* Il coinvolgimento di più persone: La collaborazione con altri soggetti indica un livello di complessità superiore.
* La disponibilità di mezzi: L’uso di auto e telefoni cellulari denota una minima struttura logistica.
* Il dato numerico complessivo: Oltre 1100 cessioni accertate, per un profitto totale superiore a 55.000 euro.

Questi fattori, nel loro insieme, delineano un quadro di gravità incompatibile con la nozione di “lieve entità”.

L’Inammissibilità del Ricorso e le Conseguenze Economiche

L’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, quando il ricorso viene proposto senza che vi siano elementi validi a supporto, ovvero “senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sul principio consolidato secondo cui la valutazione per l’applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 deve essere globale e non parcellizzata. L’analisi non può soffermarsi sulla singola dose ceduta, ma deve considerare tutti gli indici qualitativi e quantitativi della condotta, come le modalità dell’azione, i mezzi impiegati e l’entità complessiva del traffico. Un numero di cessioni superiore a 1100 e un profitto di oltre 55.000 euro costituiscono dati oggettivi che, per la loro significatività, impediscono di qualificare il fatto come lieve. Allo stesso modo, un lucro di tale entità non può in alcun modo essere considerato un danno di “speciale tenuità” ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 c.p.

Le conclusioni

La pronuncia in esame rafforza un orientamento giurisprudenziale chiaro: la qualificazione di un’attività di spaccio come di lieve entità richiede una valutazione complessiva che tenga conto della sua reale portata offensiva. Un’attività sistematica, prolungata nel tempo e fonte di un notevole guadagno, anche se realizzata attraverso la vendita di piccole dosi, non potrà beneficiare del trattamento sanzionatorio più mite. Questa ordinanza serve da monito, sottolineando che la continuità e la redditività del reato sono indicatori di una gravità che la legge non intende attenuare.

Quando si può escludere l’ipotesi di spaccio di lieve entità?
L’ipotesi di spaccio di lieve entità può essere esclusa quando, nonostante la modesta quantità delle singole dosi, l’attività è sistematica, coinvolge un numero cospicuo di acquirenti e più persone, e genera un profitto complessivo significativo (nel caso specifico, oltre 55.000 euro per più di 1100 cessioni).

Un profitto totale di 55.000 euro può essere considerato un danno di speciale tenuità?
No, secondo la Corte un profitto complessivo di circa 55.000 euro è considerato un lucro significativo. Pertanto, non permette di riconoscere l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità previsto dall’art. 62, n. 4, del codice penale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su motivi palesemente infondati e perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza criticare in modo specifico la motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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