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Spaccio lieve entità: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso in materia di stupefacenti, confermando la condanna per spaccio. La Corte ha stabilito che la qualifica di spaccio lieve entità è correttamente esclusa quando la quantità della sostanza (151 dosi), le modalità di confezionamento (64 involucri) e il grado di organizzazione indicano un’attività strutturata. Il ricorso è stato respinto perché si limitava a riproporre questioni di fatto già valutate, senza evidenziare vizi logici nella motivazione della sentenza impugnata.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio lieve entità: la Cassazione sui limiti dell’impugnazione

L’ordinanza in esame offre importanti chiarimenti sui criteri per distinguere lo spaccio di stupefacenti dall’ipotesi di spaccio lieve entità e sui limiti del ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato, ha ribadito come la valutazione degli elementi fattuali sia di competenza esclusiva dei giudici di merito, a meno che la loro motivazione non sia palesemente illogica.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva confermato la condanna di un individuo per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. L’imputato era stato trovato in possesso di cocaina, suddivisa in 64 involucri numerati e di pari peso, da cui era possibile ricavare 151 dosi medie singole. Oltre alla droga, erano state rinvenute banconote di piccolo e medio taglio.

I Motivi del Ricorso

La difesa dell’imputato aveva articolato il ricorso in Cassazione su due punti principali:

1. Vizio di motivazione sulla responsabilità penale: Si contestava la logicità della motivazione con cui i giudici di merito avevano affermato la destinazione della sostanza allo spaccio, ritenendola una ricostruzione dei fatti non consentita in sede di legittimità.
2. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che il fatto dovesse essere inquadrato nell’ipotesi di spaccio lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, data la presunta modesta offensività della condotta.

Spaccio Lieve Entità: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando l’intero ricorso inammissibile.

Sul primo punto, i giudici hanno sottolineato che il ricorso non evidenziava alcuna reale illogicità nel ragionamento della Corte d’Appello, ma si limitava a riproporre una diversa interpretazione degli elementi di fatto. La destinazione allo spaccio era stata logicamente desunta da indici oggettivi inequivocabili: le modalità di confezionamento (numerosi involucri uguali e numerati), l’ingente quantitativo potenziale di dosi e il possesso di denaro contante in piccoli tagli, tipico dell’attività di vendita al dettaglio.

Sul secondo e più rilevante motivo, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di escludere la fattispecie di spaccio lieve entità. Anche in questo caso, la valutazione si è basata su elementi concreti che indicavano un’attività criminale non marginale.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha fondato la propria decisione sui seguenti principi consolidati:

* Valutazione complessiva degli indici: L’accertamento della lieve entità del fatto non può basarsi su un singolo elemento, ma richiede una valutazione globale di tutti gli indici previsti dalla norma (quantità, qualità, modalità dell’azione, mezzi usati). Nel caso di specie, la quantità (151 dosi) e le modalità (confezionamento seriale) erano state ritenute indicative di un’attività di spaccio con un sufficiente grado di organizzazione, incompatibile con la qualifica di “lieve”.
* Inammissibilità delle censure di fatto: Il ricorso per Cassazione non è una terza istanza di giudizio dove poter ridiscutere i fatti. È inammissibile il motivo che, pur lamentando formalmente un vizio di motivazione, in realtà mira a una nuova e diversa valutazione delle prove, preclusa in sede di legittimità.
* Conseguenze dell’inammissibilità: A fronte dell’inammissibilità del ricorso e in assenza di una colpa scusabile, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere l’applicazione della più favorevole ipotesi di spaccio lieve entità, non è sufficiente appellarsi a un singolo aspetto, ma è necessario che l’intera condotta, analizzata nel suo complesso, risulti minimamente offensiva e priva di indici di professionalità o organizzazione. Inoltre, l’atto di impugnazione in Cassazione deve essere redatto con rigore tecnico, concentrandosi sui vizi di legittimità (violazione di legge o motivazione manifestamente illogica) e non tentando di ottenere una revisione del merito della vicenda, pena una secca declaratoria di inammissibilità con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

Quando un ricorso in Cassazione per spaccio di droga viene considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando, invece di denunciare vizi di legittimità come la manifesta illogicità della motivazione, si limita a contestare la ricostruzione dei fatti o a riproporre censure già correttamente esaminate e respinte nei gradi di merito.

Quali elementi oggettivi escludono la configurabilità dello spaccio di lieve entità?
La qualifica di spaccio di lieve entità è esclusa quando elementi come l’ingente quantitativo di dosi ricavabili (in questo caso 151), le modalità di confezionamento seriale (64 involucri numerati) e altre circostanze indicano un’attività di spaccio connotata da un significativo grado di organizzazione.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso penale?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa nel ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata quantificata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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