Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20918 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Ascoli Piceno il 5/11/1977
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con conclusioni scritte
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/10/2024, la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia emessa il 5/12/2022 dal Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e condannato alla pena di cui al dispositivo.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione. La Corte avrebbe confermato la condanna con argomento viziato e sulla base delle sole dichiarazioni di NOME COGNOME (soggetto, peraltro, con precedenti penali proprio in materia di stupefacenti), non adeguatamente verificate. In particolare, nessun accertamento sarebbe stato compiuto quanto al “qualcosa” che il ricorrente avrebbe ceduto allo stesso COGNOME; ancora, e con riguardo alla provenienza della somma sequestrata, non potrebbe essere condivisa la motivazione della sentenza, che non avrebbe letto adeguatamente gli scontrini ed il “gran totale”. Nessun accertamento, peraltro, sarebbe stato eseguito sul presunto acquirente COGNOME né questi avrebbe subito una perquisizione. Sotto diverso profilo, poi, il ricorso sottolinea che presso l’abitazione dell’imputato non sarebbero stati rinvenuti oggetti da taglio; che non sarebbe stato eseguito alcun accertamento sulle tracce presenti sul coltello; che il bilancino sequestrato sarebbe stato rinvenuto sul pianerottolo, arrotolato all’interno dello zerbino esterno ad un altro appartamento; che, in ogni caso, tale bilancino non sarebbe intriso di alcuna sostanza stupefacente. Infine, il motivo di ricorso contesta la tesi per cui il denar sequestrato costituirebbe profitto del reato, non emergendo alcun elemento in tal senso; anzi, il presunto profitto della cessione risulterebbe in palese contrasto con l’imputazione, non potendo costituire la somma pagata dallo COGNOME per acquistare stupefacenti. Infine, la tesi difensiva non sarebbe stata adeguatamente superata;
inosservanza, mancanza ed erronea applicazione della legge penale; vizio di motivazione. L’ampio motivo contesta il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., della qua ricorrerebbero i presupposti sia per assenza di offensività nella condotta, sia per i caratteri complessivi di questa, sia, infine, per la mancanza di qualunque ostacolo di natura soggettiva. Ancora, il ricorso censura l’eccessiva misura della pena, che non sarebbe sostenuta da alcuna motivazione, sebbene necessaria atteso l’allontanamento dai termini minimi; al riguardo, peraltro, si contesta il vizio d motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, con violazione degli artt. 27 Cost., e 133 cod. pen. Analogo vizio è poi dedotto quanto alla recidiva, che sarebbe stata confermata in assenza di una effettiva verifica in punto di maggiore pericolosità sociale dell’imputato;
infine, il vizio di motivazione è dedotto con riferimento alla confisca del denaro, che la sentenza avrebbe confermato senza nulla indicare quanto al collegamento tra la somma ed il reato, né quanto al pericolo che deriverebbe dalla disponibilità della prima in capo al ricorrente; tanto più, peraltro, considerando che l’asserita provenienza illecita dello stesso denaro si ricaverebbe soltanto dalle dichiarazioni dello COGNOME, e che il ricorrente ne avrebbe comunque offerto una
adeguata giustificazione alternativa, legata agli incassi del locale nel quale lavorava.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Il primo motivo, con il quale si contesta il vizio di motivazione in punto di responsabilità, è inammissibile: dietro la parvenza della mancanza, della contraddittorietà ovvero della manifesta illogicità degli argomenti, invero, la censura tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita lettura di tutti gli elementi di merito analizzati dai Giudici della cognizione, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole. Il motivo, dunque, si sviluppa lungo una inammissibile linea di fatto, sostenendo che: a) l’acquirente NOME COGNOME non sarebbe attendibile sol perché pregiudicato per reati in materia di stupefacenti; b) dovrebbero essere esaminati anche fatti successivi ed estranei al processo, come la presunta aggressione che lo stesso COGNOME ed il padre avrebbero perpetrato in danno del ricorrente; c) dovrebbe essere diversamente valutata la documentazione fiscale del locale in cui quest’ultimo lavorava; d) non sarebbe stata eseguita alcuna perquisizione in danno dell’acquirente; e) gli oggetti rinvenuti nell’appartamento del ricorrente non convaliderebbero l’ipotesi accusatoria (assenza di oggetti da taglio; nessun accertamento sul coltello; riferibilità a terzi del bilancino; mancanza in esso di tracce di sostanza). Ancora propria della sola fase di merito, infine, è la considerazione circa l’insufficienza della somma versata per l’acquisto della sostanza che si contesta ceduta.
5.1. Alla evidente inammissibilità di questi argomenti, poi, si aggiunga che, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, la Corte di appello – in doppia conforme con la pronuncia di primo grado – ha confermato la responsabilità del COGNOME con una motivazione del tutto solida, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e priva di illogicità manifesta; dunque, non censurabile in questa sede.
5.2. In particolare, la sentenza ha ricostruito l’attività di polizia giudizia eseguita il 16/6/2021, quando il ricorrente era stato visto cedere qualcosa allo Zippi, e quest’ultimo andare nella propria macchina a prendere il portafoglio, per poi consegnare al COGNOME alcune banconote; i due erano stati poi seguiti, così sequestrando in dosso allo Zippi lo stupefacente indicato in rubrica, che lo stesso dichiarava aver appena acquistato dall’imputato. Quest’ultimo, invece, era riuscito a fuggire all’interno della propria abitazione, nella quale aveva fatto entrare gli operanti oltre mezz’ora dopo; nell’occasione, era stato sequestrato un coltello da cucina intriso di materiale solido di color marrone, verosimilmente hashish (una
delle sostanze cedute allo COGNOME), oltre ad un bilancino elettronico di precisione, rinvenuto avvolto nello zerbino di un appartamento attiguo, ma verosimilmente da riferire al ricorrente. Quest’ultimo, peraltro, aveva nella tasca dei pantaloni la somma contante di 360 euro, in banconote di vario taglio.
5.3. La Corte di appello, dopo aver richiamato pertinente giurisprudenza e sottolineato che nessun elemento induceva a dubitare delle parole dello COGNOME, ha poi precisato che queste avevano trovato piena conferma nelle chiare affermazioni degli operanti, e non avevano trovato alcuna smentita né in quelle del fratello del ricorrente (compatibili con la tesi accusatoria), né in quelle di quest’ultimo, la cui inverosimiglianza è stata ben descritta alle pagg. 9-10 della sentenza, e non adeguatamente contestata nel ricorso.
Il primo motivo di impugnazione, pertanto, è inammissibile.
Alle stesse conclusioni il Collegio giunge poi quanto alla seconda censura, che coinvolge il trattamento sanzionatorio in senso ampio.
7.1. Con riguardo al primo punto, che contesta il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., non s riscontra il vizio di motivazione denunciato. La Corte di appello, pronunciandosi sul tema e richiamando la giurisprudenza di questa Corte anche sul rapporto tra l’istituto e la fattispecie lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 199 ha steso una motivazione del tutto solida e priva di vizi, evidenziando che le concrete modalità della condotta non potevano consentire l’applicazione dell’art. 131-bis in esame. In particolare, sono stati valorizzati il quantitativo complessivo dello stupefacente, la differente natura di questo (cocaina e hashish), il confezionamento in dosi, “l’armamentario” sequestrato al ricorrente, la fuga di questi dopo l’arresto, l’accesso lungamente impedito agli operanti; in sintesi, un univoco insieme di elementi tali da non consentire di riconoscere la particolare tenuità del fatto.
7.2. In ordine, poi, al diniego delle circostanze attenuanti generiche e, in generale, al trattamento sanzionatorio, la sentenza ha sottolineato – insieme al Tribunale – che nessun elemento positivo deponeva per l’accoglimento della richiesta, tenuto anche conto dei precedenti penali, uno dei quali specifico, che gravano sul ricorrente. Anche questo argomento risulta del tutto adeguato e non superato dal motivo di ricorso, che non individua neppure un elemento, eventualmente emerso e sottoposto al Giudice, che avrebbe dovuto esser valutato in senso favorevole all’imputato.
7.3. Quanto, poi, alla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale, contestata e riconosciuta, la sentenza risulta ancora immeritevole di censura. Contrariamente a quanto affermato nell’impugnazione, infatti, la Corte di merito ha sviluppato sul punto ancora adeguati argomenti, evidenziando come la condotta
in esame “costituisca la significativa prosecuzione di un processo delinquenziale avviato da tempo”. Al riguardo, la Corte ha rilevato che la reiterazione dell’illecito costituiva effettivo sintomo di pericolosità, considerata la natura del reato, la qualità dei comportamenti (tali da presupporre evidenti legami con ambienti criminali), il livello di offensività delle condotte, la parziale omogeneità di quest con il passato delinquenziale del soggetto; elementi, tutti questi citati, che la sentenza ha valutato – in termini non manifestamente illogici – come espressione “di una personalità del reo incline al delitto, con elevato grado di colpevolezza”.
7.4. Il vizio di motivazione sollevato con riferimento a tutti questi profil pertanto, non si riscontra nella sentenza impugnata, che, pronunciandosi sui medesimi elementi di gravame, ha risposto con argomento sempre compiuto e qui non censurabile.
Il ricorso, infine, risulta manifestamente infondato anche sull’ultima censura, che contesta la confisca della somma di 360 euro.
8.1. Contrariamente a quanto denunciato, infatti, la sentenza si è espressa sul punto con una motivazione priva di illogicità manifesta, ossia evidenziando che: a) gli operanti avevano visto lo COGNOME consegnare al ricorrente alcune banconote; b) lo stesso acquirente aveva quantificato la somma in 400 euro, specificando che 250 euro costituivano il costo della cocaina, 150 quello dell’hashish. Quanto all’assenza, in tale calcolo, della somma di 40 euro (400 meno 360), infine, la motivazione della sentenza risulta ancora priva di illogicità manifesta: è stato evidenziato, infatti, che il COGNOME non era stato fermato immediatamente, dopo la cessione a COGNOME ma seguito per un certo tempo, durante il quale lo stesso aveva effettuato vari giri nel centro di Ascoli Piceno, così potendo aver speso la somma citata.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2025
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Il Presidente