Spaccio di Lieve Entità: I Limiti del Ricorso secondo la Cassazione
L’applicazione dell’ipotesi di spaccio di lieve entità è una questione centrale nei processi per reati legati agli stupefacenti, data la notevole differenza di pena rispetto all’ipotesi ordinaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sulla corretta formulazione dei ricorsi e sui limiti della critica a una sentenza d’appello che motiva ‘per relationem’, ovvero richiamando la decisione di primo grado.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in primo grado, con rito abbreviato, alla pena di quattro anni di reclusione e quattordicimila euro di multa per detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, tra cui cocaina, in più occasioni. La sentenza veniva confermata dalla Corte d’Appello.
L’imputato, tramite il suo difensore, decideva di ricorrere in Cassazione, affidando la sua difesa a un unico motivo: l’erroneo mancato riconoscimento dell’ipotesi di spaccio di lieve entità (prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990). Secondo la difesa, la motivazione della Corte d’Appello su questo punto era inesistente o, quantomeno, manifestamente illogica.
La Decisione della Corte di Cassazione sullo spaccio di lieve entità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta di applicazione dell’attenuante, ma si concentra sulla struttura e sulla sostanza del motivo di ricorso presentato.
Secondo gli Ermellini, l’appello era generico e non si confrontava adeguatamente con le solide argomentazioni dei giudici di merito. La Corte ha sottolineato come la sentenza d’appello avesse legittimamente escluso la lieve entità del fatto, basandosi sulle considerazioni già svolte dal giudice di primo grado.
Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Stato Ritenuto Inammissibile?
La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri argomentativi principali che meritano un’analisi approfondita.
La Critica Generica alla Motivazione ‘per Relationem’
La difesa aveva criticato la Corte d’Appello per aver motivato la sua decisione richiamando le pagine della sentenza di primo grado. Questa tecnica, nota come motivazione ‘per relationem’, è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite.
Il ricorso, tuttavia, si è limitato a stigmatizzare l’uso di questa tecnica in modo generico, senza specificare dove e come la Corte d’Appello avrebbe superato i limiti di tale strumento. Non è sufficiente lamentare il rinvio alla sentenza precedente; è necessario dimostrare che quel rinvio sia illegittimo, ad esempio perché la sentenza richiamata è a sua volta carente di motivazione o perché il giudice d’appello non ha mostrato di aver fatto proprio quel ragionamento.
Gli Indici di Gravità che Escludono lo Spaccio di Lieve Entità
La Corte ha evidenziato che la motivazione del giudice di primo grado, fatta propria dalla Corte d’Appello, era analitica e ben fondata. In particolare, i giudici di merito avevano posto in rilievo due elementi cruciali:
1. L’esistenza di un rapporto abituale tra spacciatori e acquirenti.
2. La consistente disponibilità di sostanza stupefacente.
Questi fattori, secondo la Corte, sono sintomatici di un’attività di spaccio non occasionale o modesta, e quindi incompatibile con la qualificazione di spaccio di lieve entità. Il ricorso non ha saputo contrapporre argomentazioni specifiche per smontare questa valutazione, limitandosi a una critica formale che la Cassazione ha ritenuto inefficace e, addirittura, dilatoria.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso in Cassazione deve essere specifico, puntuale e tecnicamente rigoroso. Criticare una motivazione ‘per relationem’ in modo astratto e generico è una strategia destinata al fallimento. È necessario, invece, entrare nel cuore del ragionamento dei giudici di merito e dimostrare, con argomenti precisi, le sue eventuali illogicità o violazioni di legge.
Inoltre, la decisione conferma che elementi come l’abitualità dei rapporti con gli acquirenti e la disponibilità non minima di droga sono indicatori solidi, agli occhi dei giudici, per escludere l’ipotesi più lieve del reato di spaccio. Per la difesa, ciò significa che per ottenere il riconoscimento della lieve entità è indispensabile fornire elementi concreti che depongano per la natura puramente occasionale e contenuta dell’attività illecita.
Quando un ricorso per cassazione che contesta il mancato riconoscimento dello spaccio di lieve entità può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se è generico, ad esempio se critica la motivazione ‘per relationem’ della Corte d’Appello senza specificare in che modo essa superi i limiti di legittimità, e se non si confronta con l’apparato argomentativo autonomo della sentenza impugnata. In questo caso, è stato anche ritenuto di carattere dilatorio.
È legittimo che un giudice d’appello motivi la sua decisione facendo riferimento alla sentenza di primo grado?
Sì, la motivazione ‘per relationem’ è considerata legittima dalla giurisprudenza consolidata, a condizione che la sentenza a cui si fa rinvio contenga una motivazione analitica e completa e che la sentenza d’appello non si limiti a un mero richiamo, ma mostri di aver fatto proprio quel ragionamento.
Quali elementi possono escludere la configurabilità dello spaccio di lieve entità?
Secondo l’ordinanza, l’esistenza di un rapporto abituale tra spacciatori e acquirenti e una consistente disponibilità di sostanza stupefacente sono elementi che denotano una gravità tale da escludere l’ipotesi del reato di lieve entità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6933 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6933 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ALTAMURA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/10/2022 della CORTE APPELLO di POTENZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del Gip del locale Tribunale del 23 novembre 2021, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro quattordicimila di multa in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv e 73, commi 1 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (detenzione con finalità di cessione a terzi sostanza stupefacente del tipo cocaina ed altra sostanza che cedeva in più occasioni).
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo un motivo di impugnazione con cui deduce l’inesistenza e/o la manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 5.
3.11 ricorso é manifestamente infondato.
La Corte di merito ha invero escluso la sussistenza nel caso di specie dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309 del 1990 facendo rinvio alle considerazioni svolte dal giudice di primo grado (segnatamente alle pgg. 39 e 40) che con motivazione analitica ha posto in rilievo l’esistenza di un rapporto abituale tra spacciatori ed acquirenti che a sua volta denota la consistente disponibilità di sostanza stupefacente.
Peraltro il motivo che censura la motivazione apparente della sentenza impugnata in quanto sviluppata con la tecnica per relationem, è generico, perché stigmatizza l’uso della tecnica predetta senza specificare in che termini la Corte di appello l’avrebbe utilizzata in maniera esorbitante dai limiti in cui ciò considerato legittimo dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Rv. 216664; Sez. 5, n. 24460 del 08/02/2019, Rv. 276770) e senza confrontarsi con l’autonomo ed ampio apparato argomentativo di cui, invece, la sentenza medesima è indiscutibilmente dotata.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo al palese carattere dilatorio del ricorso, appare equo stabilire nella misura indicata in dispositivo;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14.12.2023