Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5836 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5836 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nato a Palermo il 1°/3/1991 NOME nato a Palermo il 30/12/1986
avverso la sentenza del 9/4/2024 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9/4/2024, la Corte di appello di Palermo riformava nei termini del dispositivo la pronuncia emessa il 14/6/2023 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, che aveva affermato la responsabilità penale di numerosi imputati con riguardo a plurime condotte di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi:
NOME Campagna:
-violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al capo 1). La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con argomento insufficiente ed illogico, specie difettando sequestro di stupefacente: la colpevolezza sarebbe fondata soltanto sull’errata interpretazione di alcune conversazioni dal contenuto generico e neutro, e senza considerare la prospettazione alternativa offerta dalla difesa. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., peraltro anche con riguardo alla possibile qualificazione delle condotte ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990;
-inosservanza ed erronea applicazione della legge penale; vizio di motivazione. La sentenza – con riguardo ai capi 1) e 8) – avrebbe confermato la condanna ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, sebbene ricorressero tutti i requisiti per riconoscere la fattispecie lieve di cui al comma 5 della stessa norma, invero negata in forza di criteri avulsi dalla nozione che la medesima disposizione offre. Questa lettura, peraltro, sarebbe contraria ai più recenti indirizzi di legittimità e non terrebbe conto dell’effettivo contributo offerto dal ricorrente, del tutto minimale specie quanto alle modalità esecutive. La sentenza, al riguardo, avrebbe trattato tutte le posizioni in modo unitario e senza operare le necessarie distinzioni, così contravvenendo ai criteri fissati recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte in tema di modulazione personalistica del giudizio di colpevolezza e della pena;
-violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 99 cod. pen. La Corte di appello avrebbe respinto il relativo motivo di gravame con argomento errato, che non terrebbe conto dell’effettiva portata dei due precedenti penali a carico (uno dei quali ormai estinto ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen.) e della necessità di valutare in concreto la pericolosità sociale dell’imputato, elementi tali da imporre la disapplicazione dell’aggravante soggettiva.
NOME COGNOME:
-mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla richiesta di riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990;
-mancanza di motivazione quanto all’errata applicazione della continuazione quanto ai reati di cui ai capi 1), 2) e 8);
-mancanza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME risulta inammissibile per rinuncia, dallo stesso sottoscritta il 16/9/2024; l’imputato, pertanto, deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di 500 euro in favore della Cassa delle ammende.
3.1. Il ricorso di NOME COGNOME risulta inammissibile per manifesta infondatezza.
Con riguardo al primo motivo, concernente il capo 1), non può essere accolta la tesi secondo cui la responsabilità del Campagna sarebbe stata confermata con argomenti insufficienti e generici: la Corte di appello, per contro, ha steso sul capo una motivazione del tutto adeguata e sostenuta da logica e solida lettura delle emergenze istruttorie (di natura intercettiva, ma non solo) già ampiamente riportate nella prima sentenza che, come tali, non possono essere oggetto di differente valutazione di merito in questa sede.
4.1. La pronuncia in esame ha innanzitutto evidenziato che il luogo in cui si trovavano abitualmente il ricorrente insieme a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME era connotato da un continuo viavai di persone (citate nello stesso capo 1) che, entrate nei medesimi ambienti, ne uscivano dopo poco e, sottoposte a controllo, venivano trovate in possesso di stupefacenti del tipo crack e cocaina.
4.2. Di seguito, e quanto al ricorrente NOME COGNOME la Corte di appello ha sostenuto che la responsabilità per la cessione di sostanza a NOME COGNOME emergeva evidente dalle conversazioni del 29/10/2020, poi culminate nella cessione “acclarata dal servizio di osservazione, che ha consentito di vedere lo scambio materialmente intercorso tra i due”. La colpevolezza dell’imputato, pertanto, è stata accertata non sulla base di neutre e generiche conversazioni, ma di intercettazioni il cui contenuto ha costituito oggetto di una lettura non manifestamente illogica, poi confermata dagli esiti del servizio di osservazione e controllo, peraltro neppure menzionati nel ricorso.
4.3. La responsabilità concorsuale del Campagna quanto al capo 1), peraltro, risulta anche dalle considerazioni che la Corte di appello – e con particolare ampiezza il primo Giudice – ha speso quanto al capo 8), riconosciuto a carico del ricorrente e dei concorrenti sopra citati. Premesso che le due contestazioni si differenziano soltanto per la precisa individuazione dei differenti acquirenti, menzionati nel capo 1), laddove il capo 8) si riferisce a cessioni concordate telefonicamente con soggetti rimasti non identificati, la Corte di appello ha comunque riscontrato – per entrambe le fattispecie – un articolato meccanismo di cessioni, connotate da uno schema che prevedeva prima l’approvvigionamento
collettivo, quindi la cessione individuale. Ebbene, in questo ambito – che il ricorso non contesta affatto – NOME COGNOME era risultato uno dei soggetti più attivi, occupandosi di entrambe le fasi dell’attività, come confermato da numerose intercettazioni riportate (soprattutto) nella sentenza del G.i.p.
4.4. In ordine, poi, alla mancata riqualificazione del capo 1) ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, basti osservare che tutte le condotte riscontrate nello stesso capo interessano droghe “pesanti” (crack soprattutto, e cocaina), così che la differente tesi sostenuta dalla difesa avrebbe richiesto un onere di allegazione, con adeguato riscontro istruttorio, invero non adempiuto.
Il ricorso, di seguito, risulta manifestamente infondato anche sul secondo motivo, che contesta – per i capi 1) e 8) – il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; anche al riguardo, la motivazione della sentenza non merita censura, perché sostenuta da argomenti del tutto congrui e coerenti con la giurisprudenza di questa Corte.
5.1. La decisione impugnata, in particolare, ha sottolineato chi l’ipotesi lieve non doveva essere verificata alla luce del solo dato quantitativo, come sostenuto nel ricorso, ma in esito ad una complessiva valutazione del fatto in tutti i suoi elementi oggettivi; in forza di ciò, il Giudice di appello ha dunque valorizzato quanto già sostenuto dal Tribunale, sottolineando l’organizzazione e la professionalità mostrate dal ricorrente nella predisposizione di un’attività di spaccio assai sofisticata, in grado di attirare vasta clientela, anche abituale, “a dimostrazione di un consolidato inserimento nel mercato e della conseguente capacità di diffusione capillare dello stupefacente di cui faceva commercio.”
5.2. La sentenza, pertanto, contiene una motivazione in linea con il consolidato indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di stupefacenti, l configurabilità del delitto di cui all’art. 73, comma 5, in esame, postula un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, ed a quantità e qualità delle sostanze, con riferimento al grado di purezza, sì da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e di proporzionalità della pena (per tutte, Sez 4, n. 50257 del 5/10/2023, Scorcia, Rv. 285706). Al riguardo, peraltro, deve essere qui ribadito che la riqualificazione ai sensi del comma 5 non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, come invece richiesto nel ricorso, posto che, per l’accertamento della stessa, è necessario fare riferimento all’apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (per tutte, Sez. 3, n. 12551 del 14/2/2023, Pg/Pascale, Rv. 284319), come riscontrato nella sentenza impugnata.
5.3. Infine sul punto, il Collegio ribadisce il principio recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 27727 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 286581), secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico può configurare, in presenza dei diversi presupposti, nei confronti di un concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 1 ovvero comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all’art. 73, comma 5, del medesimo d.P.R. Lo stesso principio, tuttavia, è invocato nel ricorso in termini del tutto fattuali, propri della sola fase di meri e non consentiti in questa sede, ossia richiamando tre specifici episodi di cessione riscontrati, ma senza alcuna valutazione per la parte della sentenza che ha inserito tali condotte in un contesto adeguatamente organizzato, come sopra richiamato.
Il ricorso, infine, risulta manifestamente infondato anche quanto al terzo motivo, in punto di recidiva: questa, infatti, è stata confermata dalla Corte di appello ancora con motivazione adeguata e non sindacabile.
6.1. In particolare, sono stati valorizzati i plurimi precedenti penali, anche specifici, a carico del Campagna, “che testimoniano come il fatto per cui si procede sia manifestazione di una non occasionale ricaduta nel crimine da parte dell’appellante, che giustifica un giudizio di pericolosità aggravata nei confronti del medesimo”; una motivazione, dunque, di certo conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte ed aderente alla ratio normativa sottesa all’incremento sanzionatorio derivante dal riconoscimento dell’aggravante soggettiva.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende NOME e di euro 500 in favore della Cassa delle ammende NOME
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2024
liere estensore
II
Presidente